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Discussione: Legge sulla dislessia in attesa di attuazione

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    Predefinito Legge sulla dislessia in attesa di attuazione

    Un punto fermo su cosa siano la dislessia e gli altri disturbi dell'apprendimento, uniformandosi alle migliori prassi europee. E poi, didattica personalizzata, metodologie educative adeguate e forme flessibili di lavoro scolastico, anche grazie al supporto dell'informatica e di una verifica ad hoc del rendimento. È entrata in vigore lo scorso 2 novembre la legge 170/2010 (pubblicata sulla «Gazzetta Ufficiale» 244 del 18 ottobre) per consentire un "salto di qualità" nella diagnosi precoce e nella gestione della dislessia e degli altri disturbi dell'apprendimento, che colpiscono dal 3 all'8% degli italiani, conducendone molti verso l'insuccesso e l'abbandono scolastico.
    L'occasione per fare il punto è stato «Dislegge», il convegno organizzato dall'Associazione italiana dislessia che si è svolto nei giorni scorsi, per esaminare la legge che nei prossimi mesi dovrà mettere a punto i regolamenti attuativi. L'obiettivo, ha ribadito Rosabianca Leo, presidente dell'associazione, è far sì che «nessun ragazzo dislessico voglia più ritirarsi dalla scuola perché si sente cretino, anche se la diagnosi afferma il contrario».
    L'articolo 1 riconosce, appunto, la dislessia, la disgrafia, la disortografia e la discalculia, allineandone le definizioni alla letteratura scientifica e mettendo la parola fine alla discrezionalità nell'individuarle. Gli articoli successivi ampliando le note ministeriali diffuse dal 2004 prevedono strumenti e misure dispensative, didattica individualizzata, lavoro scolastico più "flessibile", ma anche mezzi di apprendimento alternativi (in prima fila, l'informatica), sino a tecniche di valutazione dei ris ultati scolastici, per favorire il successo, anche in ambito universitario.
    La scuola dovrà essere promotrice anche di misure per il riconoscimento e la diagnosi precoce. Ma l'unico finanziamento riguarda la formazione di dirigenti e insegnanti: 1 milione per il 2010, che si sta chiudendo, e un altro per il 2011. Il primo decreto attuativo dovrà istituire, entro il 2 gennaio, un comitato tecnico-scientifico, composto da esperti, con compiti istruttori. Secondo il rappresentante del Miur, presente al convegno, Mirella Della Concordia Basso, l'elenco sarebbe già pronto per la firma. Entro il 2 marzo saranno individuate le modalità di formazione di docenti e dirigenti, le misure educative e didattiche e le forme di valutazione. Per l'identificazione precoce dei disturbi saranno emanate, entro il 2 marzo, le linee guida per i protocolli regionali.



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  2. #2
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    Italia, la dislessia è troppo diffusa per essere vera

    Denuncia degli specialisti: "La diagnosi facile crea molti disagi e non fa affrontare i problemi"
    Per un bambino in Italia è troppo facile essere etichettato come dislessico. Nel nostro Paese, infatti, un comune disturbo dell’apprendimento viene spesso confuso con diagnosi drastiche che, anziché aiutare i piccoli, possono aumentarne il disagio emotivo.
    A lanciare l’allarme è l’Istituto di Ortofonologia (Ido) di Roma in un’indagine presentata oggi a Montecitorio durante la conferenza intitolata «La Scuola dell’obbligo ed i disturbi specifici dell’apprendimento».
    I dati parlano da soli: in tutte le scuole elementari del nostro Paese la dislessia viene diagnosticata al 18-20% dei bambini che le frequentano. «Una percentuale troppo alta che non può rispecchiare la realtà», denuncia Federico Bianchi di Castelbianco, direttore dell’Ido. «Si può invece ipotizzare che solo il 3% di questi bambini sia veramente affetto da dislessia», aggiunge.
    Questo significa che ci sono migliaia di bambini che vengono trattati come se soffrissero di una disabilità che invece non hanno. «È come se un medico diagnosticasse il morbillo a un bambino che invece ha la rosolia», sottolinea Bianchi di Castelbianco.
    La dislessia è una sindrome classificata tra i Disturbi specifici di apprendimento che si manifesta con la difficoltà di imparare la lettura, la scrittura o il calcolo aritmetico nei normali tempi e con i normali metodi di insegnamento. Questa difficoltà si ripercuote sul piccolo paziente causandone un forte disagio emotivo, che finisce per essere considerato un tipico sintomo della malattia e purtroppo sempre più spesso causa di diagnosi errate.
    «Così da un lato i bambini si ritrovano dirottati su percorsi alternativi come portatori di una disabilità che non hanno, con oneri economici non sostenibili e totalmente inutili - dice il direttore dell’Ido -. Dall’altro il loro vero problema non solo non verrà affrontato, ma lascerà un vuoto di conoscenze che si ripercuoterà pesantemente sul loro curriculum di studi». Oltre il danno, quindi, la beffa.
    Porre rimedio a questa bulimia di diagnosi non è poi così semplice, soprattutto nel contesto sociale in cui i nostri bambini crescono. Spesso da loro ci si aspetta il massimo e, a volte, anche di più. «Se prima - spiega Bianchi di Castelbianco - i bambini avevano due anni di tempo per imparare a scrivere e a leggere, ora ci si aspetta che facciano tutto in tre mesi. I tempi di apprendimento si sono abbreviati e questo li può portare a sentirsi inadeguati di fronte alle pretese degli adulti». Il mancato raggiungimento dell’obiettivo, quindi, finirà inevitabilmente con il creare un disagio emotivo nel bambino. «Sintomo, questo, che può essere confuso come un segnale della dislessia», sottolinea l’esperto. «L’errore - continua - è quello di considerare i bambini più intelligenti di quelli di 20 anni fa solo perché gli stimoli della modernità hanno fatto in modo che i bambini oggi abbiano intuizioni intellettive più alte».
    A questo poi va aggiunta la mancanza di strumenti diagnostici oggettivi. La dislessia, infatti, è ancora oggi una patologia su cui si sa molto poco. «Non c’è certezza sulle origini - spiega Castelbianco - e viene diagnosticata con discutibili questionari. È nostro dovere evitare che i bambini paghino le conseguenze di un vuoto».

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    Italia, la dislessia è troppo diffusa per essere vera
    Denuncia degli specialisti: "La diagnosi facile crea molti disagi e non fa affrontare i problemi"
    Per un bambino in Italia è troppo facile essere etichettato come dislessico. Nel nostro Paese, infatti, un comune disturbo dell’apprendimento viene spesso confuso con diagnosi drastiche che, anziché aiutare i piccoli, possono aumentarne il disagio emotivo.
    A lanciare l’allarme è l’Istituto di Ortofonologia (Ido) di Roma in un’indagine presentata oggi a Montecitorio durante la conferenza intitolata «La Scuola dell’obbligo ed i disturbi specifici dell’apprendimento».
    I dati parlano da soli: in tutte le scuole elementari del nostro Paese la dislessia viene diagnosticata al 18-20% dei bambini che le frequentano. «Una percentuale troppo alta che non può rispecchiare la realtà», denuncia Federico Bianchi di Castelbianco, direttore dell’Ido. «Si può invece ipotizzare che solo il 3% di questi bambini sia veramente affetto da dislessia», aggiunge.
    Questo significa che ci sono migliaia di bambini che vengono trattati come se soffrissero di una disabilità che invece non hanno. «È come se un medico diagnosticasse il morbillo a un bambino che invece ha la rosolia», sottolinea Bianchi di Castelbianco.
    La dislessia è una sindrome classificata tra i Disturbi specifici di apprendimento che si manifesta con la difficoltà di imparare la lettura, la scrittura o il calcolo aritmetico nei normali tempi e con i normali metodi di insegnamento. Questa difficoltà si ripercuote sul piccolo paziente causandone un forte disagio emotivo, che finisce per essere considerato un tipico sintomo della malattia e purtroppo sempre più spesso causa di diagnosi errate.
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    Porre rimedio a questa bulimia di diagnosi non è poi così semplice, soprattutto nel contesto sociale in cui i nostri bambini crescono. Spesso da loro ci si aspetta il massimo e, a volte, anche di più. «Se prima - spiega Bianchi di Castelbianco - i bambini avevano due anni di tempo per imparare a scrivere e a leggere, ora ci si aspetta che facciano tutto in tre mesi. I tempi di apprendimento si sono abbreviati e questo li può portare a sentirsi inadeguati di fronte alle pretese degli adulti». Il mancato raggiungimento dell’obiettivo, quindi, finirà inevitabilmente con il creare un disagio emotivo nel bambino. «Sintomo, questo, che può essere confuso come un segnale della dislessia», sottolinea l’esperto. «L’errore - continua - è quello di considerare i bambini più intelligenti di quelli di 20 anni fa solo perché gli stimoli della modernità hanno fatto in modo che i bambini oggi abbiano intuizioni intellettive più alte».
    A questo poi va aggiunta la mancanza di strumenti diagnostici oggettivi. La dislessia, infatti, è ancora oggi una patologia su cui si sa molto poco. «Non c’è certezza sulle origini - spiega Castelbianco - e viene diagnosticata con discutibili questionari. È nostro dovere evitare che i bambini paghino le conseguenze di un vuoto».


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    La dislessia si vince fra i banchi di scuola

    Miur, Fondazione Telecom Italia e Associazione Italiana Dislessia premiano 50 progetti contro il disturbo

    Il Ministero dell'Istruzione, la Fondazione Telecom Italia e l'Aid (Associazione Italiana Dislessia) premiano 50 progetti di scuole italiane per combattere la dislessia. I progetti sono stati selezionati attraverso un bando lanciato nel 2011 nell'ambito del progetto "A scuola di dislessia". Il finanziamento complessivo per questo bando, messo a disposizione da Fondazione Telecom Italia, è di 125.000 euro.
    Il bando, finalizzato a selezionare progetti per l'inclusione scolastica di studenti con disturbi specifici dell'apprendimento (DSA) ha registrato una grande partecipazione. La risonanza ottenuta dall'iniziativa testimonia la sensibilità e l'attenzione per un problema che interessa molti ragazzi, le famiglie, gli insegnanti e la scuola in genere.
    I progetti ricevuti sono stati 953, di cui 50 selezionati per il finanziamento; oltre 1.000 le istituzioni scolastiche che hanno risposto, singolarmente o associandosi in rete, per un totale oltre 7.000 classi della scuola secondaria di I e II grado e un coinvolgimento complessivo di 14.000 studenti con DSA su un campione totale di oltre 562.000 alunni.
    Questa iniziativa fa parte dell'accordo tra MIUR, Fondazione Telecom Italia e Associazione Italiana Dislessia finalizzato ad affrontare su più fronti, in modo efficace e risolutivo, un problema come la dislessia, una forma di disagio che spesso viene sottovalutata, ma che può influire negativamente sulla crescita dei giovani e su una loro completa integrazione nella scuola e nella società.
    In Italia si stima che la dilsassia interessi circa 350.000 studenti fra i 6 e i 19 anni, pari al 4-5% della popolazione scolastica (mediamente uno studente ogni classe di 20 alunni) ed è causa frequente di abbandono scolastico e di correlati problemi di autostima e di motivazione all'apprendimento.
    L'accordo tra MIUR, Fondazione Telecom Italia e AID nasce da un precedente programma di interventi già avviato da Fondazione Telecom Italia - con un investimento di 1,5 milioni di euro - e dall'Associazione Italiana Dislessia, articolato in 4 progetti operativi: "Non è mai troppo presto" per il riconoscimento precoce dei DSA: la ricerca scientifica conferma che una diagnosi tempestiva è determinante per il recupero di questi disturbi; "A scuola di dislessia" oltre al bando premiato oggi prevede un percorso di formazione specifica degli insegnanti; "Campus informatici" per formare i ragazzi dislessici all'uso degli strumenti informatici utili per lo studio e l'apprendimento, attraverso un'esperienza residenziale di gruppo; "Libro AID" per fornire ad ogni alunno dislessico in età scolare libri scolastici in formato digitale e facilmente accessibile.




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