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Discussione: Coronavirus: ANP pubblica documento della Società Italiana di Pediatria

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    La scuola riapre il 14 settembre Un milione di alunni senza aule


    Con l’intesa politica di ieri si chiude il primo tempo della partita governo-autonomie per il ritorno in classe a settembre. Sul punteggio di 1 a 1, perché la ministra dell’Istruzione, Lucia Azzolina, porta a casa l’accordo in Conferenza unificata sulle linee guida per la riapertura delle scuole mentre i governatori incassano gli impegni ad avere maggiori risorse – con il premier Giuseppe Conte che in conferenza stampa ha parlato di «un ulteriore miliardo per nuovi investimenti» e di altre risorse che arriveranno dal Recovery Fund -, personale aggiuntivo (con altri 50mila supplenti in arrivo tra prof e Ata) e trasporti. Ma mai come questa volta per conoscere il risultato finale dell’incontro (e le ricadute tecniche) bisognerà attendere il secondo tempo. Che inizia oggi e si concluderà il 14 settembre (ma già il 1° partiranno le attività di recupero per chi ha chiuso l’anno con un’insufficienza), quando suonerà in tutta Italia la prima campanella per gli oltre 8 milioni di studenti italiani. Come, per quante ore, in quali giorni e in quale classe lo sapranno solo nelle prossime settimane. Quando i presidi faranno i conti sulle misure da prendere per assicurare la distanza di un metro tra le bocche degli alunni, le conferenze di servizi troveranno le soluzioni su arredi, aule e cantieri e i tavoli regionali monitoreranno il tutto.
    Le criticità non mancano. E la stessa titolare dell’Istruzione ne è consapevole. Anche se, per sua stessa ammissione, si stima che le situazioni più difficili riguardano «il 15% degli studenti», che significa comunque un milione e passa di alunni da risistemare. O adeguando le classi o attingendo agli spazi esterni da reperire in parchi, musei, cinema, biblioteche, teatri e archivi oltre ai 3mila ex istituti dismessi. Nel frattempo, ma ci vorrà almeno fine agosto, il Comitato tecnico-scientifico del ministero della Salute valuterà il livello raggiunto dal contagio e deciderà se l’obbligo della mascherina (che adesso è dai 6 anni in più) potrà essere limitato agli spazi comuni ed eliminato in classe classi. A prevedere espressamente questa ipotesi (da rivalutare «2 settimane prima dell’inizio dell’anno scolastico») è l’ultima versione del Piano Scuola 2020/21, che ha imbarcato altre tre novità “politiche”.
    La prima è la garanzia che ogni intervento straordinario per risolvere le criticità trovi «adeguata copertura finanziaria» rispetto ai 4,6 miliardi stanziati finora secondo i conti di viale Trastevere. La seconda riguarda il coinvolgimento dei sindacati nella verifica dell’attuazione del piano (anche sugli «incrementi di organico»). La terza interessa invece il trasporto locale e scolastico sotto forma di tavolo separato da avviare con Infrastrutture, Regioni Anci e Upi, anche per trovare fondi.
    Minimi invece i ritocchi tecnici. Come la previsione che anche i presidi possano attivare le Conferenze dei servizi, l’eliminazione del riferimento agli educatori aggiuntivi da reperire con i «patti di comunità» – ci si limita a un più neutro «sostegno alle comunità scolastiche nella costruzione delle collaborazioni» – e la sostituzione dell’apertura di sabato con «una diversa modulazione settimanale del tempo scuola». Laddove restano ferme le altre opzioni in mano ai dirigenti scolastici anticipate nei giorni scorsi su questo giornale: ingressi scaglionati per alleggerire metro e bus, classi divise in sottogruppi, moduli orari ridotti, frequenza scolastica a turni, aggregazioni delle materie in aree più vaste e (solo alle superiori) mix di didattica in presenza e a distanza con quest’ultima solo «complementare».
    Soddisfazione per l’accordo è stata espressa da tutti i protagonisti in campo. A cominciare da Conte e Azzolina, e poi dai ministri Roberto Speranza (Salute) e Francesco Boccia (Affari regionali), al presidente della Conferenza delle Rehioni, Stefano Bonaccini (Emilia Romagna). Opposizione a parte le uniche voci fuori dal coro sono arrivate dal governatore campano, Vincenzo De Luca, che non ha dato l’intesa perché contrario a votare il 20-21 settembre e i dirigenti scolastici. Con il presidente dell’Associazione presidi (Anp), Antonello Giannelli, che ha ricordato come le misure di sicurezza spettino all’autorità centrale e sull’uso dei cinema dice: «Meglio affittare un locale per un anno».


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    «Mascherine sopra i 6 anni e controlli medici a scuola»




    Intervista al Ministro della Salute Roberto Speranza

    «Per noi la riapertura delle scuole è fondamentale. Ma in piena sicurezza. Abbiamo fatto un primo passo importante con l’accordo sulle linee guida con Regioni, Province e Comuni, guai a immaginare divisioni su un tema che interessa milioni di famiglie». Roberto Speranza, ministro della Salute, guarda al 14 settembre, alla ripartenza delle scuole, alla sfida al coronavirus fatta di reperimento di nuovi locali per garantire le distanze, ingressi scaglionati ove necessari e mascherine sopra i sei anni («un uso appropriato a seconda del quadro epidemiologico»). I Dipartimenti di prevenzione delle Asl seguiranno gruppi di scuole, ci sarà un controllo medico costante, sul vecchio modello della medicina scolastica.
    Cosa ci aspetta?
    «E’ fondamentale riaprire in sicurezza, e possiamo farlo solo monitorando costantemente il quadro epidemiologico. L’epidemia ci ha colpito molto seriamente, non possiamo dimenticare ciò che è successo a marzo e aprile».
    Se l’epidemia dovesse avere un’impennata le scuole potrebbero non riaprire?
    «No. Le scuole riapriranno. Sono fiducioso, lavoreremo per garantire da una parte il ritorno alle lezioni, dall’altra la sicurezza. Abbiamo previsto un altro miliardo di euro per la scuola per trasformare questa crisi in una opportunità. Bisogna recuperare ciò che di buono c’era in passato e che si è perso negli anni Novanta: un rapporto sistemico tra le scuole e i dipartimenti di prevenzione delle Asl. Scuola e Sanità devono lavorare insieme».
    Che tipo di misure dovranno aspettarsi le famiglie?
    «Sarà garantita, come richiesto dal Comitato tecnico scientifico, la distanza di un metro tra gli studenti. Gli investimenti serviranno per il personale e anche a reperire locali laddove siano insufficienti. Dovremo evitare gli assembramenti anche con ingressi scaglionati se necessario».
    Gli alunni dovranno indossare le mascherine?
    «Oggi, ricordiamolo, è in vigore un Dpcm che prevede l’uso delle mascherine nei luoghi al chiuso aperti al pubblico. Dai sei anni in su. Due settimane prima dell’inizio delle lezioni valuteremo la situazione con il Cts, studieremo i numeri dell’epidemia. E potremmo pensare anche a provvedimenti differenti da regione a regione».
    Farete i tamponi a tutti i dipendenti delle scuole?
    «Stiamo lavorando su due idee del Cts: test sierologici al personale prima della riapertura; tamponi molecolari a campione durante l’anno scolastico. Vorrei far passare un messaggio: la scuola è la priorità assoluta, lavoreremo con tutte le energie per la riapertura in sicurezza».
    In molti temono una seconda ondata del coronavirus. In Italia il virus circola, con focolai in varie regioni. Dobbiamo spaventarci?
    «I focolai ci dicono due cose: che il virus non è scomparso, ma anche che abbiamo nelle regioni un sistema di monitoraggio più rapido ed efficace che ci consente di individuare i problemi. Ora conosciamo meglio il nemico, a febbraio il nostro personale sanitario inevitabilmente non lo conosceva. Ora possiamo combatterlo meglio. Stiamo cercando il virus, anche con i test sierologici, questo ci aiuterà».
    Però non siamo riusciti ad azzerare la presenza del virus. E il rispetto delle regole, nei ristoranti, nei pub, nelle piazze, è saltato. Non servirebbero più controlli?
    «Gli italiani, contro ogni stereotipo, hanno dimostrato grande maturità e affrontato enormi sacrifici durante il lockdown, così la curva dell’epidemia si è abbassata. Ora è stazionaria, bisogna proseguire con il rispetto delle regole essenziali come il distanziamento, l’utilizzo delle mascherina e l’igiene delle mani. Ma più che in un approccio securitario, io credo in quello della persuasione dei cittadini. Sta passando un messaggio che il virus è vinto, non è così. Faccio un appello a tutti, dobbiamo vincere questa sfida. Per me non lo si fa mettendo un agente delle forze dell’ordine a controllare ciascun cittadino. Nel mondo i numeri sono preoccupanti. Ne abbiamo parlato con i ministri del G7».
    Il primo luglio l’Unione europea aprirà i confini anche a chi arriva da nazioni extra Schengen. Un rischio.
    «Stiamo registrando tra i 150mila e i 180mila contagiati al giorno nel mondo, non sono mai stati così tanti. L’America Latina ha una situazione gravissima. Non solo il Brasile. Anche paesi come Cile e Perù ci hanno superato come numeri di contagiati, nonostante una popolazione molto inferiore alla nostra. Chi ha puntato sull’immunità di gregge, ha fallito. Le nostre scelte, dolorose, sono state giuste. Le assicuro che non è stato facile, ogni volta, per me o per il Presidente del Consiglio, firmare le ordinanze nei giorni più drammatici. Anche per questo, per noi resta valido il Dpcm che prevede, fino al 15 luglio, quarantena obbligatoria per chi proviene da paesi extra europei».
    La Lombardia ha sempre moltissimi casi, anche 100-150 al giorno.
    «Ma c’è stato un periodo che ne ha avuti 3mila. Anche la Lombardia sta scendendo».
    Torniamo alla seconda ondata. Cosa abbiamo fatto perché in autunno non si ripeta la tragedia negli ospedali?
    «Abbiamo stanziato 3,25 miliardi di euro solo nel decreto rilancio. In 5 mesi abbiamo investito più che negli ultimi cinque anni. Stiamo potenziando la sanità di territorio, la prevenzione, ci sono molti più posti di terapia intensiva, in tre mesi abbiamo assunto 28.182 tra medici, infermieri e operatori sanitari. Questa tragedia ci ha dimostrato quanto sia stata sbagliata quella norma che per quindici anni, ha bloccato la spesa sul personale sanitario».
    Molte regioni vanno per conto loro, così la sanità non funziona.
    «Io con le regioni, in questi mesi, ho collaborato seriamente. Bisogna trovare un punto di equilibrio tra l’ipotesi di neo centralismo anacronistico e un ultra federalismo che romperebbe l’unità nazionale».
    Gli italiani avranno il vaccino?
    «L’Italia è nel cuore della sfida. Con Germania, Francia e Olanda abbiamo investito sul candidato vaccino più promettente, sviluppato dall’Università di Oxford, con la multinazionale AstraZeneca, che vede protagoniste eccellenze italiane (il vettore virale viene da Pomezia, e l’infialamento avverrà ad Anagni). Sono 400 milioni di dosi, 60 prima della fine del 2020. Se si rivelerà efficace, le prime dosi andranno a personale sanitario, anziani e soggetti fragili. Ovviamente, non c’è ancora certezza del risultato e stiamo valutando anche altri vaccini, con la Commissione europea, che saranno pronti nel 2021. Il vaccino è la vera soluzione a questa pandemia; se arriverà, in tempi che non hanno precedenti per rapidità, gli italiani lo avranno e lo avranno gratuitamente».
    Mauro Evangelisti



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    Ingressi scaglionati e sui mezzi pubblici per fasce d’età: ecco la scuola post Covid-19




    Gli studenti italiani torneranno a scuola il 14 settembre 2020. La ministra dell’istruzione Lucia Azzolina ha presentato le linee guida per la riapertura delle scuole con più di 3 miliardi a disposizione. Un dispiegamento di fondi mai visto.
    Più di 3 miliardi per la ripartenza della scuola, banchi singoli, lezioni anche nei cinema, ingressi scaglionati in classe e sui mezzi pubblici per fasce d’età per evitare sovraffollamenti. Ecco la nuova scuola post Covid-19.
    Il Ministero dell’Istruzione, così come segnala l’Ansa, fa già i primi conti di quanto destinato dal governo: “Quando sono arrivata al ministero ho chiesto di poter vedere i conti e i soldi non spesi. Mi è stato detto che ero il primo ministro a fare questa domanda. C’erano 800 milioni di euro del Programma operativo nazionale del Ministero dell’Istruzione non spesi e ora li stiamo spendendo. Quindi quel miliardo che si cercava in realtà c’era già ma nessuno lo aveva visto. Quindi per settembre abbiamo 2,5 miliardi, perché 1,5 lo avevamo messo nel decreto rilancio e ora abbiamo un miliardo in più”, a cui si sommano gli 800 milioni di euro. Totale, 3,3 miliardi”, ha affermato la ministra dell’Istruzione, Lucia Azzolina a Radio 24.
    I fondi serviranno anche ad implementare l’organico, “soprattutto quello della scuola dell’infanzia perché se si dovranno tenere lezioni a piccoli gruppi di bambini – spiega Azzolina – allora saranno necessari più docenti”.
    Intanto il sottosegretario all’Istruzione, Giuseppe De Cristofaro, chiede test sierologici per i docenti: “Significherebbe tutelare la salute non solo delle lavoratrici e dei lavoratori, ma anche degli 8 milioni di studenti e delle loro famiglie”.
    Una proposta che è già contenuta nelle linee del Comitato tecnico scientifico che parla di “programmi di screening in ambito scolastico sia di un programma coordinato di campionamento random o per classi di operatori scolastici e studenti per l’analisi molecolare d’identificazione dell’Rna di Sars Cov-2.


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    Attività laboratoriali, come si svolgeranno da settembre




    Il Piano scuola 2020-2021 per il rientro a settembre affronta anche il tema delle attività nei laboratori della scuola primaria, secondaria di I e II grado.
    Innanzitutto, sarà necessario predisporre l’ambiente, sia che siano laboratori interni sia che siano all’aperto come, ad esempio, nelle aziende annesse agli istituti agrari), adottando le normali accortezze in ordine alla sicurezza. Dovrà essere però posta particolare attenzione affinché lo svolgimento di ogni attività non avvenga prima che il luogo dell’attività didattica non sia stato opportunamente e approfonditamente igienizzato, nell’alternarsi tra un gruppo classe e l’altro.
    Inoltre, a seconda dell’indirizzo e delle particolari attività svolte, sarà opportuno sensibilizzare gli studenti a provvedere autonomamente al riassetto della postazione di lavoro, ovviamente escludendo le operazioni più complesse di competenza del personale tecnico.
    In merito alla pianificazione del curricolo e alla conseguente organizzazione delle attività, il Ministero spiega che le scuole secondarie di II grado hanno facoltà di collocare, ove possibile, le attività che prevedano l’utilizzo dei laboratori di indirizzo nella prima parte dell’anno scolastico, anche in forma di aggregazione per ambiti disciplinari, adottando ogni soluzione che consenta di realizzare l’integrazione o il consolidamento degli apprendimenti tecnico pratici non svolti nell’a.s. 2019-2020 a causa della sospensione delle attività didattiche in presenza.
    Anche per le attività laboratoriali restano comunque ferme le indicazioni di distanziamento fisico previste per le aule.



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    Troppi cerotti per il presente, pochi mattoni per il futuro


    Che cosa rimarrà della lunghissima chiusura delle scuole causata dal Covid-19? Torneremo allo status quo ante o sarà l’occasione per accelerare la modernizzazione del nostro sistema scolastico, che anche prima dell’emergenza già faticava a colmare le distanze dalle altre nazioni? Quali misure prese in questi mesi si riveleranno essere non solo cerotti per il presente, ma anche mattoni per il futuro? Domande alle quali è difficile rispondere.L’impressione, però, è che ci sia distacco fra realtà e retoriche prevalenti nel dibattito pubblico: forse cambiamenti significativi potrebbero arrivare dagli aspetti al momento meno apprezzati, mentre annunci sulla nuova fase della scuola rischiano di rivelarsi esagerati e prematuri.
    Subito prima e dopo l’uscita tardiva delle linee guida del ministero dell’Istruzione, il dibattito pubblico ha guardato a due aspetti: gli spazi della scuola e della didattica, che potrebbero non bastare a settembre, con la prospettiva di interventi sull’edilizia scolastica che si vorrebbero utili anche per il futuro; la consistenza dell’organico docente, anche in questo caso forse insufficiente per una riapertura in sicurezza, ma il cui incremento definitivo – alcuni dicono – potrebbe migliorare la qualità dell’insegnamento. In entrambi i casi, la volontà politica sembra volere sfruttare l’emergenza per un’accelerazione che guardi oltre.
    Per spiegare i nostri dubbi, partiamo dagli spazi. Il governo vuole riportare tutti in aula a settembre, limitando il più possibile divisioni delle classi, turni, scaglionamenti in ingresso e in uscita, riduzione del tempo delle lezioni. A tale scopo, è stato previsto un distanziamento molto blando – un metro lineare fra le ormai celeberrime «rime boccali» – al di sotto degli standard internazionali per il Covid-19. Per gli spazi che dovessero mancare si sono poi investiti 331 milioni di euro per la cosiddetta “edilizia leggera”, cioè, interventi a discrezione dei dirigenti scolastici per ridurre l’affollamento nelle aule e all’ingresso/uscita. Altre risorse, più importanti, dovrebbero esserci per interventi strutturali di rinnovamento di un patrimonio di edilizia scolastica che risale per quasi i due terzi a prima degli anni ’70 e ha problemi di sicurezza, di sostenibilità ambientale e – come insisteva il Rapporto sull’edilizia scolastica della Fondazione Agnelli – di adeguatezza degli spazi scolastici per strategie didattiche più moderne. Credo che quanto si dovrà e si riuscirà a fare entro settembre poco servirà a risolvere questi problemi. Anzi, è probabile che proprio l’esigenza di garantire sicurezza e distanziamento porterà a un uso piuttosto statico degli spazi e a privilegiare la didattica più tradizionale, quella frontale. Di converso, i due mesi estivi ovviamente non basteranno per gli interventi strutturali.
    Passiamo agli insegnanti. Ne servono di più a settembre? Probabilmente sì, se per il distanziamento occorrerà ridurre il numero di studenti per classe e talvolta estendere la durata del tempo scuola. In tal caso, sarà giusto assumere per il tempo necessario più docenti a tempo determinato – come già previsto dal governo – e magari proporre ore di straordinario ai docenti che fossero disponibili. Servono più insegnanti per migliorare la nostra scuola in futuro? Non siamo fra chi lo pensa. L’Italia è uno dei paesi con il rapporto docenti/studenti più ridotto (10 alle secondarie, contro i 13 della media Ocse) e il numero medio di allievi per classe è basso (da 19 alla primaria a 22 alle superiori): infatti, al di là delle affermazioni della ministra Azzolina, prima del Covid-19 le classi pollaio non sono mai state un problema (meno dell’1% del totale). Inoltre, sappiamo che la popolazione studentesca sta diminuendo a grande velocità (1 milione in meno nel 2030). No, anche dopo il Covid-19 la questione degli insegnanti in Italia non è un incremento del loro numero. Le vere carenze riguardano la qualità della formazione, l’efficacia dei meccanismi di reclutamento, gli incentivi di carriera, retribuzione e il prestigio sociale da dare ai migliori laureati per indurli a scegliere la professione, soprattutto nelle aree disciplinari (incluso il sostegno) che oggi soffrono una mancanza di docenti qualificati.
    Al di là della retorica, si potrebbe infine scoprire che un’eredità di questi mesi che servirà per il futuro della scuola italiana è la vituperata didattica a distanza. Oggi è considerata l’esito scolastico più negativo del lockdown. Perché iniqua nei confronti degli studenti più disagiati, anche per il modo improvvisato con cui è stata realizzata e il ritardo digitale italiano. E certamente incapace di sostituire la didattica in presenza. Ha, però, rivelato a molti insegnanti uno strumento potenzialmente prezioso: un suo uso intelligente è infatti complementare alle attività in presenza, consente di tenere viva l’attenzione, sviluppa la capacità di lavoro autonomo degli studenti, elimina i tempi morti della lezione, come la correzione dei compiti. Indubbiamente, una freccia in più all’arco di un buon insegnante.
    *Direttore Fondazione Agnelli


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    Sì a classi anche con meno di 15 alunni. 50mila docenti ed ATA in più, ma licenziati se ci sarà lockdown


    Approvato in V commissione bilancio alla Camera il testo del dl Rilancio. Adesso il testo passerà all’esame dell’Aula, dove già lunedì dovrebbe arrivare la fiducia. All’interno anche interventi che riguardano la scuola.
    Classi con 15 alunni
    Un emendamento approvato in V Commissione bilancio prevede che, in deroga al limite minimo di alunni, le classi delle elementari potranno avere anche meno di 15 bambini. La deroga al limite potrà avvenire anche negli altri ordini e gradi di istruzione.
    Le modifiche sono strettamente collegate alle indicazioni delle linee guida sulle modalità di rientro a settembre.
    Aumento organici
    Un altro emendamento approvato consente, sempre nel contesto dell’emergenza sanitaria, un aumento di incarichi temporanei sia per i docenti sia per il personale Ata, Si tratta di contratti a tempo che, cesserebbero, in caso di stop alle lezioni in presenza a seguito dell’acuirsi della diffusione del Covid.



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    Ritorno a scuola, i docenti non sono obbligati a fare didattica nei nuovi locali esterni. Rusconi (Anp): troppe responsabilità


    In vista del rientro a scuola a settembre, non c’è solo il problema dei tempi ristretti per l’individuazione e degli adattamenti dei nuovi spazi – 70 mila nuove aule o tensostrutture – dove collocare gli alunni in eccesso delle classi numerose dove non si rispetterebbe la distanza minima, oltre che dell’incremento adeguato di docenti e Ata: a rendere la situazione ancora più complicata per la gestione dei locali esterni, ci sono ora delle considerazioni dei sindacati sulle responsabilità dei dirigenti scolastici, sulla sicurezza, sulle mancate certificazioni, sui problemi della pulizia, sui banchi monoposto da acquistare, sui trasporti da utilizzare per raggiungere le sedi. Infine, non vi sarebbe alcun obbligo contrattuale da parte di docenti nello svolgere attività didattica ordinaria al di fuori della sede di servizio. Si tratta di diverse criticità oggettive sulle quali fino ad oggi non si sono mai soffermati nemmeno i promotori politici più fervidi delle attività scolastiche anche nei musei e nelle biblioteche, a partire dalla viceministra Anna Ascani (Pd) e dal presidente della VII commissione della Camera Luigi Gallo (M5S).
    Rusconi (Anp Lazio): non rientra nelle loro competenze
    Ad evidenziare i vulnus sulla didattica fuori scuola è stato il Consiglio Regionale dell’Anp Lazio, che il 3 luglio si è riunito a distanza per un confronto sulle criticità connesse con la ripresa delle attività didattiche in presenza a settembre.
    “I dirigenti scolastici – sostiene Mario Rusconi, presidente Anp Lazio – non intendono andare alla ricerca di locali, in quanto tale azione non rientra nelle loro competenze”.
    Inoltre, continua Rusconi, i presidi “non possono assumere le responsabilità connesse con la sicurezza e il DVR di ambienti che non conoscono e su cui non hanno margini di azione.”
    Il sindacalista si sofferma, quindi, su mancato “obbligo”, poiché “non è previsto nel CCNL del comparto scuola né in altra fonte normativa, dei docenti di recarsi a svolgere attività didattiche in essi, con relative responsabilità nella vigilanza degli studenti e senza supporto di collaboratori scolastici”.
    In pratica, Rusconi sostiene che i docenti potrebbero puntare i piedi, contratto alla mano, e sostenere di non essere tenuti a recarsi nei locali individuati, adducendo motivi legati alla mancata sicurezza e sorveglianza degli alunni.
    Banchi introvabili e trasporti in alto mare
    Un altro punto spinose è quello dei banchi monoposto: “sono già ora introvabili sul mercato – dice il leader di Anp Lazio – e la produzione non potrà mai soddisfare la richiesta su scala nazionale. Si chiede di capire come debbano muoversi i DS rispetto a questa accertata indisponibilità”.
    Rusconi ha anche sollevato il problema dei trasporti da utilizzare per recarsi a scuola a settembre: “nelle province del Lazio è tutto fermo da parte degli enti locali nell’attivazione di tavoli di confronto e di rimodulazione degli orari dei trasporti pubblici”.
    Cisl Scuola: chi pulisce e sorveglia i locali aggiuntivi?
    Il problema delle certificazioni per l’utilizzo dei nuovi locali è sollevato pure dalla Cisl Scuola: “Chi deve certificare la capienza delle aule, considerando le responsabilità degli enti locali in tema di consegna dei locali scolastici e certificazione della destinazione d’uso?”, si chiede il sindacato guidato da Maddalena Gissi.
    Già per le attuali aule, collocate nelle scuole, continua l’organizzazione Confederale , “occorre fornire chiare indicazioni sugli standard da rispettare: come deve essere intesa la frequenza di pulizia dei servizi igienici utilizzati dagli alunni e dagli adulti? E degli spogliatori delle palestre? Quanti servizi igienici devono essere disponibili in relazione al numero degli allievi presenti? Quali sono i tempi prescritti per l’aerazione degli ambienti scolastici e con quale frequenza devono essere areati?”, domanda ancora la Cisl
    Il problema, dice ancora la Cisl, si amplifica per i nuovi spazi che ospiteranno gli alunni in più: “Chi ne certifica l’idoneità? Chi effettua la pulizia dei locali? Chi effettua il trasporto degli alunni nei nuovi locali?”.
    Quello del controllo, dice ancora il primo sindacato della Scuola, è un punto che ritorna più volte: “Se verranno recuperati locali esterni chi vigilerà sugli alunni nel periodo di spostamento dei docenti?”.


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    Ritorno a scuola, test sierologici a docenti e ATA 15 giorni prima delle lezioni. Lo chiede il CTS




    Il Comitato tecnico scientifico ha chiesto esplicitamente al Governo di effettuare test sierologici a tutto il personale scolastico quindici giorni prima dell’avvio delle lezioni in presenza. Chi risulterà positivo al test dovrà sottoporsi al tampone.
    Riapertura scuole: più che un’ipotesi i test sierologici
    Sembra pertanto concretizzarsi l’idea più volte prospettata di effettuare un controllo al personale ai fini di prevenzione del contagio. E’ chiaro che l’ultima parola spetta al Governo, ma appare piuttosto improbabile il rigetto della proposta.
    In base a quanto riporta il Corriere della Sera, il commissario Domenico Arcuri sarebbe già pronto ad attivare la gara d’appalto per la fornitura di due milioni di test, proprio a dimostrazione dell’altissima probabilità che si possa procedere in tal senso.
    Nei giorni scorsi lo stesso Ministro della Salute, Roberto Speranza, ha fatto intendere a chiare lettere che il test sierologico ai dipendenti della scuola sarebbe una misura necessaria. E per tale motivo i test dovranno effettuarsi almeno 15 giorni prima dell’inizio delle lezioni, proprio per verificare lo stato di salute di docenti e ATA e scongiurare contagi multipli se non addirittura focolai.
    Ancora non si comprende se la misura sarà obbligatoria, ma è chiaro che per la prevenzione di tutta la comunità scolastica i dipendenti verranno invitati a sottoporsi ai test sierologici.
    Rientro a scuola: non tutti sono d’accordo per l’obbligo dei test sierologici
    A tal proposito nei giorni scorsi è partita una raccolta firme che mira proprio ad evitare l’obbligo di sottoporsi ai test per il personale scolastico: si chiede, infatti, la libertà di scelta su un tema molto delicato.
    E questo potrebbe rappresentare già un primo problema perché se manca l’obbligatorietà dei test potenzialmente ci si espone a rischi di contagi, ma imporre l’obbligo di test sierologici potrebbe creare problemi evidenti che andrebbero ad invadere la sfera personale dei lavoratori.
    Anche l’organizzazione dell’operazione potrebbe causare qualche problema anche se, secondo le indiscrezioni del Corriere della Sera, la questione già avrebbe una risoluzione: “la pianificazione sarà effettuata in collaborazione stretta con le Regioni che dovranno fornire l’elenco di tutte le scuole e programmare l’effettuazione delle analisi in accordo con i provveditorati. A quel punto — questo è il suggerimento dei componenti del Comitato tecnico scientifico — potrebbe rivelarsi indispensabile l’impiego dei soldati e delle forze di polizia che si recheranno negli istituti con i kit e procederanno ai prelievi“.



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    Ritorno in classe, servirà lo psicologo scolastico: con il Covid giovani (e docenti) sottoposti a troppo stress


    Con il ritorno a scuola di tutti gli alunni, si torna a parlare di psicologo da introdurre in tutti gli istituti scolastici: l’esperto di sostegno psicologico sosterrebbe gli alunni (ma anche i docenti, sempre più sottoposti a stress e burnout) per le loro problematiche individuali e migliorerebbe le relazioni, aspetto fondamentale anche ai fini dell’apprendimento delle competenze.
    I giovani senza più punti di riferimento
    Mai come ora, la presenza dello psicologo scolastico appare inevitabile. Secondo David Lazzari, presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine degli Psicologi, “la pandemia ha esposto i più giovani a un fortissimo stress, privandoli di punti di riferimento e abitudini quotidiane fondamentali. Per questo, alla ripresa delle lezioni è assolutamente necessario offrire una capillare assistenza psicologica nelle scuole”.
    Lo psicologo, tra l’altro, potrà essere un riferimento anche per il corpo docente, anch’esso provato non poco dall’emergenza epidemiologica, e per gli stessi genitori degli alunni che ne sentissero l’esigenza.
    Già prima del Covid…
    “Già prima del Covid-19 – ha continuato Lazzari – si avvertiva l’utilità degli psicologi a scuola perché, va ricordato, il nostro primo compito è promuovere le risorse dei singoli e delle comunità, promuovendo risorse adattive e di resilienza. Ora, la situazione è ancora più difficile per l’impatto della pandemia e l’incertezza sulla seconda ondata. Dobbiamo evitare che il disagio diventi patologico intervenendo nei modi e nei tempi giusti”.
    “Da questo punto di vista – ha concluso il Presidente del Cnop – rileviamo con soddisfazione la grande sensibilità della ministra Azzolina che si sta impegnando per garantire il supporto psicologo necessario in vista della ripresa di settembre, affrontando finalmente la questione”.
    Il disegno di legge
    A livello legislativo, una delle proposte più decise in questa direzione è stata presentata nel 2018 dall’on. Maria Teresa Bellucci, capogruppo di Fratelli d’Italia in Commissione Affari Sociali e in Commissione Bicamerale Infanzia e Adolescenza: lo “psicologo scolastico”, si leggeva nel ddl, è “uno strumento di promozione del benessere e di prevenzione della devianza e della dispersione. I continui fatti di cronaca, purtroppo, mostrano come sempre più frequentemente siano presenti situazioni di disagio sociale all’interno degli istituti scolastici, nei quali si verificano episodi di violenza a danno degli studenti ma anche degli stessi docenti”.
    La proposta è stata anche avallata da Fulvio Giardina, presidente uscente del Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi, secondo il quale “sono in aumento le richieste di consulenza su questi aspetti e stiamo studiando una modifica del codice deontologico che attualmente prevede che l’adolescente essendo minorenne abbia il consenso di entrambi i genitori: noi riteniamo che il ragazzo dai 16 anni in poi possa accedere individualmente almeno a un primo colloquio con uno psicologo”.
    Un servizio esercitato solo da psicologi specializzati
    Una sentenza della Cassazione ha però confermato che gli psicologi possono stare in classe, su appuntamento, solo se i genitori degli alunni sono stati informati della loro presenza e abbiano dato il consenso a che i comportamenti dei figli siano sotto osservazione clinica.
    Ovviamente, il servizio offerto all’interno delle scuole non potrà essere assolto dai docenti e nemmeno da psicologi non specializzati: lo psicologo scolastico deve essere iscritto all’albo degli psicoterapeuti, con ampia esperienza, accumulata presso strutture ospedaliere pubbliche o riconosciute dallo Stato.


    Tecnica della scuola
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    Riapertura scuole settembre: gestione apertura porte e finestre, abbigliamento, qualità dell’aria




    Avevamo già accennato all’interessante, molto ben strutturate e utilissimo, progetto di ricerca “Il cambiamento è nell’aria” promosso dalla Libera università di Bolzano (con la collaborazione di ricercatori dell’Università IUAV di Venezia e delle Università di Trento e Padova) e da Agorà (una realtà che da tempo promuove eventi di formazione collegati al tema della sostenibilità applicata all’edilizia), con il coinvolgimento attivo, in un percorso di P.C.T.O., degli studenti del triennio di un Istituto d’Istruzione Superiore in provincia di Roma, l’I.I.S. Margherita Hack di Morlupo.
    Qui, invece, presentiamo i dati emersi dall’indagine e dalla ricerca, premesso sempre che “l’aumentare nei paesi industrializzati delle patologie croniche a carattere respiratorio (asma, bronchite acuta) anche nei più giovani ha determinato l’esigenza di uno studio scientifico che indagasse la correlazione diretta tra la cattiva qualità dell’aria all’interno degli edifici scolastici e l’incidenza sempre più significativa nella popolazione giovanile di tali patologie, con le inevitabili ripercussioni in termini di difficoltà di concentrazione e di apprendimento. La qualità dell’ambiente indoor e in particolare quella dell’aria sono da tempo considerati di particolare criticità specialmente negli spazi caratterizzati da una elevata densità di occupazione, come avviene nel caso delle scuole”. Un grande grazie per i risultati della ricerca lo si deve al gruppo di lavoro formato da: per AGORÀ Davide Michetti, Silvia Pinci, Carla De Meo; per l’IIS MARGHERITA HACK Gaetana Iacobone, Sonia Sgavicchia, Alessia Buggea, Giulia Bezzini, Nicolino Carbone, Silvia D’Isidoro e ai 109 studenti delle classi 3A, 3B, 3C, 4B, 4C; per UNIBZ Andrea Gasparella, Federica Morandi; per IUAV a Francesca Cappelletti; per UNIPD Ilaria Pittana; per UNITN a Alessandro Prada.
    I parametri misurati
    I ricercatori coinvolti nella ricerca premettono, prima della presentazione dei dati che “le attività previste dal progetto hanno dovuto subire una brusca interruzione a causa dell’emergenza sociosanitaria legata al Covid-19”.
    Nonostante tutto, però, i dati raccolti ritraggono manifestamente una condizione che richiede attenzione.
    I parametri definiti, utilizzati e misurati hanno permesso di misurare l’esposizione media degli studenti in relazione ai valori soglia, ovvero quelli che necessitano particolarmente, di attenzione che sono individuati dalla normativa di riferimento (in particolare dalla EN 16798). Di seguito vengono evidenziati e indicati per come individuati nel progetto di ricerca “Il cambiamento è nell’aria” tutto ciò che è necessario per avviare l’anno scolastico 2020-2021.
    • Per quanto riguarda gli aspetti termoigrometrici, le caratteristiche del sistema di riscaldamento, unitamente al comportamento degli studenti, hanno consentito di mantenere valori in linea con gli intervalli suggeriti dalla norma.
    • Per quanto riguarda invece la concentrazione di CO2 e la ventilazione, l’indagine ha evidenziato come i valori di qualità richiesti non siano ottenuti per quasi la totalità del tempo di esposizione. I dati indicano anche come un ricorso alla ventilazione naturale, anche se fosse più esteso di quanto già fatto nelle due settimane (le finestre sono risultante completamente chiuse per meno della metà del tempo), difficilmente possa garantire i tassi di ricambio richiesti.
    • Per quanto riguarda gli aspetti visivi, l’illuminamento sul piano di lavoro è quasi sempre stato molto inferiore alle indicazioni previste dalla norma, a prescindere dal ricorso all’illuminazione artificiale. L’uso delle tapparelle necessario per limitare i fenomeni di abbagliamento riduce la disponibilità di luce naturale ma il ricorso alla luce artificiale (per la maggior parte del tempo e in tre aule per oltre l’80% del tempo) non ha garantito l’illuminamento minimo richiesto.
    Le valutazioni complesse del questionario
    Le valutazioni soggettive espresse con il questionario mostrano un quadro ancora più complesso:
    • La soddisfazione globale per l’ambiente è espressa in termini positivi solo dal 43% degli studenti intervistati.
    • L’ambiente termico, nonostante le misure ambientali fossero risultate confortanti, raccoglie una percentuale di soddisfazione che varia dal 24% al 79% a seconda. La preferenza differisce a seconda dell’orientazione dell’aula, con classi che richiederebbero temperature inferiori e altre che preferirebbero temperature maggiori, dimostrando una inefficace regolazione termica dell’impianto di riscaldamento.
    • Coerentemente con le indicazioni delle misure, la situazione è particolarmente critica per quanto attiene alla qualità dell’aria. Solo nell’aula con minore densità di occupazione si ottiene un valore di soddisfazione superiore al 70%. In tre delle cinque aule la soddisfazione è inferiore al 40% con un minimo del 13%. L’aria viziata e la polvere sono particolari elementi di disturbo segnalati.
    • L’ambiente visivo e quello acustico sono gli ambiti in cui gli studenti si dichiarano quasi sempre più soddisfatti che insoddisfatti. Per quanto riguarda l’ambiente visivo, la preferenza espressa evidenzia comunque l’esigenza di ambienti più luminosi, in coerenza le misurazioni di medio termine. Non è stata individuata una causa di disagio prevalente tra fonti di abbagliamento e visione dell’esterno, anche se è stato espresso disturbo di entrambe le origini.
    • Per quanto riguarda l’ambiente acustico, la principale fonte di disturbo segnalata è di origine interna (persone che parlano). L’interazione tra gli utenti e l’edificio è evidentemente condizionata dalle condizioni di comfort, anche se le opzioni disponibili sono limitate e non tutte sono adottate o adottabili.
    Il comportamento degli utenti
    L’indagine sul comportamento degli utenti ha portato alla luce interessanti pattern comportamentali:
    • Per quanto riguarda l’ambiente termico, la prima strategia considerata riguarda l’aggiustamento dell’abbigliamento, un’azione che ha un’efficacia individuale, seguita dall’apertura/chiusura delle finestre, scelta che condiziona anche gli altri studenti e che quindi dev’essere spesso negoziata. Non sorprende che tra gli elementi di disturbo termico più segnalati ci siano le correnti d’aria e i gradienti termici. L’azione più efficiente nel caso di caldo eccessivo, ovvero la regolazione delle valvole dei radiatori, è particolarmente sottovalutata, con prevedibili conseguenze sui consumi energetici.
    • L’azione più considerata per la qualità dell’aria è prevedibilmente la gestione delle finestre, ma va in competizione con le esigenze termiche e spesso ne viene condizionata per la sensazione di freddo. Anche le porte possono essere utilizzate allo scopo, evitando il possibile l’impatto sulla temperatura interna, ma compromettendo la qualità dell’ambiente acustico e l’attività didattica. Probabilmente per questa ragione è meno popolare (nel periodo di monitoraggio le porte sono risultate in effetti chiuse per più dell’80 % del tempo).
    • Riguardo all’ambiente visivo, si è notata una generale passività rispetto alle azioni migliorative: la maggior parte delle persone non considera alcun intervento diretto. Probabilmente il tipo di impatto sulla prestazione visiva collettiva in un ambiente come quello scolastico disincentiva l’adozione di azioni individuali e le riserva al docente. Coerentemente con le forme di disagio riferite, le tapparelle sono spesso abbassate e le luci rimangono accese.
    • Al contrario gli studenti sono molto più attivi per migliorare il comfort acustico. Le azioni sono varie e rispondono a diversi elementi di disturbo. La gestione dell’apertura di porte (e potenzialmente delle finestre) è legata alla necessità di isolarsi da rumori provenienti fuori dall’aula, mentre la richiesta di silenzio o di aumento del tono di voce del docente sono da imputarsi alle caratteristiche del campo sonoro dell’aula stessa. L’analisi nel complesso conferma gli obiettivi originari del progetto, che prevedeva di intervenire con azioni di informazione e sensibilizzazione sul comportamento degli studenti, identificando e condividendo prassi che consentissero un miglioramento del comfort globale, salvaguardando o migliorando se possibile l’efficienza energetica. Secondo le attese, le principali criticità emerse sono legate alla qualità dell’aria e le azioni per garantirla sono risultate insufficienti e talvolta problematiche, con interazioni e ricadute sul comfort termoigrometrico, sull’acustica e sui consumi dell’edificio. Nell’attuale mutato contesto legato all’emergenza Covid-19, quanto evidenziato assume una nuova luce, in modo specifico nella prospettiva del rientro a scuola. La prevenzione del contagio passa infatti attraverso un controllo della concentrazione e della distribuzione della carica virale che, sia pure con le proprie specificità, non è radicalmente diverso da quello di molti altri contaminanti indoor. Il corretto ricambio d’aria può infatti limitare il livello di CO2 e contenere la concentrazione della carica virale nell’ambiente confinato allo stesso tempo.
    La ventilazione e il COVID-19
    Tuttavia, la sola ventilazione naturale può risultare insufficiente per diverse ragioni che il gruppo di lavoro formato da: per AGORÀ Davide Michetti, Silvia Pinci, Carla De Meo; per l’IIS MARGHERITA HACK Gaetana Iacobone, Sonia Sgavicchia, Alessia Buggea, Giulia Bezzini, Nicolino Carbone, Silvia D’Isidoro e ai 109 studenti delle classi 3A, 3B, 3C, 4B, 4C; per UNIBZ Andrea Gasparella, Federica Morandi; per IUAV a Francesca Cappelletti; per UNIPD Ilaria Pittana; per UNITN a Alessandro Prada, ha voluto così sintetizzare:
    • Non riduce di per sé il contaminante alla fonte. Nel caso della CO2 la sua produzione aumenta con il numero di persone e con il livello di attività. Analogamente, la carica virale aumenta con il numero di persone infette e dipende dall’attività (parlare o alzare il tono di voce, così come svolgere attività fisica aumenta l’emissione di cariche virali).
    • Come osservato, la ventilazione naturale può non garantire l’elevato numero di ricambi orari richiesto o non garantirlo in maniera costante.
    • Può favorire la ricircolazione dell’aria interna con il trasporto delle cariche virali a postazioni lontane da quelle occupate dalle persone infette, potenzialmente anche in locali diversi, accentuando le problematiche di distanziamento.
    • Ricorrendo all’immissione diretta di aria esterna, può impattare notevolmente da un lato sul comfort termoigrometrico, dall’altro sul consumo energetico dell’edificio. Generando discomfort, può indurre comportamenti correttivi che risultano controproducenti per il controllo della qualità dell’aria. Un ruolo importante è giocato dal volume dell’ambiente in relazione al numero di occupanti. Volumi maggiori possono contribuire a mitigare il problema riducendo, a parità di produzione di contaminanti, la concentrazione raggiunta nello stesso intervallo di tempo e con la stessa portata di ventilazione. Nel caso del virus, è evidente che volumi più grandi consentono anche un maggiore distanziamento. Questo può aiutare a prevenirne la propagazione, ma solo a condizione che la circolazione dell’aria sia controllata o almeno nota, in modo da poter scegliere una disposizione corretta delle postazioni di lavoro. Ciò non è banale nel caso della ventilazione naturale. Un ultimo fattore è rappresentato dal tempo di esposizione che a parità di concentrazione aumenta il rischio di contagio. È quindi importante sapere a quanto limitare la permanenza in locali in condizioni di possibile esposizione al contagio, in relazione al volume dell’ambiente, al tasso di ventilazione e al numero di occupanti.
    La pianificazione della riapertura delle scuole
    Per quanto evidenziato, il progetto potrà assumere nuove valenze per pianificare e gestire la riapertura delle scuole.
    In particolare, consentirà di:
    • Sulla base delle misure già raccolte e della situazione di partenza, stabilire sin d’ora:
    a.quali livelli di qualità sono conseguibili con le nuove prescrizioni sul distanziamento, o quali interventi sono richiesti per il soddisfacimento dei requisiti di qualità dell’aria (aumento delle aperture in termini di frequenza e/o durata, riduzione dell’occupazione, riduzione dell’orario di permanenza, installazione di sistemi di ventilazione meccanica);
    b.quali parametri possono essere utilizzati per monitorare a basso costo la qualità dell’aria anche negli altri ambienti della scuola, definendo correlazioni e algoritmi di previsione che possono attivare segnalazioni di allerta;
    c.quale potrà essere l’impatto energetico delle nuove pratiche operative;
    d.la praticabilità di ulteriori misure correttive e migliorative sui comportamenti, sulla gestione dell’edificio e degli impianti o sull’implementazione di ulteriori soluzioni impiantistiche.
    • Nella fase di rientro a scuola, aggiornando il protocollo e integrando la strumentazione:
    a.supportare le valutazioni e le scelte operative, contribuendo a controllare l’attuazione e l’efficacia delle misure adottate;
    b.evidenziare l’impatto delle misure adottate sulle condizioni ambientali locali per il singolo soggetto, in funzione dei presìdi (mascherine, barriere) e dei comportamenti (distanziamento, aperture, durata delle lezioni) adottati, monitorando le nuove concentrazioni di inquinanti direttamente in postazioni rappresentative;
    c. analizzare l’effetto delle misure adottate sul comfort e sulla performance degli studenti e prevenire azioni di miglioramento scorrette o controproducenti;
    d.sperimentare sensori e sistemi, per monitorare l’ambiente e gli occupanti e per comunicare con essi, o per aumentare e gestire la ventilazione, filtrare o purificare l’aria.



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