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Discussione: Alti tassi di abbandono scolastico e preparazione sotto la media: così va la scuola al Sud

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    Predefinito Alti tassi di abbandono scolastico e preparazione sotto la media: così va la scuola al Sud

    Il 35,2% dei giovani campani di 18-24 anni non studia e non lavora

    Napoli, 25 marzo 2013 – In Campania il 35,2% dei giovani di età compresa tra i 18 e i 24 anni non studia e non lavora, e va a gonfiare le fila dei disoccupati di lunga durata, costituendo così una facile preda per l’arruolamento da parte della criminalità organizzata. Si tratta di un dato molto più alto rispetto alla media nazionale (pari al 22,7%) e superiore anche alla media del Sud (31,9%).
    È questo l’esito di percorsi scolastici accidentati, fatti di conflitti tra insegnanti e studenti, bocciature ripetute, entrate e uscite dai cicli formativi, che spesso cominciano sin dai primi anni di scuola, ma si manifestano in maniera più evidente durante le superiori.
    Nonostante i miglioramenti degli indici di dispersione scolastica registrati negli ultimi anni, resta ancora molto da fare. In Italia l’11,9% degli iscritti al primo anno delle scuole superiori abbandona gli studi. Se il tasso di abbandono scolastico in Calabria è solo del 6,6%, in Campania la percentuale sale al 13,8% e in Sicilia al 14,6%.
    Se si guarda all’intero quinquennio, in Italia si ha una media del 26% di studenti che non arrivano alla maturità, con punte massime del 30,7% negli istituti tecnici. Il valore riferito al Mezzogiorno nell’insieme è nella media, con il 27% di abbandoni alle scuole superiori, ma si registrano situazioni più critiche in Campania (29,9%) e Sicilia (30,7%), dove si va delineando uno stato di vera e propria emergenza educativa.
    Dall’indagine Ocse-Pisa emerge anche un ritardo nelle competenze di base possedute dai quindicenni italiani che si fa più grave per i ragazzi meridionali. In Italia il 21% dei quindicenni ha competenze solo minime nella lettura (ma al Sud il dato sale al 25,2% e nelle isole è pari al 30,2%), il 25% in matematica (il 31% al Sud e il 35,9% nelle isole) e il 20,6% in scienze (il 26,6% al Sud e il 31,5% nelle isole). Particolarmente critica la situazione in Calabria, dove i livelli di competenze sono anche inferiori rispetto a quelli dei coetanei meridionali.
    Tenere a scuola i ragazzi «difficili», aiutarli nei percorsi di riavvicinamento alle istituzioni e di recupero scolastico, farli sentire comunque parte di un gruppo, sono alcuni degli obiettivi che si è posto il progetto «Abbandono scolastico e bullismo: quali rischi tra i giovani?» promosso dal Ministero dell’Interno nell’ambito del Pon Sicurezza per lo Sviluppo-Obiettivo Convergenza 2007-2013 e realizzato da un raggruppamento di imprese con capofila il Censis. Il progetto, che ha avuto una durata di due anni, ha coinvolto oltre 5.000 studenti di 9 istituti scolastici collocati nelle 4 regioni più critiche del Mezzogiorno (Calabria, Campania, Puglia e Sicilia), con attività di ascolto e sostegno, recupero e aiuto allo studio, rivolte a studenti, famiglie, docenti, attraverso l’impiego di una équipe territoriale con competenze socio-psico-pedagogiche, rappresentando così una buona pratica esportabile in altre scuole e in altri contesti.
    Dei risultati conseguiti nell’ambito del progetto si è parlato oggi nel corso del convegno conclusivo tenutosi a Napoli presso l’Iis Sannino-Petriccione, cui hanno partecipato, tra gli altri, il Prefetto di Napoli Francesco Musolino, l’Autorità di Gestione del Pon Sicurezza Emanuela Garroni, l’Assessore all’Istruzione del Comune di Napoli Annamaria Palmieri, il Direttore Generale del Censis Giuseppe Roma e i dirigenti scolastici di tutti gli istituti coinvolti.
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    Abbandono scolastico, lascia uno studente su cinque

    Quello della dispersione è un fenomeno dove l’Italia ha un primato tristemente negativo. La conferma arriva dagli ultimi dati del Ministero
    Vanno via in silenzio. Lasciano quasi sempre senza dire nulla. I maschi abbandonano più delle donne. Lasciano al sud più che al nord. Sono gli “early school leavers”, studenti che abbandonano precocemente la scuola. Non studiano più. E molto spesso nemmeno lavorano. Quello della dispersione è un fenomeno dove l’Italia ha un primato tristemente negativo. La conferma arriva dagli ultimi dati del Ministero dell’ istruzione, dell’università e della ricerca (il Miur). Seguono di pochi giorni le statistiche dell’Ocse. I dati del Miur, per il 2012, mettono il nostro Paese in quart’ultima posizione in Europa. Dietro di noi paesi come Spagna e Portagallo. Va meglio la Grecia. «Nella graduatoria dei ventisette Paesi Ue – si legge nel rapporto del Miur – l’Italia occupa ancora una posizione di ritardo». E lo stesso ministro Maria Chiara Carrozza, nel presentare le linee programmatiche davanti alle Commissioni riunite del Senato e della Camera ha evidenziato la necessità di una “politica di lungo respiro” per contrastare il fenomeno. Rispetto all’anno precedente un lieve miglioramento c’è stato. Ma non significativo. E l’Italia resta lontana dagli obbiettivi Ue. LA COMMISSIONE EUROPEA La Commissione europea, infatti, ha richiesto che per il 2020 il tasso di abbandono scolastico vada sotto la soglia del 10 per cento. E che sempre entro il 2020 il tasso di studenti con la laurea salga sopra al 40. Quasi un alunno su cinque, tra le medie e le superiori, lascia la scuola. La dispersione, infatti, si attesta in Italia al 17,6% (18,2 % nel 2011) contro una media Ue del 12,8% (13,5%). Il divario con il dato medio europeo è più accentuato per i maschi (20,5% contro 14,5%), in confronto a quello delle donne (14,5% contro 11%). Guardando a livello regionale il quadro appare eterogeneo. Il Molise è l’unica regione ad aver raggiunto il target europeo, con un valore dell’indicatore pari al 9,9%. Ma il fenomeno dell’abbandono scolastico è in genere più sostenuto nel Mezzogiorno con punte del 25,8% in Sardegna, del 25% in Sicilia e del 21,8% in Campania. Zone in cui sono maggiormente diffuse le situazioni di disagio economico e sociale. Tuttavia anche nelle aree più industrializzate e sviluppate, nelle regioni caratterizzate da un mercato del lavoro ad ingresso più facile e in cerca di mano d’opera meno qualificata: è qui che una larga fetta dei ragazzi trova più allettante la prospettiva di rinunciare agli di studi per entrare subito nel mondo del lavoro. Continue assenze, voti costantemente molto bassi, cambiamenti ripetuti di istituto: i sintomi che molto spesso portano alla dispersione. Un fenomeno che per gli esperti è prevedibile. Secondo le stime dello stesso ministero dell’istruzione nell’anno scolastico 2011/2012 il numero degli alunni “a rischio di abbandono” è di circa 3.400 ragazzi per la scuola secondaria di I grado (pari allo 0,2% degli alunni iscritti) e a quasi 31.400 per le scuole superiori. Nelle scuole medie gli alunni “a rischio di abbandono” sono iscritti al secondo e al terzo anno. ALLE SUPERIORI Ma è alle superiori che il fenomeno è più evidente. Soprattutto tra il terzo e quarto anno di corso. Le scuole dove è più facile lasciare? Negli istituti professionali, tecnici e nell’area dell’ istruzione artistica. Molto spesso alla base della dispersione c’è un disagio legato all’ambiente familiare e sociale. Ma conta pure una scelta degli studi sbagliata, poco vicina alle proprie inclinazioni. Magari una scelta imposta dai genitori e dai parenti.


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    La noia a scuola è peggio dell’abbandono

    Uno su cinque lascia alle superiori, ma quelli che non imparano sono molti di più
    Se ne vanno, spesso senza neppure spiegare il perché. Smettono di studiare e basta. A volte non entrano neppure nel mondo del lavoro. Nei Paesi anglosassoni li chiamano “early school leavers”. In Italia, dove il fenomeno è tutt’altro che sconfitto si preferisce un termine burocratico: dispersione scolastica. Grave, ma è solo la punta di un iceberg, assicura sir Ken Robinson, pedagogista britannico di fama internazionale, molto seguito dalla comunità internettiana: l’abbandono precoce degli studi è ben poca cosa se paragonato a tutti «quei ragazzi che vanno a scuola ma sono completamente disinteressati, non si divertono e non traggono alcun beneficio» dalle ore passate sui banchi, «come se stessero svolgendo un lavoro d’ufficio di basso livello».

    Anche vostro figlio o i vostri allievi mostrano i sintomi di questa strana “epidemia”? I bambini all’asilo perlopiù dipingono. Disegni pieni di colori, con le forme più strane. Belli o brutti non c’è n’è mai uno uguale all’altro; ognuno è un unico e personalissimo racconto della propria creatività. Ricordo un bambino che di essere lasciato alla materna, ogni mattino, proprio non ne voleva sapere. Quando però c’era la maestra dei colori – «la maestra in più», diceva, di quelle oggi scomparse per “mancanza di risorse” – era tutta un’altra cosa. Un giorno la maestra dei colori è andata incontro alla mamma con un foglio che era un tripudio di azzurri, di turchesi, di blu. Molto intenso. «Ecco, questo è suo figlio, guardi quanto colore ha dentro». Quel bambino, come tutti i bambini, ha cominciato le elementari, poi le medie, infine il liceo. Ha accettato ogni mattino di varcare di buon grado i portoni delle scuole, ha iniziato a colorare secondo le regole, ha studiato storia dell’arte, disegno tecnico, geometria, ha imparato tante altre cose, dall’algebra al latino. Ha fatto qualche test e molte verifiche, come tutti i bambini e tutti i ragazzi. Non ha piu riempito fogli con i colori che aveva dentro, tranne per qualche tema d’italiano dove al posto dei colori usava le parole. Ma spesso, in questo modo, andava “fuori tema”. Così ha imparato anche a scegliere argomenti di storia o letteratura per le sue composizioni: se si scrivono in buon italiano le stesse cose che dicono i libri, in genere non si sbaglia mai troppo. Quando si parla di creatività a scuola, in genere, ci si riferisce al gioco e alle attività espressive, relegandole ai primi anni di scuola e a momenti o materie di minor impegno.
    Alle medie inferiori, ormai, la creatività è sullo sfondo. Ed è riconosciuta solo in pochi alunni, che vengono invitati ad iscriversi in un liceo artistico. Eppure la creatività è innata in ogni mente umana. Un dono di tutti, diverso in ognuno, che la scuola dovrebbe coltivare sempre. E non vuol dire, necessariamente, fare un disegno. Tra i più strenui difensori della “scuola della creatività” contrapposta alla “scuola della routine” è proprio sir Ken Robinson, inglese trapiantato in California, che quest’anno ha per l’ennesima volta infiammato la platea online delle Ted Conference con uno speech sovraccarico di umorismo e stilettate che già dal titolo era un grido di battaglia: “Come sfuggire alla valle della morte dell’istruzione”. La tesi, dirà qualcuno, non è nuova ma vale la pena riascoltarla. Ad esempio, quando sir Robinson invita a guardare oltre l’abbandono scolastico. Il ritiro precoce dagli studi è, in effetti, un tema centrale delle politiche sulla scuola anche inEuropa e l’Italia è fra i Paesi più in ritardo rispetto agli obbiettivi fissati dalla Commissione europea. Secondo i dati del 2012, la dispersione si attesta in Italia al 17,6% (18,2 % nel 2011) contro una media Ue del 12,8% (13,5%): quasi un alunno su cinque, tra le medie e le superiori, lascia la nostra scuola. Il momento di crisi certo non aiuta a trattenere i ragazzi in classe oltre il periodo della scuola dell’obbligo, soprattutto nelle fasce sociali meno abbienti. Ma, a detta dell’esperto britannico, la dispersione scolastica è statisticamente ben poca cosa se paragonata alla folla di chi sta in classe soltanto per scaldare il banco e non mostra alcun interesse per le parole degli insegnanti o per le materie da studiare. Il problema, avverte Robinson, non sono le risorse: «Si spende molto nel sistema scolastico, piuttosto la scuola sta andando nella direzione sbagliata».

    L’elenco degli errori non è lungo ma molto puntuale. Errore numero 1: «Gli esseri umani sono per natura diversi, la scuola invece si basa su standard fissi». Errore numero 2: «La curiosità è il motore del successo, insegnare dovrebbe essere un lavoro creativo: i grandi maestri non passano solo informazioni, sono anche mentori, incoraggiano, provocano, coinvolgono gli studenti. Il sistema scolastico di oggi, invece, ruota intorno a verifiche e test». Errore numero 3: «La mente umana è per natura creativa, per questo la specie umana è così dinamica. Invece di stimolare questa creatività, la scuola predilige una cultura conformista». Ogni ragazzo che lascia la scuola, o langue sui banchi, ha un motivo: trova le lezioni noiose, irrilevanti, astruse, si diverte più fuori. Di sicuro non si sente realizzato, dentro le quattro mura della classe. Il suo fallimento, in qualche modo, è il fallimento di un sistema educativo sempre più deciso a tavolino dai funzionari ministeriali, sempre meno vissuto nelle aule in un dialogo indispensabile e continuo tra insegnante e allievi. Come dovrebbe essere, come ha raccontato mirabilmente il regista Peter Weir nel film L’attimo fuggente. “Back to the people”, invita sir Robinson. Tornate alle persone, a quelle piccole persone che vanno all’asilo e riempiono i fogli di colori, dei loro colori. Se non volete ritrovarvi con dei giovani che pensano e vivono solo in bianco e nero.


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  4. #4
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    Dispersione scolastica: al Sud è una vera emergenza

    I dati sono drammatici ed evidenziano un gap sempre più ampio fra regioni del Nord e regioni del Sud. Occorrono interventi decisivi e mirati. I numeri sono impietosi, e denunciano una vera e propria emergenza degli abbandoni scolastici prima della conclusione del secondo ciclo d’istruzione. Il fenomeno assume un carattere sempre più preoccupante, anche perché spesso si tratta di abbandoni che avvengono quando si frequenta ancora la scuola dell’obbligo. Nel corso del 2012/2013, nelle regioni del Sud Italia, c’è stata una emorragia di studenti: la Campania ha perduto 6.053 studenti, la Puglia 6.531, la Sicilia 5.606, la Calabria 2.900, la Basilicata 1.042, la Sardegna 324, l’Abruzzo 292, il Molise 245. Stiamo parlando di una sorta di buco nero che ha inghiottito un numero spropositato di potenziali intelligenze, che si disperdono e corrono il rischio di alimentare i circuiti della malavita organizzata. In buona sostanza il sud Italia nell’arco dell’ultimo quinquennio ha visto scomparire dai banchi di scuola una popolazione scolastica di circa centomila unità. È come se, per comprendere la portata del fenomeno, una città grande come Pisa scomparisse dalle mappe geografiche. Questa fotografia di una scuola che si dissolve nel suo capitale umano si unisce ad un altro dato allarmante, che è il deficit continuo nell’apprendimento di discipline cardine come l’italiano e la matematica.
    L’emergenza è proprio al Sud Italia, come testimoniano i numeri della dispersione scolastica e i risultati delle prove Invalsi 2013. Tra Nord e Sud esiste un gap di preparazione scolastica che preoccupa molto il ministro Carrozza. Questo divario è stato analizzato recentemente con i risultati delle ultime prove Invalsi che ci dicono che esiste una differenza abissale tra il Nord del Paese e il Sud. Nelle prove di matematica Invalsi gli alunni del Nord Ovest hanno totalizzato 216 punti, quelle dei ragazzi meridionali non supera i 183. Per concludere, la ciliegina sulla torta viene dal confronto tra la Provincia di Trento e la Sardegna dove i primi riportano un risultato di 229 contro 178 punti. Bisogna intervenire al più presto con investimenti mirati per le scuole del Sud.


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    Dispersione scolastica, Carrozza cerca un’alleanza con gli Enti Locali

    Il Ministro ricorda che ci sono territori che rischiano di restare indietro: c’è sì il tema della banda larga ma abbiamo anche zone dove c’è il 40% di abbandono precoce dei banchi: gli Enti locali e i dirigenti scolastici devono essere le nostre antenne sul territorio, perché l’obiettivo non può essere quello di dare un titolo ma competenze ai nostri ragazzi. Va bene la banda larga da attuare in tutti gli istituti, ma prima ci sono da affrontare emergenze come quelle che riguardano alcune zone del Paese dove sono tantissimi i giovani che lasciano la scuola precocemente. Per cercare di ridurre questa percentuale altissima (basti pensare che l’Ue ha indicato ai suoi Stati membri la necessità di non superare il 10% di dispersione scolastica entro pochi anni), il responsabile del Miur è convinta che occorra stabilire un’alleanza vera “tra gli Enti locali e il Ministero dell’Istruzione”. Solo in questo modo, ha detto Carrozza intervenendo alla 30/a Assemblea dell’Anci in corso a Firenze, sarà possibile riportare le politiche della scuola al centro perché “oggi l’istruzione è diventata un bene di lusso e noi non possiamo permettercelo”.
    Uno dei problemi indicati dal ministro, infatti, “è quello dei territori che rischiano di restare indietro dove c’è sì il tema della banda larga ma dove anche abbiamo il 40% di dispersione scolastica”. Gli Enti locali e i dirigenti scolastici “devono essere le nostre antenne sul territorio”, perché l’obiettivo di tutti non può essere quello “di dare un certificato o un titolo ma dare competenze ai nostri ragazzi, a tutti i nostri ragazzi”.


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    Abbandono scolastico, Italia tra i 5 paesi peggiori d’Europa


    I dati della Commissione Ue: nel 2012 il tasso di rinuncia all’istruzione è rimasto alto (17,6%), in controtendenza rispetto alla media continentale del 12,7%. Numeri allarmanti nel Mezzogiorno
    L’Italia è tra i paesi peggiori d’Europa per abbandono delle aule: lascia i banchi troppo presto il 17,6% degli alunni, con punte del 25% nel Mezzogiorno. A renderlo noto è l’Anief (l’associazione che riunisce gli insegnanti italiani), che sottolinea come ci stiamo allontanando troppo dalla media dei 28 Paesi dell’Ue, scesa quest’anno al 12,7%, e all’obiettivo comunitario del raggiungimento del 10% entro il 2020. Sono ancora cinque le nazioni ancora molto lontane da questa meta; tra loro anche l’Italia, che per numero di 18-24enni che hanno lasciato gli studi prima del tempo è riuscita a fare peggio anche della Romania, che è al 17,4%.
    “Non può consolarci sapere – continua l’Anief – sempre dalla Commissione europea, che in Spagna lasciano la scuola prima del tempo, acquisendo al massimo il titolo di licenza media, il 24,9% dei ragazzi. E che anche Malta (22,6%) e il Portogallo (20,8%) sono degli esempi da evitare”.
    Nel quadro europeo, invece, sono sicuramente da prendere a modello quei 12 Paesi dell’Unione che hanno già raggiunto e superato l’obiettivo del 10% di dispersione, con largo anticipo. Ma anche nazioni più grandi, come Germania, Francia e Regno Unito dove, nonostante la popolazione numerosa, si è prossimi al raggiungimento della soglia.
    Tornando all’Italia, la situazione risulta particolarmente critica in Sicilia, Sardegna e Campania, dove vi sono aree con punte di abbandoni scolastici del 25%. Mentre la fascia di età in cui c’è il picco degli abbandoni rimane quello dei 15 anni, quando i ragazzi frequentano il biennio delle superiori.
    Ma le associazioni di categoria, oltre a constatare la drammaticità dei dati, lanciano anche una polemica nei confronti delle nostre istituzioni: “L’allontanamento dall’Europa in merito alla dispersione scolastica – ha detto Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir – non è un dato casuale. Ma è legato a doppio filo ai tagli a risorse e organici della scuola attuati negli ultimi anni”. In particolare, secondo l’Anief, negli ultimi sei anni sono stati cancellati complessivamente 200mila posti, sottratti 8 miliardi di euro e dissolti 4mila istituti a seguito del cosiddetto dimensionamento (poi ritenuto illegittimo dalla Consulta). “Ora -sottolinea Pacifico – siccome è scientificamente provato che i finanziamenti sono correlati al successo formativo, questi dati non sorprendono: più si taglia e più la dispersione aumenta”.
    Dall’associazione fanno sapere anche che s’inizia a registrare un calo dell’interesse alla formazione anche in ambito universitario, con le immatricolazioni che sono scese al 30% dei neo diplomati. Anche in questo caso, polemizza l’Anief, punta il dito sulla progressiva riduzione del personale docente e dei corsi di laurea. E alla perdita dei ricercatori, sempre più orientati verso l’estero. Con il risultato che il numero di giovani che oggi raggiunge la laurea rimane tra i più bassi dell’area Ue.
    Come se non bastasse, poi, in Italia la spesa in istruzione è sempre più misera: tanto che (dati Ocse alla mano) il nostro Paese si piazza per investimenti nella scuola al 31esimo posto tra i 32 considerati. Solo il Giappone fa peggio di noi. Per non parlare degli stipendi degli insegnanti, tra i più bassi: con 32.658 dollari l’anno nel 2010 nella scuola primaria (contro i 37.600 della media Ocse), 35.600 dollari nella scuola media (39.400 Ocse) e 36.600 nella secondaria superiore contro 41.182 dell’area Ocse.


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    «Presi dalla rete» per sfuggire alla dispersione, progetto in Calabria con i fondi Pon

    Un progetto contro la dispersione scolastica, che si avvale di nuove tecnologie e punta a valorizzare quanto di positivo c’è nei ragazzi, coinvolgendo docenti e famiglie e facendo lavorare in sinergia cinque scuole. “Presi dalla rete” è un’iniziativa inserita nelle azioni promosse dal ministero per contrastare il fenomeno dell’abbandono scolastico. Se le azioni di contrasto alla dispersione scolastica sono normalmente previste negli obiettivi F1 e F2 del Pon, “Presi dalla rete” si inserisce invece nell’ambito F3, ovvero si lega alla creazione di reti tra scuole e enti del territorio, per poter condividere idee, risorse, strutture.
    Istituti protagonisti
    Protagonisti l’istituto “Da Vinci – Nitti” di Cosenza (capofila del progetto), il Comprensivo di Mendicino, l’Ites “Cosentino“ di Rende, il Comprensivo “Gentili” di Paola, l’’stituto omnicomprensivo di Malvito e Sant’Agata di Esaro, composto dalla scuola media e dall’Ipsia per la lavorazione del legno. Si tratta di scuole accomunate non solo dalla collocazione geografica, ma anche da una comune esigenza di valorizzare i territori che, spesso, presentano caratteristiche sociali e geografiche molto diverse: la zona costiera di Paola, le aree residenziali di Mendicino, la zona collinare di Sant’Agata di Esaro, e quelle suburbane di Cosenza e Rende. In ciascuna di queste aree sono state riscontrate grosse carenze nelle competenze linguistiche a causa, soprattutto, della forte diffusione dei dialetti, e una diffusa demotivazione degli studenti verso la scuola e l’impegno di studio.
    Dispersione nel mirino
    Il primo passo è stato proprio quello di conoscere meglio le cause della dispersione nella scuola secondaria. Spesso, infatti, l’abbandono scolastico è legato sia a disagi propri del periodo adolescenziale sia a particolari situazioni familiari, caratterizzate da problemi e difficoltà. Da questo insieme di cause, possono derivare comportamenti polemici, impulsivi, violenti, aggressivi, arroganti, a cui fanno da controcanto frustrazione e senso di impotenza. Situazioni di difficile gestione, che generano, negli studenti, la convinzione di non essere adeguatamente capiti e compresi dalla scuola, percepita come un mondo ostile. E il passo che li porta ad abbandonare lo studio è davvero breve.
    Inoltre, il contesto geografico del territorio cosentino, non sempre consente ai ragazzi di frequentare regolarmente le lezioni soprattutto nelle ore pomeridiane: i ragazzi spesso sono costretti a scegliere il proprio percorso di studio non tanto sulla base delle proprie inclinazioni e preferenze, quanto sulla base delle possibilità logistiche di raggiungere in maniera più o meno agevole la scuola.
    Il progetto
    Nell’ambito del progetto “Presi dalla rete” sono stati perciò predisposti due percorsi per gli studenti: il primo, per il recupero dei deficit cognitivi, sia di tipo linguistico che logico motivazionale; il secondo per il recupero della motivazione all’impegno scolastico, agendo sull’autostima dei ragazzi, spesso minata da continui insuccessi.
    Le scuole, grazie anche all’uso delle nuove tecnologie – che hanno consentito di mettere in contatto tra loro le diverse realtà scolastiche e sociali – hanno intrapreso uno stile fatto di ascolto e di educazione, di valorizzazione delle capacità più che di correzione dei difetti, di promozione di ciò che i ragazzi già sanno fare piuttosto che di critica di ciò che ancora non sanno gestire.
    Le scuole hanno cercato soprattutto di aiutare i ragazzi ad intraprendere un cammino introspettivo, per riscoprire soprattutto i loro punti di forza, le loro doti, le loro capacità, così da portarli a vedere la scuola come un luogo di crescita, di opportunità, di valorizzazione personale e non come un luogo ostile.
    Il patto con enti e associazioni
    Uno sguardo positivo e un programma concreto nel quale le cinque scuole coinvolte nel progetto hanno potuto avvalersi della preziosa collaborazione di esperti degli enti partner, le associazioni Banca del Tempo, La Spiga e Volare a Santo Stefano, che, oltre a fornire preziose indicazioni metodologiche su come progettare i percorsi, hanno gestito in maniera ottimale i moduli dell’accoglienza e quelli destinati ai genitori. Non è mancata, infatti, un’attenzione particolare al mondo degli adulti e degli educatori, genitori e docenti, per aiutarli a trovare nuove modalità di relazione, a guardare gli studenti in modo diverso, valorizzandone soprattutto gli aspetti positivi.
    Nei giorni scorsi, i risultati del progetto sono stati presentati nell’auditorium della scuola capofila con una manifestazione che ha visto la partecipazione dei docenti, dei dirigenti scolastici, ma soprattutto dei ragazzi, che, con le loro testimonianze, con le immagini e il racconto del percorso compiuto, hanno raccontato i loro desideri, le loro aspettative, quello che hanno imparato e soprattutto qual è la scuola che vogliono e per la quale sono pronti a rimettersi in gioco.

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    Eurispes, Italia tra le peggiori in Ue per gli “abbandoni” scolastici

    L’Italia ha motlo da lavorare sul fronte degli “abbandoni” scolastici, si attesta, infatti, su valori ”non consoni a uno Stato avanzato”. Lo sottolinea l’ultimo rapporto Eurispes.
    Le dimensioni del fenomeno sono ancora molto elevate: 17% contro la media europea che si attesta a quota 11,9%. Fanno peggio di noi soltanto Spagna e Portogallo, Malta e Romania e la riduzione degli abbandoni procede a una velocità troppo bassa per poter raggiungere l’obiettivo comunitario, motivo per cui è stato fissato un target nazionale da raggiungere, vista la lontananza da quello europeo, a quota 15-16%.
    Per quanto riguarda l’università le cose non vanno meglio. Esaminando la percentuale di laureati tra i 30 e i 34 anni emerge non soltanto che l’Italia è appena a metà strada dall’obiettivo fissato ma anche che rappresenta il fanalino di coda dell’Europa – 22,4% contro una media dell’Unione del 36,5% – con una differenza anche qui abissale tra uomini e donne che riescono a conseguire il titolo universitario o post-universitario (17,7% contro 27,2%). Anche in questo comparto (istruzione terziaria), l’obiettivo italiano è stato ridimensionato rispetto al target europeo (26- 27% contro il 40% comunitario).

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    La dispersione si combatte con tablet e notebook



    In classe, oltre che con libri e quaderni, anche con il tablet, da usare però soltanto e rigorosamente per imparare. Lo scopo di questa scelta è quello di combattere la dispersione scolastica in Sardegna dove, insieme con la Sicilia, si stanno raggiungendo percentuali record.
    Ma l’obiettivo si propone pure di eliminare il “digital divide”, il gap tecnologico che non consente di mettere tutti i ragazzi allineati ai blocchi di partenza.
    Il prossimo bando della Regione consentirà a circa 24 mila studenti sardi delle superiori (prime e seconde) appartenenti a famiglie a basso reddito di acquistare con un voucher di 400 euro “tavoletta” o notebook. Strumenti informatici portatili da mettere sul banco come normalmente si è sempre fatto con testi e quaderni.
    Oltre dunque ai libri di testo, la Regione fornirà strumenti per una didattica completa e innovativa, come tablet e notebook che sono diventati una presenza costante nella quotidianità dei ragazzi.
    Una rivoluzione che completa quella iniziata con le lavagne multimediali in ogni aula e il wi-fi a disposizione di tutti gli istituti.
    Il tablet o il pc dovranno avere naturalmente i requisiti tecnici compatibili con le attività proposte dai piani dell’offerta formativa delle singole scuole.
    L’intervento è promosso dall’assessorato regionale della Cultura e dell’Istruzione e si avvarrà del sostegno del Bic Sardegna. Si potrà spendere il voucher soltanto nella rete dei negozi convenzionati seguendo una semplice procedura, ma il fine principale rimane naturalmente quello di tenere i ragazzi legati alla scuola forse nel momento più critico del loro percorso, tra i 14 e i 17 anni, a forte rischio abbandono.

    Tecnica della scuola
    "L'esperienza è maestra di vita"



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    Sicilia, il 24,8 per cento dei bambini non va a scuola

    In Sicilia il 24,8% dei bambini non va a scuola (+10,9% rispetto alla media del Sud Italia) il
    tempo pieno è attivo solo nell’8% delle scuole elementari contro il 48% delle regioni del Nord come la Lombardia – a Milano è pari al 91% – e l’80% dei bimbi non usufruisce della mensa scolastica. Sono alcuni dei dati emersi nel corso di un convegno “Istruzione e Mezzogiorno, la giusta direzione per lo sviluppo del Paese» organizzato a Palermo dalla Cgil.
    «Le regioni dove non è assicurato il servizio mensa – ha detto la segretaria generale della Flc Sicilia Graziamaria Pistorino intervenendo all’iniziativa – sono quelle dove si registrano i maggiori tassi di dispersione scolastica».
    Secondo lo studio, «il 13,9% dei bambini del Sud non va a scuola e la punta massima è proprio in Sicilia con il 24,8%, con picchi, secondo i dati di Save the children nelle province di Caltanissetta (41,7%), Palermo (40,1%), Catania (38,6%), Ragusa (37,1%)». Per quanto riguarda la scuola dell’infanzia «la non statale supplisce alla cronica carenza della scuola di Stato in un contesto – sottolinea la Cgil – che ha registrato in 10 anni 77.365 studenti in meno. Quest’anno sono stati 12.428 in meno rispetto all’anno passato e la diminuzione è stata dovuta anche all’immigrazione di interi nuclei familiari, con una desertificazione anche sotto il profilo delle risorse umane».


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