Marcello Dei, indimenticato coautore (con Marzio Barbagli) di Le vestali della classe media (1969), libro cult del sessantotto scolastico italiano insieme a Lettera a una professoressa di don Lorenzo Milani (1967), torna alla ribalta con un nuovo libro pubblicato da il Mulino, Ragazzi, si copia, il cui sottotitolo – A lezione di imbroglio nelle scuole italiane – costituisce il filo conduttore dell’analisi svolta nel volume e della tesi in esso sostenuta: copiare a scuola è il primo passo verso la formazione di cattivi cittadini.
Se fin da piccoli si impara a imbrogliare, a non rispettare le regole, argomenta Dei, da grandi si sarà inclini a evadere le tasse, passare con il rosso, cercare raccomandazioni, saltare la fila agli sportelli, non allacciare la cintura di sicurezza.
Il volume è il frutto di due approfondite ricerche, realizzate tra il 2004 e il 2009, condotte la prima su campioni di studenti del triennio finale di scuola secondaria superiore, e la seconda su alunni del primo ciclo (scuola media e quinta elementare). A queste indagini di tipo quantitativo si affianca una serie di interviste in profondità sugli insegnanti.
La conclusione cui perviene il sociologo, sulla base dei dati rilevati, è netta: il fenomeno del copiare a scuola è in Italia tanto esteso quanto sottovalutato sia dagli insegnanti e dai dirigenti scolastici sia dai genitori, più preoccupati da altri problemi, come il bullismo o la droga. Ma mentre in altri Paesi, come gli USA, il cheating (che è diffuso non a scuola ma nei College) trova una leva nell’ideologia meritocratica, nel desiderio di primeggiare per iscriversi alle migliori università - ma è comunque condannato e combattuto - da noi il copiare è blandamente tollerato fin dalla scuola elementare, e finisce per minare alla radice il senso della legalità, fondamento del rispetto delle regole. Di qui l’appello di Dei a riconsiderare la rilevanza etico-politico-pedagogica della questione.
Per ora all’appello è pervenuta la convinta adesione del ‘Gruppo di Firenze’, nato qualche anno fa proprio per incoraggiare un maggiore impegno e serietà da parte di tutti gli attori impegnati nel processo formativo. A partire dagli insegnanti che ancora una volta svolgono un ruolo decisivo: non più nella chiave conservatrice e selettiva, da ‘vestali della classe media’, che li caratterizzava nel 1969, ma in quella fin troppo tollerante e permissiva, al limite dell’indifferenza morale, che a giudizio dell’autore molti di essi hanno finito per acquisire nei decenni successivi.


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