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Discussione: Contributo-truffa, continua la prassi chiesti fino a 300 euro

  1. #1
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    Predefinito Contributo-truffa, continua la prassi chiesti fino a 300 euro

    Skuola.net, per chi non paga anche minacce di ripercussioni sui voti.
    Il contributo "volontario" delle famiglie alle scuole è sempre meno volontario. La denuncia arriva dal portale Skuola.Net che, dati alla mano dimostra come sempre più spesso venga richiesto alle famiglie una contributo, per legge volontario, anche con minacce, più o meno velate, di ritorsioni sul voto degli studenti e sulla promozione in caso di mancato pagamento
    «All'istituto tecnico Fazzini Mercantini (NA) - spiega Skuola.net - si richiede un contributo di euro 80 per l'iscrizione e si ricorda che "la mancata presentazione entro il detto termine del 20.02.2012 di quanto sopra richiesto sarà considerata un'infrazione disciplinare a tutti gli effetti, con ripercussioni sulla valutazione del comportamento e quindi, sulla media dei voti e sull'ammissione alla classe successiva". Tradotto in termini pratici, una minaccia che lascia intravedere alle famiglie ripercussioni sul voto dei figli e addirittura sulla promozione».
    «Ma - rileva il portale - sono decine le segnalazioni giunte delle famiglie, che la lamentano non solo l'omissis in merito alla natura volontaria del contributo, ma anche l'indicazione che senza il pagamento del contributo la domanda di iscrizione non può essere accettata. Così molti, per evitare problemi ai propri figli, decidono di pagare senza batter ciglio con buona pace del principio di gratuità della scuola pubblica».

    «Le cifre - denuncia ancora Skuola.net - in alcuni casi non sono contenute, si arriva anche a punte di 300 euro, per esempio all'IPSAR Tor Carbone di Roma. In questo istituto c'è poi una singolare doppia tariffazione: 240 euro per tutti, che diventano 300 euro per i ripetenti! Tuttavia non è il solo istituto alberghiero a costare quasi quanto una retta universitaria: allo Stringher di Udine chiedono ben 250 euro, nei quali non sono nemmeno comprese le divise, che si pagano a parte e costano altri 160 euro».
    Quanto al ministero dell'Istruzione evidenzia il portale «si è dimostrato attento e sensibile sul tema, accogliendo già in passato un dossier contente circa 60 segnalazioni di irregolarità giunte alla Redazione di Skuola.net. A seguito di tale iniziativa, nell'Aprile 2011, il capo dipartimento Giovanni Biondi inviava una missiva ai direttori di ben 13 uffici scolastici regionali, per avviare le verifiche poiché "in ragione dei principi di obbligatorietà e di gratuità, non è consentito richiedere alle famiglie contributi obbligatori di qualsiasi genere o natura per l'espletamento delle attività curriculari e di quelle connesse all'assolvimento dell'obbligo scolastico (fotocopie, materiale didattico o altro), fatti salvi i rimborsi delle spese sostenute per conto delle famiglie medesime (quali ad es: assicurazione individuale degli studenti per RC e infortuni, libretto delle assenze, gite scolastiche, etc.)".
    Ma, denuncia ancora il portale, la situazione non sembra affatto cambiata e quindi, anche quest'anno si appresta a consegnare al ministero un'altro dossier. La poca chiarezza da parte delle scuole, inoltre, danneggia doppiamente le famiglie. Infatti per godere delle detraibilità del contributo ai sensi della legge Bersani, bisogna che lo stesso riporti nella causale la seguente dicitura "erogazione liberale" specificando almeno una delle seguenti motivazioni: "per l'innovazione tecnologica", "per l'ampliamento dell'offerta formativa" o "per l'edilizia scolastica".
    «Skuola.net lancia un grido d'allarme - spiega Daniele Grassucci, il Responsabile delle Relazioni Esterne - affinché la pubblica opinione sia consapevole del fatto nella realtà pratica, sulla scuola pubblica, si sta materializzando una tassa occulta peraltro iniqua perché non proporzionale né ai consumi (come l'IVA) né al reddito (come la maggior parte delle aliquote fiscali) né al valore del bene/servizio (come le imposte sugli immobili)».



    Eduscuola
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  2. #2
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    Un modulo per non pagare i contributi volontari

    Durante l’incontro di oggi tra il Forum delle associazioni studentesche più rappresentative e il ministro Profumo l’Unione degli Studenti (UdS) ha insistito sulla “necessità impellente di una legge nazionale sul diritto allo studio” e su altre misure idonee a “tagliare i costi della scuola tramite agevolazioni sul costo dei trasporti, miglioramento e maggiore diffusione della carta studenti nazionale Iostudio, e il taglio dei costi dei libri di testo, valorizzando esperienze come quelle del comodato d'uso nelle scuole”.
    Parallelamente, attraverso una dichiarazione del suo responsabile Diritto allo Studio Roberto Campanelli, l’UdS ha anche annunciato l’avvio di una campagna capillare di informazione sulla questione dei contributi ‘volontari’ richiesti dalle scuole alle famiglie. Nelle scuole, ha detto Campanelli, “si fa un gran caos nel comunicare la richiesta di questo tipo di contributo, spacciandolo alle volte per tasse, alle volte per obbligatorio, fino a raggiungere eccessi ed abusi come casi in cui studenti sono stati minacciati di non poter andare in gita o iscriversi all'anno scolastico successivo se non avessero pagato il contributo”, a volte superiore ai 300 euro.
    Perciò l’UdS ha predisposto “un modulo vertenziale per non pagare il contributo, con un apposito sportello SOS in caso di abusi e negazione di diritti per gli studenti”.
    La presa di posizione dell’UdS rischia peraltro di aggravare le già notevoli difficoltà di molte scuole, soprattutto se l’invito a smettere di pagare i contributi fosse accolto in modo generalizzato, e non soltanto dalle famiglie economicamente disagiate.
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  3. #3
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    I contributi delle famiglie non sono obbligatori. Ma chi salverà le scuole?


    A respingere le richieste sempre più pressanti di alcuni dirigenti scolastici le associazioni dei genitori. Ora anche gli studenti: per legge obbligati a pagare solo 6,04 euro come tassa scolastica e 15,13 euro per la frequenza. E non andrebbero destinati alle spese ordinarie. Come però sempre più spesso avviene.
    I tagli alle risorse scolastiche stanno sempre più mettendo in difficoltà il personale - dirigenti scolastici, Dsga, docenti – che ha la responsabilità di far quadrare i conti degli istituti. A complicare la situazione sono i ritardi cronici con cui il Miur assegna i fondi finalizzati a funzionamento e supplenze. Tanto che in tantissime scuole il debito del dicastero di viale Trastevere nei loro confronti rimane di alcune decine di migliaia di euro.
    Per la gestione ordinaria degli istituti è diventato sempre più vitale, quindi, quel contributo che ogni famiglia versa ad inizio anno. Una “tassa”, la cui entità può variare da qualche euro fino ad alcune centinaia, che in base a recenti e attendibili indagini nazionali ha assunto la veste di emolumento salvifico.
    Ma è possibile che a salvare la scuola pubblica, per Costituzione garantita dallo Stato, debbano essere le famiglie degli alunni? Secondo i diretti interessati la risposta è senza dubbio negativa. Da sempre lo sostengono le associazioni dei genitori. Di recente Sofia Sabatino, coordinatore della Rete degli studenti, sostiene che quella che stiamo vivendo nelle scuole è una “assurda contraddizione” trasformata in “prassi consolidata”, ma forse si dimentica “che lo studente è per legge obbligato a pagare solo 6,04 euro come tassa scolastica e 15,13 euro per la frequenza (anche se alle superiori, soprattutto nei tecnici e nei professionali gli importi sono molto più alti ndr), soldi che dovrebbero servire per ampliare l’offerta formativa delle scuole”.
    Gli studenti registrano anche una destinazione anomala di questi contributi: anziché migliorare l’offerta formativa, ad esempio attivando progetti o attività aggiuntive, vengono destinati a coprire necessità quotidiane, come l’assistenza alle attrezzature. La rappresentante della Rete cita situazioni scolastiche dove i contributi volontari “schizzano alle stelle e oscillano dai 15 ai 300 euro per studente, soldi che spesso vanno a coprire le spese ordinarie delle scuole mentre la didattica viene sempre più ridotta”.
    Poi ci sono i casi limite. Come quello di Grottammare in provincia di Ascoli,dove all’istituto Fazzini-Mercantini, in base a quanto risulta alla Sabatino, “non solo allo studente viene intimato di pagare obbligatoriamente il contributo, ma se questo non dovesse accadere subirà ritorsioni sulla condotta e sul rendimento scolastico”. In conclusione “è inaccettabile questo ricatto, soprattutto in un momento di crisi in cui le famiglie hanno sempre più difficoltà nel sostenere le spese scolastiche e in cui la percentuale di abbandono scolastico continua a salire, spesso proprio a causa dei costi e dell’assenza di diritto allo studio. Chiediamo al ministro Profumo – conclude Sabatino - di occuparsi immediatamente di questa problematica, che non può più essere sottovalutata o lasciata all’autonomia delle singole scuole”.
    A questo punto, dal Ministero sarebbe il caso che arrivino segnali di chiarezza. Quello inviato dal ministro Gelmini, un mese prima di lasciare il dicastero dell’Istruzione, è servito solo a ribadire il concetto di non obbligatorietà. Ancora di più, dopo il “reintegro dei fondi per le spese di funzionamento e anzi del loro aumento in questo anno scolastico, da 130 a 200 milioni di euro”. Dalle scuole però lamentano il mancato invio di non pochi arretrati. In particolare quelli relativi al 2010. Se non arriveranno, chi provvederà stavolta a sanare i bilanci degli istituti?


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  4. #4
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    Utilizzo dei contributi richiesti dalle scuole alle famiglie

    Il Miur ribadisce che i contributi richiesti dalle scuole alle famiglie sono volontari ed è assolutamente illecita la prassi di vincolare l’iscrizione degli studenti al versamento di tale contributo.
    Come ogni anno il Miur, anche a seguito delle numerose denunce provenienti dalle famiglie e da alcune associazioni di consumatori, si vede costretto a ribadire quanto dovrebbe essere ormai chiaro a tutti: i contributi richiesti dalle scuole alle famiglie sono volontari ed è assolutamente illecita la prassi di vincolare l’iscrizione degli studenti al versamento di tale contributo.
    Lo stesso Ministero segnala in proposito grosse irregolarità - sulle quali sta indagando - riportando addirittura il caso di un istituto scolastico che avrebbe considerato il mancato versamento del contributo come infrazione disciplinare tale da incidere sulla valutazione del comportamento degli studenti.
    Si tratta di sicuro di un episodio “estremo”, ma quel che è certo è che di norma c’è poca chiarezza nelle informazioni fornite alle famiglie. Ed è per tale ragione che con la nota prot. n. 312 del 20 marzo 2012 il Ministero ribadisce gli aspetti che tutte le istituzioni scolastiche devono tenere presenti.
    Innanzitutto, i contributi in questione sono volontari e le scuole hanno l’obbligo di fornire alle famiglie le dovute informazioni, soprattutto in merito alla netta distinzione tra quelli che sono i contributi obbligatori (tasse scolastiche) e tali forme di sovvenzionamento che, proprio perché volontarie, non possono riguardare le attività curriculari o di funzionamento ordinario e amministrativo, ma dovranno essere indirizzate verso interventi di ampliamento e arricchimento dell’offerta culturale e formativa.
    Trattandosi di erogazioni liberali, sono poi detraibili in sede di dichiarazione dei redditi, e di questa opportunità è bene che le istituzioni scolastiche informino le famiglie, così come è opportuno che, nell’ottica di una gestione trasparente, sia data informazione preventiva circa la destinazione dei contributi, in modo che le famiglie possano aver chiari gli interventi che saranno finanziati con tali contributi. Analogamente, alla fine dell’anno scolastico, le scuole dovranno rendicontare la gestione delle somme in questione, evidenziando anche i benefici derivanti dal loro utilizzo.


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    Il contributo scolastico diventa quasi “obbligatorio”

    Le scuole non si fermano neanche d’estate e lo fanno chiedendo alle famiglie di pagare il contributo scolastico, che in realtà è volontario, con cifre che si aggirano sui 100 euro ed oltre.
    A denunciarlo è il portale specializzato Skuola.net, dove continuano ad arrivare segnalazioni e che da tempo porta avanti una battaglia informativa su questa problematica e raccoglie centinaia di segnalazioni ogni anno da parte delle famiglie.
    Ma chi è chiamato a pagare il contributo in questo periodo estivo? Stando alle richieste di chiarimento giunte alla redazione del portale in queste ultime due settimane, si tratta degli studenti che inizieranno a settembre le scuole superiori, che possono completare la procedura di iscrizione solamente al conseguimento effettivo della promozione all’esame di terza media. Così quando i genitori si recano a scuola per espletare questa formalità, si vedono presentare un conto in alcuni casi salato. Alcuni esempi? Al Russell Newton di Scandicci (Firenze) una famiglia si è trovata di fronte a un bollettino postale di 140 euro, mentre all’Istituto Giorgi di Verona ne servono addirittura 185.
    Tutto ciò nonostante il Ministero dell’Istruzione abbia più volte condannato questa pratica, come confermano le dichiarazioni del Capo Dipartimento Lucrezia Stellacci rilasciate a Skuola.net nel marzo scorso: «La scuola non può pretendere il pagamento del contributo, che è essenzialmente volontario e noi l’abbiamo già detto. L’abbiamo ricordato in una circolare dell’anno scorso, del marzo 2012 e l’abbiamo ribadito ultimamente nella circolare 593 del 7 marzo 2013».
    Stellacci invitava i dirigenti «a essere molto chiari con studenti e famiglie» perché «l’imposizione di questi contributi obbligatori mina il rapporto di fiducia con le famiglie e scredita l’immagine dell’amministrazione scolastica e della scuola».
    La mancanza di chiarezza comporta anche un secondo effetto collaterale: la famiglie non vengono a conoscenza del fatto che, essendo il contributo volontario, è detraibile nella misura del 19% a patto che nella causale del versamento sia riportata la dicitura per «erogazione liberale» per una delle seguenti motivazioni: «per l’innovazione tecnologica», «per l’ampliamento dell’offerta formativa» o «per l’edilizia scolastica».
    «Il consiglio che diamo è sempre il medesimo – spiega Daniele Grassucci, responsabile relazioni esterne del portale – se la famiglia ha le disponibilità economiche, consigliamo di pagare perché contribuisce al miglioramento del servizio di cui disporrà il figlio o la figlia. Ma se ci sono difficoltà, scrivere una lettera al dirigente scolastico dichiarandosi disponibili a pagare solamente la parte strettamente obbligatoria del contributo, ovvero quella per i rimborsi di spese come l’assicurazione R/C o il libretto delle giustificazioni, che invece le famiglie sono tenute a rifondere alla scuola».


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    La crisi del contributo ‘volontario’ delle famiglie. Alternative?


    A causa del pesante taglio delle risorse finanziarie a disposizione – hanno fatto presente i presidenti dei consigli di istituto emiliani nella lettera aperta inviata al premier Renzi – le scuole sono costrette a ricorrere in modo sempre più crescente ai contributi delle famiglie e cercando, ove possibile, di reperire risorse esterne aggiuntive. Il privato che si sostituisce al finanziamento pubblico.
    Ai contributi in materiale da anni forniti dai genitori, si aggiungono, e sono indispensabili, anche contributi in denaro, aggiungono gli autori della lettera a Renzi che ricordano come da rilevazione nella provincia di Bologna pressoché tutti gli istituti sono costretti a richiederli e per gli istituti superiori costituiscono la principale fonte di finanziamento.
    Se mancano i fondi statali per il funzionamento, dunque, sono le famiglie a sopperire con contributi che, come si sa, non sono obbligatori, anche se detraibili nella dichiarazione dei redditi.
    La presa di posizione dei presidenti di istituto emiliani ha anche una ragione contingente, derivante dal fatto che localmente sembra sia in atto una campagna di dissuasione nei confronti delle famiglie per non sottostare al pagamento del contributo non obbligatorio.
    L’anno scorso una nota del capo dipartimento del Miur aveva ricordato il carattere facoltativo del contributo, diffidando i dirigenti scolastici dall’imporre il versamento a carico delle famiglie, ma ne aveva al contempo sottolineato l’importanza per la vita della scuola. Proprio quella nota, ora, viene richiamata da parte di esponenti politici locali per ricordare alle famiglie il non obbligo del versamento.
    Come uscirne? A parte l’ovvia soluzione di finanziare adeguatamente le istituzioni scolastiche (di questi tempi non sembra un’operazione immediatamente possibile e facile), si fanno strada vie d’uscita straordinarie: rendere obbligatorio il contributo eventualmente in base al reddito; includere le istituzioni scolastiche tra i soggetti che possono fruire del 5 per mille; oppure individuare nuovi modelli di finanziamento, attingendo a risorse di soggetti privati, che vadano oltre l’intervento delle famiglie. Una terza via che promuova alleanze efficaci ed intelligenti tra privato e pubblico soprattutto quando il primo dà segni di responsabilità sociale ed ha il coraggio di fare progetti (esempio pilota il progetto Smart School, finanziato da Samsung). Con questa prospettiva occorre creare dentro il cambiamento del sistema educativo un contesto di coesione e di solidarietà sociale. Come dire: ad ognuno venga assegnata una parte.


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    La crisi del contributo ‘volontario’ delle famiglie. Alternative?


    A causa del pesante taglio delle risorse finanziarie a disposizione – hanno fatto presente i presidenti dei consigli di istituto emiliani nella lettera aperta inviata al premier Renzi – le scuole sono costrette a ricorrere in modo sempre più crescente ai contributi delle famiglie e cercando, ove possibile, di reperire risorse esterne aggiuntive. Il privato che si sostituisce al finanziamento pubblico.
    Ai contributi in materiale da anni forniti dai genitori, si aggiungono, e sono indispensabili, anche contributi in denaro, aggiungono gli autori della lettera a Renzi che ricordano come da rilevazione nella provincia di Bologna pressoché tutti gli istituti sono costretti a richiederli e per gli istituti superiori costituiscono la principale fonte di finanziamento.
    Se mancano i fondi statali per il funzionamento, dunque, sono le famiglie a sopperire con contributi che, come si sa, non sono obbligatori, anche se detraibili nella dichiarazione dei redditi.
    La presa di posizione dei presidenti di istituto emiliani ha anche una ragione contingente, derivante dal fatto che localmente sembra sia in atto una campagna di dissuasione nei confronti delle famiglie per non sottostare al pagamento del contributo non obbligatorio.
    L’anno scorso una nota del capo dipartimento del Miur aveva ricordato il carattere facoltativo del contributo, diffidando i dirigenti scolastici dall’imporre il versamento a carico delle famiglie, ma ne aveva al contempo sottolineato l’importanza per la vita della scuola. Proprio quella nota, ora, viene richiamata da parte di esponenti politici locali per ricordare alle famiglie il non obbligo del versamento.
    Come uscirne? A parte l’ovvia soluzione di finanziare adeguatamente le istituzioni scolastiche (di questi tempi non sembra un’operazione immediatamente possibile e facile), si fanno strada vie d’uscita straordinarie: rendere obbligatorio il contributo eventualmente in base al reddito; includere le istituzioni scolastiche tra i soggetti che possono fruire del 5 per mille; oppure individuare nuovi modelli di finanziamento, attingendo a risorse di soggetti privati, che vadano oltre l’intervento delle famiglie. Una terza via che promuova alleanze efficaci ed intelligenti tra privato e pubblico soprattutto quando il primo dà segni di responsabilità sociale ed ha il coraggio di fare progetti (esempio pilota il progetto Smart School, finanziato da Samsung). Con questa prospettiva occorre creare dentro il cambiamento del sistema educativo un contesto di coesione e di solidarietà sociale. Come dire: ad ognuno venga assegnata una parte.

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    «Illegale pretendere soldi dalle famiglie degli alunni»



    Il ministro ai presidi: possibili solo contributi volontari

    L’ultima circolare lo scriveva chiaro il 7 marzo del 2013. E non cambiava, di una virgola, quello che aveva già sostenuto l’anno prima. «I contributi scolastici sono volontari». E ancora: «Nessun istituto può subordinare l’iscrizione degli alunni al preventivo versamento del contributo». In caso contrario «non solo è illegittimo, ma si configura come una grave violazione dei propri doveri d’ufficio». Più esplicito, non si può. E, invece, le cose non stanno proprio così. Decine di istituti scolastici continuano a fare finta di nulla. A volte cambiano il nome del «contributo», ma non la sostanza. In alcuni casi avvertono, usano toni da ultimatum. E per la famiglie si traduce in un costo di almeno 60 euro. In alcuni casi anche di 300. Su siti come Skuola.net continuano ad arrivare decine di segnalazioni. Una situazione inaccettabile, secondo il Miur. «Mettere la scuola al centro per il governo significa non solo restaurare muri e ridipingere pareti, come stiamo facendo — spiega al Corriere il ministro dell’Istruzione Stefania Giannini —, ma anche tornare a investire per migliorare la qualità dell’insegnamento e dell’offerta formativa, cosa che ci siamo impegnati a fare». Proprio per questo, «non è possibile obbligare le famiglie, con metodi inappropriati, a pagare contributi che per definizione sono volontari. Questo deve essere un principio inderogabile. I presidi lo sanno, ma se qualcuno non dovesse ricordarselo lo faremo noi con una nota che ribadirà questo concetto». Complici i tagli degli ultimi anni, le scuole hanno sempre meno risorse a disposizione. E così, per trovare un po’ di soldi, si rivolgono ai genitori degli alunni iscritti. Soldi che qualche istituto — segnalano dal ministero — destina in parte alle voci di spesa relative al funzionamento stesso della struttura. Compresi i costi per le fotocopie e il materiale didattico. «I nostri bilanci sono ridotti all’osso — spiega il preside di un liceo scientifico lombardo che chiede di restare anonimo —, se viene meno proprio quel contributo dato dai genitori allora è meglio chiudere. Non è un problema soltanto mio, ma di tante scuole dell’area». «Io chiedo 80 euro, non basta, ma almeno mi arriva qualcosa», aggiunge un altro preside, di un liceo classico toscano. Che propone: «Quei contributi per noi sono vitali: forse sarebbe il caso di togliere il velo di ipocrisia e accorparli alle tasse scolastiche». «Ma allora dobbiamo pagare o no?», è la domanda di mamma e papà. E intanto si improvvisano giuristi, cercano sul web documenti e leggi. Ricevono comunicazioni di presidi «a volte sgradevoli». Prendiamo, per esempio, una circolare di un liceo di Cuneo. Punti esclamativi inclusi. Scrive il dirigente: «Si ricorda che i contributi, se pure non obbligatori, sono richiesti perché indispensabili per il funzionamento dell’istituto». Quindi il suggerimento: «Per gli alunni, le cui famiglie non intendono versare i contributi, vi sono due possibilità. Pagare ogni volta la quota relativa al servizio, all’acquisto di cui usufruiscono (esempio: pagare ogni fotocopia, ogni ingresso nell’aula informatica). Strada di fatto non percorribile!». Oppure «usufruire di tutti gli strumenti, di tutti i servizi, perché gli altri alunni hanno pagato». Più a est, un liceo scientifico di Milano chiede 150 euro quale «contributo spese di funzionamento». Per arrivare a Mestre, dove i 120 euro (per chi si iscrive al secondo anno) e i 130 euro (per la registrazione alle classi 3°, 4° e 5°) servono, tra le altre cose, anche alla «parziale copertura delle spese di fotocopiatura». «Al netto di chi ha l’esonero per merito, motivi economici o appartenenza a speciali categorie — chiariscono dal ministero — sono obbligatorie soltanto le tasse di iscrizione, di frequenza, di esame e di diploma». Tutto quello che eccede questa cifra — vedi alla voce: contributi scolastici — «può essere chiesto, ma i genitori non sono costretti a pagare». Resta in piedi un Regio decreto del 1924 e riguarda soltanto gli istituti tecnici, professionali e l’artistico. Quei contributi, chiamati «di laboratorio», si devono pagare. Tutte le irregolarità, continua il Miur, si possono segnalare «agli Uffici scolastici regionali che sono responsabili della vigilanza sulle scuole». Leonard Berberi
    lberberi@corriere.it



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    Le famiglie e i contributi "volontari"

    Quando i contributi (non) volontari delle famiglie finanziano quasi un terzo del bilancio della scuola.
    Da poco tempo è disponibile sul sito di tutte le istituzioni scolastiche la finestra “amministrazione trasparente” che include diverse voci, alcune ad oggi inapplicabili nella scuola, come la performance, o programma triennale (salvo approvazione buona scuola...) altre che offrono la possibilità di capire meglio come funziona la scuola dal punto di vista finanziario, economico.
    Secondo le disposizioni del decreto legislativo del 14 marzo 2013, n. 33, le Pubbliche Amministrazioni pubblicano i dati relativi al bilancio di previsione e a quello consuntivo di ciascun anno in forma sintetica, aggregata e semplificata, anche con il ricorso a rappresentazioni grafiche, al fine di assicurare la piena accessibilità e comprensibilità.
    E' impressionate notare, avendo fatto una verifica a campione su diverse scuole, da Trieste in giù, quanto sia determinante la voce “contributi da privati" che include tre sottovoci, quale famiglia vincolati, non vincolati altri vincolati, non vincolati.
    Di norma le entrate principali per le scuole sono garantite, per quello che emerge nel Programma, dai finanziamenti ordinari ministeriali, finalizzati a garantire il funzionamento fondamentale di tutti i servizi di base erogati in una istituzione scolastica, quelli della didattica curricolare e quelli dei servizi amministrativi.
    Poi vi sono le assegnazioni che giungono da parte degli enti locali, per progetti previsti nel Pof ecc, ed infine vi è quella dei privati, la cui voce principale è data dal contributo volontario che nella quasi maggioranza dei casi costituisce circa un terzo delle risorse a disposizione della scuola, come indicate nel Programma annuale,e la media è di circa 60/80 euro a studente per anno scolastico.
    Sul contributo volontario già sono stati spesi fiumi di parole, e critiche giuste, è intervenuto anche il Miur, in modo severo, almeno con le parole, dovrebbero servire per la non ordinarietà dell'attività scolastica, eppure ho letto sintetici rapporti che hanno visto l'utilizzo dei contributi per coprire il costo della carta, della cancelleria per parte della spesa per le licenze del software utilizzato su tutti i pc della scuola, per la manutenzione e eventuale riparazione di attrezzature di qualsiasi tipo ed altresì per abbonamenti a riviste per uso didattico, per il funzionamento delle Lim, per coprire l'invio degli sms che le scuole inviano ai genitori, per la vigilanza degli addetti, per la copertura assicurativa, per la connessione Internet per uso didattico.
    E questi sono solo alcuni casi che si possono facilmente reperire in rete scrivendo nel motore di ricerca contributo volontario scuole ed aprendo i file ed i resoconti delle scuole. E meno male che non dovevano essere utilizzati per attività ordinaria della vita scolastica.
    Certo, è vero che l'art. 15 del TUIR 917/86 e ss. prevede la possibilità di detrarre, in sede di dichiarazione dei redditi, i contributi volontari versati a favore degli istituti scolastici di ogni ordine e grado ed in particolare, le persone fisiche, quindi anche le famiglie che erogano contributi alle scuole, possono detrarre dall’imposta sul reddito il 19% del contributo elargito.
    Però, il problema esiste e persiste soprattutto quando la vita effettiva della scuola è correlata, stante il drastico e costante venir meno di stanziamenti di risorse, al versamento di questo contributo che mina certamente la gratuità del diritto allo studio. Insomma se le scuole italiane si priveranno,oggi, dei contributi volontari queste certamente rischieranno delle mazzate tremende, forse il collasso.
    A dirla tutta penso che sia il caso di subirle queste mazzate, di viverlo questo collasso, quanto prima, semplicemente non versando ciò che non si deve versare, perché questo è il miglior modo per capire lo stato reale delle cose.
    Non si è responsabili e solidali sostituendosi ad uno Stato che sperpera danaro pubblico in una infinità di modi ben noti, si è responsabili e solidali con la scuola, la nostra scuola, adoperandosi perché questa possa guardarsi allo specchio e prendere consapevolezza del suo malanno.
    La scuola non ha bisogno di elemosina o di contributi volontari, ma di investimenti pubblici e se le famiglie continueranno a farsi carico di ciò, per quale motivo lo Stato dovrebbe invertire la tendenza? Visto che ci pensano gli italiani con i propri soldini a garantire la sussistenza della scuola pubblica?
    Fino a quando si verseranno i contributi volontari, fino a quando si metteranno delle pezze, lo Stato andrà avanti per la sua strada, inesorabilmente, e la strada è già segnata, fomentare diseguaglianze sociali, incentivare, stante le condizioni vigenti, come sistematicamente volute, l'intervento dei privati.


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    Predefinito Scuola, anno al giro di boa: “Ma senza i contributi delle famiglie non funziona”

    Arrivano le prime pagelle ma le famiglie devono ricorrere alle lezioni private per scongiurare lo studio estivo dei figli rimandati. La scuola italiana in perenne “crisi economica” non è più in grado di garantire i corsi di recupero agli studenti con brutti voti e, in vista delle prossime iscrizioni, le associazioni studentesche dichiarano guerra ai contributi “volontari” che permettono agli istituti scolastici di sopravvivere. Un bel busillis per i capi d’istituto che si ritrovano tra l’incudine della normativa e il martello: l’impossibilità di attuarla per penuria di fondi. E nonostante gli sforzi della Buona scuola, presidi e docenti devono continuare a fare i conti con la carenza di finanziamenti dovuta ad anni di cura da cavallo al sistema di istruzione nazionale imposta dai governi Berlusconi, Monti e Letta.
    Basta scorrere i Rav – i Rapporti di autovalutazione compilati l’estate scorsa da tutti gli istituti – per comprendere la situazione in cui si trovano le istituzioni scolastiche del Paese. “In estrema sintesi, economicamente la scuola è finanziata dallo Stato per ciò che riguarda gli stipendi dei docenti ed altri servizi, mentre per il funzionamento generale è finanziata dalle famiglie (tramite il contributo volontario versato dalla maggior parte di esse) che finanziano anche le visite d’istruzione”, si legge nel documento del liceo classico Giordano Bruno di Budrio, in provincia di Bologna. Ma negli ultimi anni la crisi economica ha prodotto un calo generalizzato anche di questi preziosi fondi. Spesso i finanziamenti per i funzionamento erogati dallo stato e dagli enti locali sono risicati e in molte realtà i finanziamenti da privati non esistono.
    “Non sono presenti forme di finanziamento privato significative – confermano dal liceo scientifico Siani di Napoli – se non per il contributo volontario degli alunni che si è molto assottigliato negli anni viste le difficili condizioni economiche che caratterizzano la nostra utenza”. Gli istituti più fortunati raccolgono la quota dalla maggior parte delle famiglie. Come accade al classico Mameli di Roma che “dal punto di vista delle risorse economiche, può contare – si legge nel Rav – sul contributo volontario delle famiglie, corrisposto dal 70 per cento delle stesse”. Ma al Sud non è sempre facile raccogliere fondi anche dai genitori. Perché, riguardo “alle risorse economiche disponibili, si è verificato un calo sensibile degli introiti relativi al contributo volontario versato dagli allievi, nonostante – spiegano dal liceo classico Vittorio Emanuele II di Palermo – il consiglio di Istituto ne abbia diminuito l’importo ed esso risulti inferiore alla media degli altri istituti cittadini”.
    E se non è facile convincere le famiglie degli studenti che frequentano i licei, figuriamoci quanto sia facile racimolare risorse da quelle dei ragazzi dei tecnici e dei professionali che devono ricorrere al volontariato anche degli insegnanti. Come accade all’istituto tecnico Pertini di Genzano di Roma dove “molte attività sono state svolte grazie al contributo volontario dei docenti”. E senza fondi i corsi di recupero, che le scuole dovrebbero organizzare obbligatoriamente, non si possono svolgere. O se ne svolgono un numero, e per un ammontare di ore, ridicolo rispetto alle necessità. Basti confrontare due numeri. Nel 1999, la cifra destinata dal ministero dell’Istruzione agli Idei – gli interventi didattici educativi e integrativi introdotti nel 1995, quando vennero aboliti gli esami di riparazione – era di 322 miliardi di vecchie lire, pari a 167 milioni di euro. Nell’anno scolastico 2013/2014, gli istituti superiori italiani hanno assicurato in media 63 ore di recupero in tutto l’anno per una spesa totale lontanissima dal budget di quindici anni prima: appena 9 milioni di euro pari al 5 per cento di quanto si spendeva nel 1999. Nel frattempo, la cifra destinata ai corsi di recupero è confluita nel cosiddetto capitolone e, successivamente, rosicchiata da anni e anni di tagli alle risorse economiche delle scuole, che si sono dimezzate. La Buona scuola, con un incremento di circa 110 milioni per spese di funzionamento scongiurerà l’acquisto di detersivi e carta per fotocopie con le risorse versate dai genitori. Ma chi vorrà evitare la rimandatura a settembre dovrà probabilmente cercarsi un bravo docente privato perché i contributi volontari delle famiglie potranno ridursi ancora. L’Unione degli studenti ha infatti ha avviato una “campagna di denuncia sui contributi volontari”, auspicando lo “stop al salasso per le famiglie e ai soprusi ai danni degli studenti” da parte di quelle scuole che “impongono” il contributo “volontario”.


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