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Discussione: L’alternanza scuola-lavoro conquista un istituto superiore su due

  1. #21
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    Predefinito Arriva l’azienda virtuale, palestra per entrare nel modo del lavoro

    Arriva l’azienda virtuale, palestra per entrare nel modo del lavoro


    I percorsi di alternanza scuola-lavoro potranno essere svolti nelle imprese, negli enti pubblici, nei musei. Ma non solo. Nei territori che hanno un tessuto imprenditoriale poco sviluppato, caratterizzato da un ridotto numero di imprese, per lo più di dimensioni piccole e medie, che hanno difficoltà a ospitare studenti per lunghi periodi, gli istituti scolastici potranno decidere di avviare «un’impresa simulata». Lo prevede la Guida operativa per la progettazione dei percorsi di alternanza scuola-lavoro inviata dal ministero dell’Istruzione alle Scuole superiori.
    Di che si tratta? In pratica è la costituzione di un’azienda virtuale animata dagli studenti, che svolge un’attività di mercato in rete (e-commerce) e fa riferimento a un’azienda reale (azienda tutor o madrina) che costituisce il modello di riferimento da emulare in ogni fase o ciclo di vita aziendale.
    I ragazzi assumono le sembianze di giovani imprenditori e riproducono in laboratorio il modello lavorativo di un’azienda vera, apprendendo i principi di gestione attraverso il fare (action-oriented learning). Lo scopo è quello di aiutare i giovani ad acquisire lo spirito di iniziativa e di imprenditorialità con gli strumenti cognitivi di base in campo economico e finanziario e – spiegano a viale Trastevere – «si può rivelare utile in tutti gli indirizzi di studi, se si considera come strumento di orientamento delle scelte degli studenti che, anche dopo un percorso universitario, hanno l’aspirazione di essere inseriti in una realtà aziendale».
    È anche una sorta di «palestra» per quei ragazzi che sognano di avviare un autonomo percorso imprenditoriale al termine degli studi, dando origine a start-up che operino attraverso il canale del commercio elettronico (e-commerce) «affidando le principali attività aziendali (come la gestione documentale, le rilevazioni contabili, il budgeting, il reporting, la logistica o la comunicazione) a soggetti specializzati in servizi di rete facenti capo a server remoti (cloud computing)».
    Tra le possibilità di alternanza scuola-lavoro previste dal «manuale» di viale Trastevere anche quelle della Bottega-scuola – che valorizza mestieri tipici di settori artigianali di eccellenza del Made in Italy – e dei Laboratori aperti anche in orario extra scolastico, spazi dove mettere in campo attività di orientamento al lavoro e di alternanza, ma anche progetti contro la dispersione scolastica e per il recupero dei Neet, i giovani non inseriti in percorsi di studio né nel mondo del lavoro.


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  2. #22
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    Scuola e azienda, la nuova alleanza per il futuro

    L’alternanza scuola-lavoro (work based learning) sta, finalmente, diventando una realtà anche nel nostro Paese e questo ci impone di adottare nuovi modi di pensare e nuovi comportamenti per affrontare una tra le sfide più grandi che abbiamo di fronte: il rinnovamento del modello educativo italiano. Dobbiamo rinnovarci per gestire e non subire ciò che l’innovazione tecnologica e la rivoluzione industriale, chiamata Industry 4.0, ci impongono. I cambiamenti nell’industria del futuro interesseranno i processi produttivi, l’organizzazione del lavoro e soprattutto le competenze delle persone che saranno chiamate ad adottarli.
    La riforma
    La “grande trasformazione” in atto a livello globale non prevede soluzioni di compromesso: si esce vincitori o perdenti. Non possiamo, quindi, affrontarla a compartimenti stagni; abbiamo bisogno di fare sistema, di stringere forti alleanze e quella tra il mondo produttivo e il mondo educativo è certamente strategica. Scuola e impresa, insieme, si rafforzano vicendevolmente. E la loro forza è la forza dei giovani di questo Paese. Questo è il grande messaggio della riforma.
    Sistema educativo aperto e moderno
    I nostri ragazzi devono affidarsi sempre più a un sistema educativo aperto e moderno, che li aiuti a riscoprire il gusto di lavorare, di formarsi un pensiero manuale e di entrare in contatto fin da subito con il mondo del lavoro e delle imprese.
    La sfida non è di poco conto. Implica che tutte le imprese, anche quelle che finora non hanno mai interagito con il mondo della scuola, siano disponibili ad accogliere gli studenti in percorsi di alternanza. L’impegno è elevatissimo. Chiediamo al Governo che metta le imprese italiane in condizione di accogliere questa grande sfida sia attraverso incentivi di natura giuridica che attraverso incentivi di natura economica.
    Modificare l’approccio educativo
    Anche le scuole devono modificare il loro approccio educativo. No al nozionismo, no all’identificazione della didattica con le sole materie. No alla considerazione della classe come un unicum inscindibile. Va introdotta la flessibilità nei programmi e negli orari didattici al fine di consentire una rotazione dei ragazzi anche in azienda. Scuola e impresa dovranno collaborare inoltre alla progettazione dei percorsi educativi utili al conseguimento delle competenze richieste e alla valutazione delle abilità acquisite dai ragazzi alla fine del percorso di alternanza.
    Alternanza già diffusa da tempo in Europa
    Alternare studio e lavoro come metodologia per un apprendimento efficace non è una novità di per sé. In Europa è una prassi diffusa. Il nostro Paese ci arriva tardi, troppo a lungo zavorrato da pregiudizi radicati e diffusi sul mondo del lavoro e sulle imprese, vissute più come luogo di sfruttamento e di lavoro esecutivo, che non come quello della crescita, dell’esperienza, dell’apprendimento individuale e del lavoro intelligente.
    Anche per questo non possiamo ancora contare su un modello unico di alternanza italiano, ma non partiamo da zero. Le scuole italiane che hanno avviato forme di alternanza sono moltissime (secondo una ricerca Miur più del 40%) e i progetti del sistema che possiamo considerare, almeno parzialmente di alternanza, sono più di 10mila.
    Possiamo quindi contare su tantissime esperienze che in questi anni si sono via via stratificate in modo spontaneo e straordinario, in cui imprese e scuole hanno collaborato liberamente senza schemi prefissati. Tante aziende, piccole, medie e grandi hanno aperto le loro porte agli studenti e i risultati formativi e occupazionali sono stati positivi. Questo sì è verificato principalmente dove le reti scuola-impresa funzionano, motivo per cui il fattore territorialità è determinante: siamo il Paese dei distretti industriali, possiamo diventare quello delle filiere intelligenti.
    Il progetto pilota «Traineeship»
    Ma abbiamo bisogno di mettere a fattor comune queste preziose esperienze e dare precise e utili indicazioni operative. Per questo, Federmeccanica ha avviato insieme al Miur il progetto Traineeship, la prima azione di sistema, concreta e valida su tutto il territorio nazionale da Pordenone a Palermo per la graduale diffusione dell’alternanza nella scuola italiana. Sarà definito, insieme a 50 istituti tecnici e professionali, selezionati con bando pubblico, 5mila studenti e 600 docenti tutor, un modello di alternanza scuola-lavoro valido per le imprese metalmeccaniche e per il Paese.


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  3. #23
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    Percorsi condivisi e più peso alla maturità: ecco le 10 proposte delle imprese per migliorare l’alternanza

    La riforma Renzi-Giannini ha reso l’alternanza scuola-lavoro obbligatoria per tutti gli studenti a partire dalle classi terze delle scuole superiori. Le ore di formazione “on the job” sono salite ad almeno 400 negli istituti tecnici e professionali (almeno 200 nei licei) e il Miur ha da pochi giorni inviato ai presidi una circolare di 94 pagine per illustrare tutte le novità in vigore da settembre. Adesso tocca alle imprese.
    Il vademecum per le aziende
    L’alternanza infatti si farà prevalentemente nelle aziende: ma i datori sono pronti? A loro guarda Confindustria che ha voluto dedicare a questo tema la seconda giornata dell’Education che si è svolta ieri a Roma all’università Luiss. Per l’occasione è stato preparato un manuale di istruzioni per gli imprenditori; una sorta di “vademecum” che offre suggerimenti pratici per le imprese e una rassegna di buone pratiche, già realizzate, che possono rappresentare modelli di riferimento nel lungo cammino sulla via italiana dell’alternanza scuola-lavoro.
    Il cambio di paradigma
    Finora i periodi di “studio e lavoro” hanno interessato una fetta marginale degli alunni italiani, poco più di 200mila, pari al 10% circa degli studenti delle superiori. Con l’alternanza obbligatoria cambia il paradigma di riferimento culturale, organizzativo e didattico: il “vademecum” di Confindustria riassume, quindi, vantaggi e benefici che la “nuova” alternanza potrà apportare a scuole e imprese, la cui reciproca collaborazione è ora indispensabile.
    Le istruzioni agli imprenditori
    Nel manuale pratico si fornisco i dettagli su come attivare i percorsi di alternanza scuola-lavoro: a partire dalla co-progettazione che coinvolge, su piani di comune responsabilità, scuole e imprese che nel vademecum possono trovare un riferimento utile per capire come incontrarsi. La guida chiarisce inoltre aspetti pratici quali le norme di sicurezza, la gestione dei costi di trasporto, la formazione di tutor scolastici e aziendali. C’è anche un paragrafo dedicato alla co-valutazione, responsabilità di scuola e impresa, che potrà esprimersi anche in occasione dell’esame di Stato: un’occasione per garantire agli studenti che seguono percorsi di alternanza una valutazione completa sulle competenze sviluppate durante il percorso formativo.
    Le 10 proposte di Confindustria per migliorare l’alternanza
    Le imprese sono, quindi, pronte a dare il loro contributo per garantire veri percorsi di alternanza e non semplici gite scolastiche. Per questo, Confindustria chiede al governo di migliorare alcuni aspetti contenuti nella riforma Renzi-Giannini. In particolare, si formulano 10 proposte. Le imprese sono disponibili ad aprire le porte dell’azienda agli studenti. Ma per supportare questo sforzo chiedono un aiuto all’esecutivo: incentivi e sgravi fiscali. Si chiede poi di inserire la formazione sulla sicurezza nei programmi scolastici di tutte le scuole secondarie superiori. Un’altra richiesta è quella di inquadrare i progetti di alternanza scuola-lavoro nell’ambito della responsabilità sociale d’impresa tenendo conto delle differenze tra piccola e grande impresa. Si chiede anche di prestare attenzione non solo alla fase di orientamento e di preparazione/progettazione del percorso di alternanza, ma anche alla sua realizzazione e alla restituzione dei risultati per dare significato all’esperienza, curando la motivazione degli studenti e responsabilizzando il tutor/referente della scuola.
    Nuova didattica
    Va poi avviata una sperimentazione per individuare quali possano essere – a legislazione vigente – le tipologie di prova più adatte alla valutazione delle esperienze di alternanza scuola-lavoro in sede di esame di Stato. È importante poi attribuire alle organizzazioni di rappresentanza delle imprese il ruolo di regia locale organizzativa per il coordinamento, la co-progettazione e la pianificazione dei percorsi di alternanza prevedendo contestualmente una sufficiente copertura finanziaria. Un’altra richiesta è quella di articolare la seconda prova dell’esame di maturità sulla base di una tematica generale definita a livello centrale lasciando alle singole scuole la redazione di dettaglio. Si chiede poi di inserire la partecipazione dello studente a un percorso di alternanza scuola-lavoro tra le motivazioni valide ai fini dell’integrazione del punteggio attribuibile dal consiglio di classe in sede di maturità nel rispetto del massimale di 20 punti complessivi
    E ancora: Confindustria chiede di prevedere per le attività di alternanza effettuate all’interno del normale percorso curriculare che la prestazione del medico sia pagata da fondi dello Stato e delle Regioni sul modello di quanto previsto dalla normativa sugli stage rispetto alla posizione Inail. La decima e ultima richiesta delle imprese sull’alternanza è quella di definire uno status dello studente in alternanza scuola-lavoro che lo distingua dal lavoratore.


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  4. #24
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    Viaggio tra le norme che disciplinano l’alternanza scuola-lavoro

    Con l’entrata in vigore della legge 107/2015, l’alternanza scuola-lavoro diventa parte integrante dell’offerta formativa. Lezioni fuori dalle aule, imparando sul campo, in aziende e uffici pubblici, non è più solo uno slogan ma un percorso formativo obbligatorio e vincolante per le scuole.
    Come nasce l’alternanza
    L’alternanza, in realtà, non nasce con la «Buona scuola» recentemente approvata. Correva l’anno 2003 quando la legge del 28 marzo n.53, meglio nota come Delega al Governo per la definizione delle norme generali sull’istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale, all’articolo quattro si occupava proprio di alternanza scuola-lavoro. Il legislatore aveva previsto attività rivolte ad alunni dai 15 ai 18 anni, che prevedevano l’alternanza di periodi di studio e di lavoro, sotto la responsabilità dell’istituzione scolastica o formativa, sulla base di convenzioni con imprese o con le rispettive associazioni di rappresentanza o con le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, o con enti pubblici e privati ivi inclusi quelli del terzo settore, disponibili ad accogliere gli studenti per periodi di tirocinio che non costituiscono rapporto individuale di lavoro.
    Il quadro generale del 2005
    Il decreto Legislativo 15 aprile 2005, n. 77 (in GU 5 maggio 2005, n. 103) ha poi definito le norme generali relative all’alternanza scuola-lavoro, concretizzando quanto previsto proprio dell’articolo 4 della legge 28 marzo 2003, n.53. Nella norma sono, inoltre, indicate le finalità dell’alternanza che prevedono l’attuazione di modalità di apprendimento flessibili e equivalenti sotto il profilo culturale ed educativo, rispetto agli esiti dei percorsi del secondo ciclo, che colleghino sistematicamente la formazione in aula con l’esperienza pratica; l’arricchimento della formazione acquisita nei percorsi scolastici e formativi con l’acquisizione di competenze spendibili anche nel mercato del lavoro; l’attuazione di buone prassi per favorire l’orientamento dei giovani per valorizzarne le vocazioni personali, gli interessi e gli stili di apprendimento individuali; la realizzazione di un organico collegamento delle istituzioni scolastiche e formative con il mondo del lavoro e la società civile; la correlazione dell’offerta formativa allo sviluppo culturale, sociale ed economico del territorio. Per le attività di alternanza è prevista la valutazione, la certificazione e il riconoscimento dei crediti. Le competenze acquisite dagli studenti, costituiscono crediti, sia ai fini della prosecuzione del percorso scolastico o formativo per il conseguimento del diploma o della qualifica, sia per gli eventuali passaggi tra i sistemi ivi compresa l’eventuale transizione nei percorsi di apprendistato. La valutazione e la certificazione delle competenze acquisite dagli alunni in situazione di handicap che frequentano i percorsi in alternanza sono effettuate a norma della legge 5 febbraio 1992, n. 104, con l’obiettivo prioritario di riconoscerne e valorizzarne il potenziale, anche ai fini dell’occupabilità. A questo proposito le istituzioni scolastiche o formative rilasciano, a conclusione dei percorsi in alternanza, una certificazione relativa alle competenze acquisite nei periodi di apprendimento mediante esperienze di lavoro.
    L’esperienza dei Poli tecnico professionali
    Tra i diversi interventi più significativi per avvicinare la scuola al lavoro, rientra la costruzione di Poli tecnico professionali (Art. 52 Decreto Legge n.5/2012 convertito, con modificazione, dalla Legge 4 aprile 2012, n. 35), e gli Istituti Tecnici Superiori (Dpcm 25 gennaio 2008). I Poli nascono con l’obiettivo di annodare filiere formative e filiere produttive, reti tra istituti tecnici, istituti professionali, realtà produttive, centri di formazione professionali, per migliorare l’offerta formativa e realizzare una forte integrazione tra mondo lavoro e mondo scuola. Gli Its, con l’obiettivo di costruire e consolidare un nuovo segmento educativo terziario non universitario che completi l’istruzione tecnica e risponda alla domanda delle imprese di nuove ed elevate competenze tecniche e tecnologiche per promuovere i processi di innovazione; il potenziamento dell’alternanza scuola lavoro.
    La riforma Renzi-Giannini
    La legge 107/15 ha previsto lo stanziamento di 100 milioni di euro all’anno per l’alternanza a decorrere dal 2016, prevedendo che i percorsi di alternanza scuola-lavoro siano attuati in tutte le classi del secondo biennio e quinto anno delle scuole secondarie di secondo grado per almeno 400 ore per tecnici e professionali, e 200 ore nei licei. Infine il Miur, in vista della entrata in vigore delle norme della Legge 107/15 sull’alternanza scuola lavoro, ha emanato una “Guida operativa” (10/10/2015) con le indicazioni operative relative alla realizzazione dei relativi percorsi formativi.


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  5. #25
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    Licei, è rebus per l’alternanza. «Stage a rischio per gli studenti»

    Diverse le segnalazioni di scuole in difficoltà. Presentata anche un’interrogazione del Pd al ministro Stefania Giannini, che risponderà mercoledì durante il question time
    Valentina Santarpia
    Migliaia di studenti in cerca di stage, ma musei, biblioteche, istituzioni culturali e studi privati chiudono le porte. Almeno per ora. L’alternanza scuola lavoro, legge da luglio, rischia di arenarsi contro la – complicata – organizzazione pratica delle ore che gli studenti dovranno trascorrere lontani dalle aule. La riforma 107 impone infatti 400 ore di lavoro/tirocinio in azienda agli studenti degli istituti tecnico-professionali e 200 ore a quelli dei licei. Ma, mentre nel caso dei ragazzi e delle ragazze che seguono un percorso professionalizzante il rapporto con le fabbriche e le aziende è immediato, per i licei la questione diventa assai più complessa. Nel primo caso, ci sono già rapporti consolidati con le imprese, che sono interessate a coltivare giovani talenti da assorbire. Nel caso dei liceali, invece, le istituzioni culturali sembrano del tutto impreparate ad accogliere ragazzi, spesso minorenni, a cui affiancare tutor, nonostante la scarsità di risorse professionali, e senza averne nessun ritorno economico. Risultato? Molti musei, biblioteche e istituti hanno detto no alle richieste delle scuole, che si sono trovate costrette ad accantonare per ora la questione. Con il rischio che le prime settanta ore di alternanza, previste dal pacchetto per gli studenti del terzo anno, finisca per tramutarsi in una farsa: «Molte ore le svolgeremo in classe facendo intervenire tutor esterni», esemplifica una professoressa.
    Il caso in Parlamento

    Che l’emergenza ci sia, lo testimonia un’interrogazione del Pd, che rileva: «Le nostre scuole superiori stanno incontrando varie difficoltà con gli enti pubblici e privati per l’organizzazione dei percorsi di alternanza scuola-lavoro». Il motivo? «La scarsa conoscenza della normativa e una certa diffidenza nell’aprire certe istituzioni al mondo della scuola stanno ritardando questa parte importante della formazione scolastica: pertanto chiediamo al ministro di intervenire per rimuovere gli ostacoli e per dare certezze al percorso dei ragazzi», chiede il gruppo del Pd alla Camera con una interrogazione al ministro Stefania Giannini che risponderà domani durante il question time. Una richiesta obbligata, per segnalare al governo una criticità, rileva la deputata Simona Flavia Malpezzi: «E’ l’inizio di un nuovo percorso, è obbligatorio fare chiarezza su alcuni aspetti affinché tutto fili liscio». Del resto, il governo conosce bene le difficoltà, al punto che il ministero dei Beni culturali sta già preparando una circolare per invogliare e preparare gli istituti che fanno capo al dicastero guidato da Franceschini ad accogliere gli studenti.

    Percorsi rinviati, per ora

    Ma perché istituti culturali dovrebbero essere restii a far entrare gli studenti nelle proprie stanze? «Molti ci hanno risposto che non sono preparati per accogliere studenti minorenni, non sanno cosa fargli fare, non sanno nemmeno chi affiancargli, vista la carenza di personale- spiega la professoressa di musica del liceo Tasso di Roma, Cristina Paciello – Forse se fosse stato previsto un gettone di presenza, avrebbero avuto una spinta maggiore a farsene carico, ma così diventa per molti solo una grana: tanto più che non si tratta di pochi studenti ma di migliaia, che cercano una collocazione e un utilizzo proficuo delle proprie ore di alternanza scuola/lavoro». Per ora, il Tasso ha deciso di rinviare la decisione, e di aspettare che il consiglio docenti esamini la cosa: ma anche al Mamiani, dove già l’anno scorso avevano tentato una sperimentazione di alternanza, rilevano le difficoltà. «Per risolvere tutte le problematiche, anche burocratiche, abbiamo impiegato giorni: e l’anno scorso si trattava di impiegare una quarantina di studenti, una piccola parte. Quest’anno sarà ben più complesso assicurare 70 ore agli studenti del terzo anno, 70 a quelli del quarto, e altre 60 a quelli del V». Obietta il sottosegretario all’Istruzione Gabriele Toccafondi: «Per decenni non abbiamo fatto alternanza perché abbiamo teorizzato, come Paese, che erano mondi separati. Sappiamo che non basta dire che “è obbligatorio” per sistemare la situazione- ammette Toccafondi- Con le imprese facciamo incontri e seminari in tutta Italia mettendo in contatto scuole e imprese con musei, Comuni, etc. Ancora abbiamo fatto poco». Però secondo Toccafondi «il vero problema, e blocco, è mentale, culturale. Non servono altre leggi o norme».




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  6. #26
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    Scuola-lavoro, il nuovo corso parte da Pompei


    L’alternanza Scuola-Lavoro è un punto fondamentale della Legge 107/2015, cosiddetta “La Buona Scuola”. Promuove e incardina nell’ordine disciplinare dell’istruzione un numero di ore (200 per i Licei, 300 per gli Istituti Tecnici Professionali, durante l’ultimo triennio con orari anche pomeridiani) che lo studente trascorre presso imprese ed enti, pubblici e privati. Consentitemi di dirlo con chiarezza: è il più ambizioso tentativo di ribaltamento dello schema educativo della scuola italiana, ancora incardinato sullo schema «prima imparo, poi faccio».
    Da quest’anno la direzione cambia: la pratica diventa strumento di apprendimento e di potenziamento delle competenze. Non per copiare la Germania, vorrei sottolineare, ma per copiare l’Italia che fu e l’Italia che funziona: quella delle botteghe rinascimentali, quella dell’innovazione diffusa delle nostre multinazionali tascabili, per cui vivere e comprendere la bellezza e il lavoro che sta dietro di essa diventa un elemento fondante del gusto, dello stile, della cultura italiana.
    L’alternanza supera culturalmente lo stage: propone una formazione congiunta che accade nella realtà del lavoro. Rilancia, attraverso un attento processo di controlli, verifiche, certificazioni elaborate da docenti e da tutor delle imprese, il dinamismo laboratoriale, innovativo e creativo di una Scuola che torna ad essere un’agenzia del territorio, il soggetto protagonista che sa orientare, che non rincorre il lavoro, ma coglie e inventa nuove opportunità al lavoro stesso.
    È un progetto strategico esecutivo e strutturale: dal 2016 il Miur investe sulle scuole in alternanza 100 milioni di euro l’anno. Più di dieci volte l’anno scorso. L’obiettivo primario è mettere lo studente al centro di processi curriculari e disciplinari rigenerati da un’esperienza di formazione congiunta costruita attraverso l’apertura della scuola al mondo esterno.
    Una formazione che riduce dispersione scolastica e favorisce non solo e non tanto la professionalizzazione – i lavori che faranno i nostri figli tra dieci anni ancora non esistono – ma anche le competenze trasversali, la creatività, l’etica della responsabilità, il lavoro in gruppo. In una parola, diamo basi solide a un nuovo protagonismo delle nuove generazioni.
    Nel modello di alternanza all’italiana che stiamo costruendo, il lavoro non diventa strumento di apprendimento solo per i ragazzi dei tecnici e dei professionali, ma anche per i loro colleghi che hanno scelto i licei. In questo caso la collaborazione con gli enti locali, e con le istituzioni culturali del nostro Paese diventa essenziale.
    Un’istruzione che miri ad una formazione critica, prammatica, processuale, di reale apertura alle identità dei territori e al valore della cittadinanza attiva, trova nel patrimonio culturale un’occasione di formazione essenziale. L’alternanza scuola lavoro può essere lo strumento che sancisce l’alleanza tra istruzione e cultura.
    L’idea è semplice: la formazione come esperienza di valorizzazione del patrimonio, il patrimonio come esperienza di potenziamento della formazione. Attorno a questa decisione è nato il Protocollo d’Intesa tra il Miur e il Mibact «per creare occasioni di accesso al sapere attraverso la messa a sistema di istruzione e cultura, al fine di sviluppare una società della conoscenza».
    Il patrimonio, nelle sue «sfide legate a trasformazioni di carattere culturale, ambientale, sociale, economico e tecnologico», è di per sé il primo banco di verifica di un’istruzione che sappia essere profondamente contemporanea e cioè capace di sviluppare il capitale sociale.
    La formazione diventa il primo volano per la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale. Il patrimonio è salvaguardato, tutelato, valorizzato quanto più risulti una forma potenziale di crescita e di istruzione, cioè un cantiere aperto di metodologie, di problematicità ed esperienze – quel laboratorio vivente in cui la formazione dei nostri studenti sappia essere “verticale”, identitaria, legata alla memoria storica, ma al tempo stesso “orizzontale”, trasversale, delocalizzata, interculturale, innovativa, al passo con i mezzi e i linguaggi della trasmissione dei saperi.
    Il primo progetto, che nasce dall’intesa Miur-Mibact, è il “Sistema Pompei”: uno dei grandi simboli del patrimonio mondiale che diventa il palcoscenico di formazione e valorizzazione in alternanza scuola lavoro. Siamo al lavoro con il ministro Franceschini e la Sovrintendenza di Pompei per mettere a sistema un’esperienza formativa per più di 1000 allievi in una rete di 15 scuole, la collaborazione di molteplici soggetti pubblici e privati.
    I ragazzi si cimenteranno, mettendo a sistema una fitta rete territoriale (area archeologica, scuola, enti locali, imprese, terzo settore) e una formazione in itinere capace di produrre esperienza di competenze nel momento in cui si valorizzano prodotti e servizi di identità locale: percorsi informatici, percorsi di marketing culturale, percorsi sull’ambiente e il paesaggio, inclusa la cura del verde, percorsi artistico-scientifici, percorsi tecnico-diagnostico.
    Si sta parlando molto in questi giorni del “pensiero critico”, soprattutto su proposta di Armando Massarenti: la riflessione sul ruolo dell’educazione quale strategia fondamentale per riformare la società contemporanea. Il progetto di alternanza nel “Sistema Pompei” è un esempio forte di un pensiero critico avanzato.
    Il tema strategico del patrimonio verticalizza l’idea di istruzione che non è mai formalistica acquisizione di abilità, bensì un concreto, consapevole esercizio del senso civico: la consapevolezza, la cura del paesaggio e delle cose; la realizzazione di beni e azioni culturali che rilancino il patrimonio territoriale, così la memoria, la ricchezza di una problematicità aperta a cui ciascuna generazione deve dare la propria risposta.
    Il Sistema Pompei è un modello da replicare su tutto il territorio nazionale. E sono già tanti i casi di scuole che, con successo, stanno cogliendo l’opportunità della legge 107 per costruire percorsi di alternanza nel campo della cultura. Sarebbe positivo se questa e altre testate si impegnassero a dare evidenza, nei mesi a venire, a queste positive novità.
    Il Governo sarà al fianco delle scuole per assicurare che la transizione verso il nuovo modello educativo possa svilupparsi al meglio. E per far sì che la scuola, ciascuna scuola, sia asse e volano della creatività e del lavoro, motore del patrimonio culturale, della coesione sociale e multiculturale dei territori.
    * ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca



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    Pronti 2 milioni per il piano nazionale sull’orientamento


    Il ministero dell’Istruzione mette sul piatto due milioni di euro per il piano nazionale per il potenziamento dell’orientamento, scolastico e universitario, e per valorizzare i progetti di eccellenza nel campo della prevenzione e contrasto della dispersione. I progetti, evidenzia il bando pubblicato ieri, dovranno essere presentati «entro e non oltre le ore 23,59 del 27 novembre 2015».
    I progetti
    Il Miur ricorda come questi progetti debbano essere «innovativi» e promossi dalle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado con l’obiettivo prioritario di approfondire le metodologie e le pratiche di contrasto alla dispersione e di un’efficace attività di orientamento, attraverso strumenti didatticoeducativi e iniziative di sensibilizzazione degli studenti basate anche sull’utilizzo delle tecnologie digitali.
    Gli adempimenti da parte delle scuole
    Gli istituti che intendono partecipare al bando sono tenuti a inviare un piano sulla realizzazione di una delle seguenti attività: a) progettazione e realizzazione di attività di orientamento al termine del primo ciclo per la scelta degli istituti del secondo ciclo anche attraverso strumenti didattico educativi volti a individuare le passioni dei ragazzi e il loro progetto di vita; b) progettazione e realizzazione di attività di orientamento al termine del secondo ciclo per la scelta degli studi universitari anche attraverso strumenti didattico educativi, utilizzo di tecnologie digitali e modalità multicanale finalizzate a individuare percorsi universitari o di formazione superiore attinenti al proprio profilo; c) progettazione e realizzazione di progetti integrativi volti a prevenire e contrastare la dispersione scolastica utilizzando approcci innovativi, esperienziali e laboratoriali volti anche a favorire l’inclusione di studenti in particolari situazioni di disagio; e d) sviluppo di una campagna di sensibilizzazione che favorisca il dibattito sulle tematiche della dispersione scolastica connesse all’acquisizione di competenze per l’orientamento di scelte di vita scolastiche e di inserimento nell’attività professionale.
    Valutazione dei progetti
    I progetti verranno valutati da una commissione nominata dalla Direzione generale per lo studente del Miur. Cento i punti a disposizione, così ripartiti: proposta innovativa (massimo 40 punti); progetti, ad elevata ricaduta territoriale, presentati da rete di scuole (massimo 15 punti); progetti che prevedono la collaborazione con enti, imprese e associazioni del territorio (massimo 15 punti); qualità e fruibilità del progetto, delle attività e delle metodologie proposte che le istituzioni o le reti si impegnano a realizzare nell’ambito del progetto nonché dei materiali eventualmente prodotti che rimangono di proprietà dell’Amministrazione (massimo 30 punti).


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    Il lavoro è una bussola per gli studenti


    di Ivan Lo Bello*

    Novembre è il mese dell’orientamento. È il periodo in cui tanti giovani iniziano a pensare con maggiore concretezza a quello che sarà il loro futuro. Novembre è anche, tradizionalmente, il mese in cui tante imprese incontrano le scuole nell’ambito della Giornata Nazionale Orientagiovani, quest’anno giunta alla sua XXII edizione.
    L’edizione 2015 cade in un periodo di grandi cambiamenti per la scuola italiana dopo la riforma de «La Buona Scuola». Con la Legge 107/2015 si è finalmente riconosciuto il ruolo educativo del lavoro con l’obbligatorietà attribuita ai percorsi di alternanza scuola-lavoro, con l’investimento sui laboratori territoriali per l’occupabilità, con gli aggiustamenti sugli Its (anche se non del tutto sufficienti).
    La scuola un valore di tutto il Paese
    Ci troviamo in una fase propizia in cui la scuola diventa valore di tutto un Paese e non argomento su cui ci si divide o ci si chiude nelle sale degli addetti ai lavori. In un contesto simile il tema dell’orientamento diventa ancora più importante perché finalmente tra le missioni della scuola rientra, per legge, anche quella di creare occupazione, sviluppo economico e coesione sociale. Su questo siamo ancora molto indietro rispetto all’Europa e dobbiamo recuperare velocemente: nei paesi dove i giovani hanno maggiori possibilità di incontrare il lavoro durante lo studio, i tassi di occupazione sono più alti, il fenomeno dei Neet è molto ridimensionato, le possibilità di carriera dei giovani sono il doppio che da noi.
    L’impresa non è nemica della scuola
    C’è poi una grande questione culturale: comprendere che l’impresa non è nemica della scuola. L’impresa aiuta il Paese ad essere più competitivo, coeso, giusto ed etico perché aiuta i giovani a formarsi e ad avere una reale prospettiva di lavoro. L’impresa non è soltanto profitto e produzione. È responsabilità sociale che si manifesta anche come responsabilità formativa.
    Quello dei privati che entrano a scuola è un ritornello ideologico destinato a scomparire. Lo dimostra, ed è giusto sottolinearlo, il vasto e plurale consenso sull’alternanza scuola-lavoro obbligatoria che finalmente riconosce ai giovani italiani il diritto di imparare lavorando. I giovani sappiano che c’è un mondo fuori dalle aule che guarda loro con attenzione. Un mondo che li attende e chiede loro di essere protagonisti. Le imprese non vogliono invadere, ma lasciarsi invadere. Essere un punto di riferimento per l’orientamento degli studenti italiani.
    Orientare i giovani a “cosa fare da grandi”
    I giovani hanno bisogno di una bussola. Non è un mistero che la scelta di “cosa fare da grandi”, specie dopo la scuola superiore, sia spesso affrontata senza nessuna informazione di contesto, e, ancor peggio, spesso nasca più dalla cristallizzazione di luoghi comuni che dalla reale capacità di connettere le vocazioni e i talenti degli studenti con i rapidi cambiamenti, soprattutto produttivi, a cui la nostra società è sottoposta. Non è un problema di scelta tra università o Its. Il problema è scegliere tra percorsi aperti al lavoro – prima, durante e dopo il conseguimento del titolo – e percorsi che non lo sono.
    Si parlerà di questo nella XXII edizione di Orientagiovani, il cui evento centrale si terrà a Milano il 19 novembre. C’è un vuoto di competenze che mancano all’industria italiana, così come mostrano i dati annuali del Rapporto Excelsior di Unioncamere. Sono di difficile reperimento oltre 60mila figure tecnico-professionali mentre il Paese vive una drammatica situazione a livello di occupazione giovanile con segnali di ripresa ancora insufficienti.
    La domanda del mercato del lavoro
    È giusto che i giovani sappiano qual è la domanda del mercato del lavoro per fare una scelta consapevole, avere un’opzione in più per l’ingresso nella vita occupazionale. Si pensi agli Its che permettono già a 21 anni di avere un contratto, a tempo indeterminato in 6 casi su 10. Ma ci sono tanti altri percorsi, la maggior parte dei quali legati a stretto giro con il ruolo formativo delle aziende, che possono garantire ai giovani italiani di non restare parcheggiati nel sistema educativo (ricordiamoci che ci si laurea in media a 27 anni alla magistrale) e di costruire un percorso formativo-professionale già dopo il diploma.
    Dobbiamo raccontare il cambiamento ai giovani: nel mondo l’istruzione guarda ai bisogni di una società che si fa sempre più connessa, che cerca creatività, che è pervasa dalla tecnologia, che è multiculturale e plurilingue. Ciò non significa mettere in soffitta la filosofia e la storia antica a vantaggio delle sole competenze tecnico-scientifiche. Al contrario si tratta di ripensare nuove alleanze tra scuola e lavoro per far entrare nei percorsi di studio i casi reali, la capacità di analizzare e risolvere problemi, una continua osmosi tra pensiero astratto e realtà.
    La necessità di conoscere l’impresa
    Non si deve abolire la filosofia, Euclide o la trigonometria. Non ci sarebbero gli smart-phone se Alan Turing non avesse letto Bacone, Leibniz e Hobbes. Il sapere ha trasformato la nostra vita e la nostra società, oltre che il nostro modo di produrre. Esso è invisibile e intangibile ma è incorporato in tutto ciò che facciamo e più che mai nei nostri luoghi di lavoro. I nostri ragazzi sono ansiosi di dare sfogo alla propria curiosità e di imparare, ma in modo diverso. Per queste ragioni hanno bisogno di conoscere l’impresa, i suoi fabbisogni, le opportunità che può offrire.
    È questo il senso della Giornata Nazionale Orientagiovani e di tutte le attività di partnership scuola-impresa che migliaia di imprenditori italiani ogni giorno propongono e, seppur tra mille ostacoli, portano avanti con determinazione.
    *Ivan Lo Bello è vice presidente per l’Education di Confindustria


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    Con «Job shadow» gli studenti affiancano un imprenditore per un giorno


    Trascorrere una giornata accanto ad un imprenditore. L’alternanza scuola-lavoro è anche questo. Si chiama job shadow ed è un’iniziativa di Confindustria arrivata alla sua terza edizione. Una sorta di coaching aziendale che vede giovani di tutta Italia trascorrere una giornata in azienda per conoscerne da vicino il funzionamento. Professionisti, esponenti del mondo dell’impresa e dell’artigianato dedicano il loro tempo e la loro esperienza per incontrare gli studenti direttamente sul posto di lavoro. Obiettivo è quello di aiutare gli studenti dell’ultimo anno delle scuole secondarie a scegliere cosa fare dopo il diploma e a capire cosa vuole dire “fare impresa”.
    E l’esperienza è stata filmata dagli stessi studenti che con quelle immagini hanno poi realizzato delle clip di tre minuti, in cui hanno raccontato la loro giornata da imprenditori per un giorno.
    La premiazione
    A Orientagiovani, a Milano, sono stati premiati dal vice presidente per l’Education di Confindustria Ivan Lo Bello i quattro istituti vincitori, per aver realizzato i filmati che si sono contraddistinti per entusiasmo, impegno, partecipazione e coinvolgimento dei ragazzi.
    A vincere il premio sono state la scuola secondaria “Francesco Venezze” di Rovigo, che ha realizzato la sua esperienza di job shadow con Intrac SpA e Gsa Gestione sistemi allarme, l’istituto di istruzione superiore “Ettore Majorana” di Monza in coppia con Project automation Spa, l’istituto tecnico tecnologico “Primo Levi” di Modena con Pagani automobili Spa e il liceo “Faes” di Milano con Happy child. A quest’ultima scuola è andato in particolare il premio speciale donne e imprese.
    L’esperienza
    Tre ragazze dell’ultimo anno del liceo classico “Faes” hanno infatti trascorso a metà ottobre una giornata con la general manager che gestisce gli asili nido del gruppo Happy Child, Anna Chiara Zecchel. «Nella nostra scuola abbiamo anticipato l’alternanza scuola-lavoro, prevista ora dalla riforma della buona scuola, attraverso il progetto Faes Plus, che contempla momenti di stage durante l’anno scolastico o durante l’estate», spiega la dirigente scolastica “Faes Monforte” di Milano, Barbara Morelli. «Le ragazze ne sono risultate arricchite. Hanno raccontato la forte carica umana che serve per essere imprenditrice-donna, la grande capacità di gestire sia le risorse umane che le attività specifiche dell’asilo. Hanno visto da vicino cosa significhi la gestione aziendale, il lavoro di coordinamento, come un manager sceglie le priorità nel corso di una giornata di lavoro, cosa significhi lavorare in team».
    Il racconto
    «Siamo arrivate e ci hanno accolte e presentato il loro lavoro in generale», racconta Michela Barbi, 18 anni, una delle tre ragazze del liceo “Faes Monforte”, a Milano, che ha partecipato all’esperienza di job shadow. «Incuriosite, abbiamo fatto tante domande e approfondito la dinamica lavorativa. Annachiara Zecchel ci ha spiegato con l’ausilio di alcuni video il progetto educativo di Happy Child, ma anche come funziona a livello aziendale, di cosa si occupano i vari poli all’interno dell’impresa. C’è chi si occupa della parte creativa, chi della parte esecutiva. Abbiamo realizzato delle interviste, mentre una di noi riprendeva le immagini».
    «Siamo sempre dietro i banchi di scuola ed è stato divertente ed interessante vedere che mondo enorme si trovi all’interno di un’azienda. Abbiamo scoperto che c’è un mondo di cui non si parla e che tira le fila di un’azienda, dirige lo spettacolo, offrendo un sacco di possibilità. La cosa che mi ha colpito è che alla nostra domanda: qual è la giornata tipo? ci hanno risposto che non esiste una giornata tipo, bisogna essere pronti a tutto e adattarsi a quello che si presenta. Non serve una caratteristica specifica per essere imprenditrici, non si ha un ruolo solo, ma si possono fare tante cose nel corso della giornata. In particolare mi è piaciuta la parte creativa del tutto: abbiamo infatti assistito all’attività di promozione dell’asilo e mi piacerebbe approfondire con gli studi universitari proprio questo aspetto», conclude Barbi .
    “Io l’ho vissuta diversamente perché ho fatte le riprese che sono poi diventate il video che abbiamo presentato ad Orientagiovani», ci racconta Chiara Fumagalli, anche lei 18 anni e all’ultimo anno del liceo classico, anche lei per una giornata in job shadow all’Happy Child. «E’ stata un’esperienza per vedere il dietro le quinte di un’azienda, conoscere la parte organizzativa, il cervello di un’impresa. E’ stupefacente quante cose ci siano dietro un’azienda e a cui non si pensa. Io in particolare sono interessata alla parte manageriale, che è la cosa che vorrei seguire da grande, anche se ho visto anche la grande quantità di tempo che bisogna dedicare a questa attività. Ma questa non la considero una cosa negativa, se ti piace è una cosa positiva. Inoltre passare una giornata in azienda mi ha chiarito le idee sulla scelta dell’università. Vorrei studiare economia e vedere la realtà aziendale mi è servito a chiarirmi le idee», conclude Fumagalli.


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    Da Napoli a Roma fino a Milano, così i licei testano l’alternanza scuola-lavoro



    Da quest’anno, in base alla legge 107/2015, un totale di mezzo milione di studenti (contro i circa 10mila degli anni passati) varcheranno portoni di aziende e uffici per svolgere le ore di «alternanza scuola-lavoro»: 200 ore per gli studenti del liceo; 400, invece, per gli allievi di istituti tecnici e professionali. Se negli istituti tecnici e professionali l’alternanza è una prassi consolidata da anni, differente è la situazione nei licei, il cui ruolo, storicamente, è quello di preparare i ragazzi alla scelta del percorso universitario. Da quest’anno, invece, l’alternanza scuola-lavoro si inserisce, a pieno titolo, nel percorso di formazione di tutti gli allievi
    A Napoli, il Liceo Vico punta sulle professioni culturali
    Quello che c’è in comune tra tutte le Regioni italiane, data la scarsità dei fondi messi a disposizione dal governo, è il tentativo di valorizzare le risorse esistenti. È il caso della maggior parte dei licei napoletani, dove – soprattutto in ragione dello scarno tessuto imprenditoriale presente su territorio – non mancano difficoltà nell’individuazione delle aziende ospitanti. Un esempio è quello del Liceo Vico, che ospita tre indirizzi liceali: linguistico, classico e scientifico (1260 alunni in totale, circa 750 da mandare in stage): «Dopo le prime esperienze avviate l’anno scorso si è creata una grande fame di stage», spiega Clotilde Calderoni, dirigente scolastica dell’istituto. Già prima della Riforma Renzi, infatti, numeri ridotti di allievi hanno avuto modo di sperimentare esperienze lavorative o attività di azienda simulata. Se, generalmente, questo tipo di occasione veniva resa disponibile per studenti rientranti nella fascia dell’eccellenza, al liceo Vico, invece, questa possibilità è sempre stata aperta anche a giovani apparentemente meno motivati perché, dice la D.S. Calderoni «è proprio a questi ragazzi che può servire di più. Dopo gli stage, infatti, tornano completamente trasformati: entusiasti». Uno degli escamotages trovati dalla scuola napoletana, per garantire l’alternanza, è quello di trasformare alcune delle attività pomeridiane – già presenti in programma – in veri e propri tirocini: il corso teatrale pomeridiano è stato, a esempio, trasformato in uno stage, per circa sessanta ragazzi, a cura del Living Theatre (discendente da quello londinese). Ci sono poi esperienze del tutto nuove, pensate in seguito alla legge 107/2015, e strettamente legate al mondo della cultura e dell’arte. La dirigente scolastica ha infatti organizzato, per i suoi allievi, ore di “lavoro” nel giornalismo televisivo – grazie ad un accordo chiuso con alcune televisioni locali, in particolare con Julie Tv – o, ancora, presso l’Accademia del Teatro Bellini di Napoli e, infine, con il prestigioso Teatro San Carlo di Napoli. Al di là delle difficoltà nell’incontrare aziende disponibili ad accogliere i ragazzi, dice la professoressa Calderoni «questo tipo di esperienza, in enti di stampo culturale, ci sembra più coerente con il percorso liceale e dunque più utile per i nostri allievi”. Purtroppo, però, aggiunge «la consistenza dei finanziamenti non è ben chiara. Le linee guida del Miur indicano finanziamenti per una quota pro capite che, nel caso dei licei, è pari a 25/30 euro. Quindi, purtroppo, non c’è da largheggiare».
    Il liceo Mamiani di Roma e l’orientamento universitario
    Anche lo storico liceo Mamiani di Roma (anch’esso ospitante tre indirizzi liceali), per sopperire alle difficoltà incontrate, ha dovuto far ricorso ad alcuni stratagemmi: in primo luogo, spiega il docente Prudenzi (incaricato di organizzare le esperienze di alternanza) «la nostra scuola ha potuto contare su un’ampia rete di ex alunni riuniti nell’Associazione Terenzio. Abbiamo chiesto loro collaborazione per individuare aziende ospitanti. Molti dei nostri ex alunni sono, infatti, dirigenti d’azienda o manager e il loro apporto ci è stato fondamentale». Se per il terzo anno, spiega poi Prudenzi, è stato avviato un discorso, prevalentemente, di formazione – per far sì che, soprattutto tramite esperienze di azienda simulata, gli studenti acquisiscano i rudimenti necessari ad approcciarsi a una realtà lavorativa (ad esempio, per quel che riguarda la sicurezza sul posto di lavoro) – gli allievi degli ultimi due anni, forti delle conoscenze acquisite, escono dalle mura scolastiche per andare a “lavorare” in azienda. Prudenzi si è mosso anche su una linea diversa rispetto a quella dell’inserimento aziendale, scegliendo di creare una forte collaborazione tra la sua scuola e alcune delle principali Università della Capitale. La Sapienza, Roma Tre e Roma Due ospiteranno, infatti, alcuni degli studenti del Mamiani per veri e propri stage di ricerca, presso numerosi dipartimenti (da Psicologia del Linguaggio a Economia, da Medicina a Fisica e così via): «Mini-progetti universitari pensati per avvicinare i ragazzi al mondo accademico – dice Prudenzi e aggiunge – in alcuni casi, gli studenti potranno appoggiarsi anche a lavori di ricerca più ampi, di cui cureranno da soli una piccola parte». In questo caso, conclude Prudenzi, «il discorso di orientamento universitario e quello di scuola-lavoro si fondono in maniera perfetta».
    A Milano, il liceo Tito Livio porta gli studenti in corsia
    Al Nord, dove dovrebbe essere più facile trovare aziende disponibili ad accogliere e formare studenti di liceo, ci sono casi come quello del Liceo classico Tito Livio di Milano la cui dirigente scolastica, Amanda Ferrario, spiega: «Trovare aziende interessate ad accogliere i ragazzi, per noi, non è stato poi così difficile. Per riuscirci è bastato ricorrere all’aiuto della rete genitoriale». Anche a Milano, dunque, l’aiuto esterno è stato fondamentale. A Genova, ad esempio, alcuni ragazzi della Tito Livio, saranno accolti da un’azienda che si occupa di marketing e comunicazione; altri ancora potranno lavorare in giornali o aziende legate al mondo della grande distribuzione. Ed anche per quel che riguarda il problema dei fondi a disposizione del progetto alternanza scuola-lavoro, la dirigente spiega che – oltre a quelli garantiti dalla legge – sarà fondamentale il contributo volontario dei genitori. Tra i progetti più dispendiosi rientra ad esempio quello che darà la possibilità, a circa 50 ragazzi, di svolgere un soggiorno linguistico all’estero (alcuni a Dublino, altri in Gran Bretagna): oltre a perfezionare la conoscenza della lingua, gli studenti lavoreranno in enti museali e turistici, svolgendo prevalentemente attività di front-office. Come nel caso del Liceo Mamiani di Roma, poi, anche la professoressa Ferrario ha deciso di chiedere la collaborazione del mondo accademico: alcuni dei suoi studenti saranno così accolti dall’Università Bocconi, per svolgere attività di formazione e orientamento alla scelta universitaria.
    L’esperimento più grande per questi studenti milanesi sarà, però, legato al mondo della Sanità: gli allievi del Tito Livio, infatti, avranno l’occasione di affrontare tirocini in alcuni tra i principali ospedali della città (come il Fatebenefratelli) nel corso dei quali collaboreranno con il personale ospedaliero sia per quel che riguarda il lavoro nei laboratori che quello gestionale-amministrativo e, infine, potranno trascorrere alcune delle loro ore di alternanza scuola-lavoro, persino, in corsia.


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