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Discussione: Megaupload chiude

  1. #51
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    22 febbraio, 15:26





    (ANSA) - AUCKLAND (NUOVA ZELANDA), 22 FEB - Il fondatore del sito di file-sharing Megaupload, accusato di violazione di copyright e per il quale gli Usa chiedono l'estradizione, e' stato liberato su cauzione dalla giustizia neozelandese. Kim Schmitz, alias 'Kim Dotcom', tedesco di 38 anni, era stato arrestato il 20 gennaio nella sua proprieta' di Auckland con altri tre responsabili di Megaupload. Secondo il giudice Nevin Dawson il rischio di fuga e' ridotto dal fatto che tutti i suoi beni sono stati sequestrati.

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  2. #52
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    Megaupload, Kim Dotcom potrebbe riottenere tutti i suoi beni sequestrati

    Il caso Megaupload è oramai cosa nota, così come le vicende giudiziarie del suo fondatore Kim Dotcom. Ma quando tutti erano oramai convinti che il procedimento giudiziario a suo carico fosse irreversibile, ecco arrivare il colpo di scena: tutti i beni sequestrati a Kim Dotcom li devono essere restituiti, firmato l’Alto Tribunale della Nuova Zelanda. A causa di un errore di procedura, probabilmente dettato dalla troppa fretta di colpire il fondatore di Megaupload, le autorità avrebbe commesso alcuni passi falsi che a questo punto hanno rimesso in discussione quanto fatto sino a oggi.


    Nello specifico, gli agenti della polizia neozelandese, per effettuare l’irruzione e la perquisizione della tenuta di Kim Dotcom, avrebbero applicato non solo la legge sbagliata, ma anche compilato alcuni moduli completamente sbagliati, aspetto questo che avrebbe complicato la fase difensiva ai legali di Kim Dotcom perché si sarebbe basata su indicazioni legali errate.



    Errore grave di procedura, ammesso apertamente a fine gennaio quando la polizia ha cambiato le carte in tavola presentando nuovi documenti, utilizzando questa volta le procedure corrette. Errore di forma che adesso potrebbe costare davvero caro perché i bene sequestrati potrebbero facilmente tornare nelle mani del fondatore di Megaupload. Parliamo di grandi ricchezze come proprietà, soldi, auto di lusso e molto altro ancora.


    Occasione ghiotta per i legali di Kim Dotcom che sicuramente non si lasceranno sfuggire l’occasione di mettere in un angolo le autorità giudiziarie neozelandesi.



    Si profila dunque una clamorosa vittoria per il fondatore di Megaupload, se pensiamo inoltre al fatto che le autorità neozelandesi avevano fatto di tutto per congelare i beni di Kim Dotcom per evitare una sua eventuale fuga all’estero. Ovviamente le imputazioni a carico di Megaupload non cambieranno di una virgola, così come le date dei processi, ma il fatto di oggi dimostra che nulla può essere dato per scontato.
    digital it




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  3. #53
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    Megaupolad: ricatti e finti risarcimenti, le truffe via email


    ROMA – C’è una truffa tramite email. Una truffa che riguarda i risarcimenti di Megaupload, il sito di file-sharing chiuso dall’Fbi. In Germania e negli Usa sta crescendo infatti il numero delle comunicazioni via mail a persone accusate di aver violato vari copyright grazie appunto alla piattaforma di condivisione. In queste comunicazioni si chiede loro di pagare una determinata cifra per evitare di passare, a livello legale, guai ulteriori. Secondo il sito TorrentFreak la prima delle truffe riguarda i vecchi utenti Megaupload. Costoro ricevevano le email di “accusa” da parte di un ufficio legale tedesco, ovviamente falso, che richiedeva per conto dei suoi assistiti il rimborso per i copyright violati. Peccato però che manchi qualsiasi riferimento ai dati “rubati”. Ovvero: non si sa per cosa si dovrebbe pagare una “multa”.
    La seconda truffa invece è operata da un malware che prende possesso del vostro browser reindirizzandovi sulla pagina di un’organizzazione (anche questa falsa) tedesca anti-pirateria, chiamata GVU. La pagina fake presenta un elenco di alcuni prodotti “rubati” e chiede il pagamento di 50 euro tramite PaySafeCard per regolare la posizione.
    A realizzare queste cyber-truffe sono gli scammer. Per “scam” s’intende un tentativo di truffa perpetrata coi metodi dell’ingegneria sociale, in genere inviando una email nella quale si promettono grossi guadagni in cambio di somme di denaro da anticipare. Lo scammer è quindi colui che mette in pratica questa mossa.
    Può sembrare assurdo, ma sono molte le persone che cadono inconsapevolmente in queste truffe. Spesso gli utenti pagano pensando a quanto hanno “rubato” ritenendo comunque la cifra un giusto compenso per i mesi di film goduti a sbafo.

    blitzquotidiano.it
    ......................anche un orologio rotto segna l'ora giusta due volte al giorno......................

  4. #54
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    Predefinito I file Megaupload costano 9mila dollari al giorno: che farne?

    I file archiviati sui server Megaupload sono ancora a rischio cancellazione, con grande dispiacere per gli utenti che si sono sempre comportati nel rispetto della legge. Insomma, migliaia di backup sono lì fisicamente congelati nei server statunitensi della Carpathia Hosting, uno dei fornitori della piattaforma.
    Il problema è che gestire quei file (25 milioni di GB) e tenere impegnati almeno 1100 server ha un costo. Per questo motivo la piccola società della Virginia ha depositato una mozione in tribunale per sbloccare la situazione. C'è ancora un conto da pagare di 500mila dollari e circa 9mila dollari al giorno di hosting che dovranno pur spuntare da qualche parte.
    La chiusura di Megaupload, l'arresto dei gestori e il sequestro dei rispettivi conti di fatto ha interrotto ogni pagamento, e quindi le opzioni a disposizione sono rimaste poche. O si consente il trasferimento di file ad altri e si procede con il rimborso del dovuto, oppure si consente a Carpathia Hosting di cancellare tutto - fermo restando un periodo finestra che possa consentire agli utenti di scaricare i rispettivi file di proprietà.
    La società di hosting in ogni caso si è comportata bene promettendo a Electronic Frontier Foundation di preservare i dati e attendere gli esiti processuali. In verità come molti legali hanno suggerito, cancellare affrettatamente ogni file potrebbe attirare una quantità industriale di denunce da parte di utenti e aziende.
    Ad aprile comunque la corte statunitense che si sta occupando del caso Carpathia Hosting si esprimerà sulla questione. Difficile comunque che possa giungere qualche quattrino dalla Nuova Zelanda dove il patron di Megaupload è rientrato in possesso dei suoi fondi. Il giudice gli ha consentito di prelevare al massimo 49mila dollari al mese (dal suo conto da 9 milioni) per pagare le spese personali e la difesa.

    tomshw.it

  5. #55
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    Che nel mirino della MPAA non ci fosse solo Megaupload, e che dopo la chiusura di questo la partita non potesse certo ancora considerarsi conclusa, non è una novità per nessuno.

    Tuttavia, rispetto alla situazione che si delineava alla fine di dicembre, quando il caso relativo ai cyberlocker doveva ancora scoppiare, le cose ora stanno un po' diversamente: non sono più i siti BitTorrent a essere considerati i "nemici numeri uno", ma proprio quelli che offrono servizi di file hosting.

    Alfred Perry, vicepresidente della Paramount Pictures con l'incarico di occuparsi della tutela dei contenuti a livello mondiale, ha dichiarato che la Paramount segnala periodicamente i cyberlocker più pericolosi.

    Tra questi, cinque in particolare sono quelli che le major vorrebbero vedere chiusi il prima possibile: WUpload, DepositFiles, FileServe, MediaFire e PutLocker.

    Insieme - sostiene Paramount - questi siti totalizzerebbero 41 miliardi di pageview all'anno, ossia «oltre cinque per ogni abitante della Terra».

    D'altra parte la MPAA da tempo conduce una propria battaglia contro quelli che definisce «rogue cyberlockers», spiegando che sarebbe l'intero modello di business da questi servizi adottato a rappresentare una seria minaccia.

    «I cyberlocker rogue non sono solo un centro di distribuzione per film e show televisivi rubati» - si legge in un rapporto recente. «sia gli utenti che caricano i contenuti che i gestori dei siti possono guadagnare denaro. A mano a mano che il traffico video in Internet cresce, la minaccia proveniente dai rogue cyberlocker che traggono profitto dai contenuti rubati aumenta rapidamente».

    Se poi alle segnalazioni della MPAA seguirà un'azione da parte del Dipartimento della Giustizia USA, così com'è stato nel caso di Megaupload, ancora resta da vedere; certo non è impossibile.

    fonte: Z.N.

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  6. #56
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    fino alle 11 circa tutto ok, ora wupload dice:
    Wupload does not allow files to be shared. We are a STORAGE ONLY product so you can only download your own files.
    If you have uploaded this file yourself, login first in order to download it.

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  7. #57
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  8. #58
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    Pirateria


    Salta l'estradizione negli Usa
    Così Mr. Megaupload beffa l'Fbi


    Non c'è ancora l'ufficialità ma è assai probabile che il processo non si farà. Troppi errori legali e, soprattutto, l'impossibilità da parte dei federali americani di incriminare fuori dal territorio Usa Kim Dotcom, padre padrone del più grande sito di scambio file del mondo chiuso dopo la denuncia delle major dal nostro inviato ANGELO AQUARO

    Kim Dotcom






    NEW YORK
    - Dalla sua prigione dorata di Coatsville, in Nuova Zelanda, adesso il più grande pirata della rete se la ride. Che figuraccia per l'Fbi, il governo degli Stati Uniti e i potentissimi studios di Hollywood che per anni avevano spinto per il suo arresto 1. Il processo a Kim Dotcom, il padre padrone di Megaupload, il sito di scambi di file musicali più grandi del mondo, non si farà. Troppi errori legali. E troppo pochi i requisiti per estradarlo negli Usa.

    Alla notizia manca ancora il crisma dell'ufficialità. Ma che cosa pensare quando è lo stesso giudice incaricato del caso a manifestare tutti i suoi dubbi? "Non so proprio se riusciremo mai ad avere un processo": così parlò Liam O' Grady, il magistrato neozelandese che deve esprimersi sul caso che da mesi tiene inchiodati gli oltre 50 milioni di utenti del sito che solo i suoi nemici chiamano pirata. Che succede? Che quei simpaticoni dell'Fbi non hanno mai presentato le carte che accusano il vecchio Kim di condotta criminale. "Non l'hanno fatto perché non possono", gongola l'avvocato americano Ira Rothken: "Megaupload non può essere accusato di condotta criminale perché non si trova sotto la giurisdizione degli Stati Uniti".

    Figuriamoci. Il servizio era basato a Hong Kong e quel furbacchione di Kim - uno smanettone tedesco-finlandese così intrippato del web che nel 2005 ha cambiato legalmente il suo cognome in Dotcom - faceva da anni la bella vita in Nuova Zelanda. L'arresto agli inizi di gennaio era stato salutato come l'inizio della controffensiva dei Nostri nella prima guerra mondiale del web. Ricordate? Erano i giorni caldi della rete scossa dagli attacchi di Anonymous e della rivolta del web contro la legge-bavaglio che il Congresso americano ha cercato inutilmente di lanciare. E nel bel mezzo, quel notizione: sette persone accusare di "pirateria online". Blitz dall'America in Europa. E finalmente quei quattro arresti dall'altra parte del mondo: Nuova Zelanda.

    Megaupload ha sempre riufiutato l'accusa di pirateria: il filesharing è lo scambio consenziente di files musicali tra i proprietari che si presuppone legittimo. Il sito funzionava da grande centro di scambio e archivio. Ma il governo americano e le major di Hollywood accusavano Kim e i suoi di ospitare nell'archivio soprattutto file illegali: cioè piratati. Almeno mezzo miliardi di dollari sarebbero stati così sottratti al copyright: facendo fare a Megaupload profitti per almeno 175 milioni di dollari. Per la verità le cifre sono al ribasso. Certo è che Kim faceva più che la bella vita. Alla quale è velocemente tornato. A marzo gli è stata concessa la libertà su cauzione: con l'obbligo ovviamente di non allontanarsi per ottanta chilometri, che non sono pochini, dalla sua lussuosa residenza. E adesso sta contrattando perfino la restituzione dei gioielli che quei cattivoni dei poliziotti hanno sequestrato alla sua Mona.

    Tutto sembra improvvisamente girare a suo favore. L'inchiesta è infarcita di errori. C'è un vizio di forma delle autorità neozelandosi che non hanno richiesto la giusta autorizzazione per il blitz che ha portato al sequestro dei suoi possedimenti. E poi c'è il vicolo cieco in cui si sono cacciati i federali Usa. Gli americani ovviamente vogliono processarlo a casa. Ma per l'estradizione occore che ci sia un crimine e non un semplice procedimento civile in corso. E dev'essere un crimine per cui l'accusato rischia di scontare almeno cinque anni di galera: l'infrazione di copyright invece in Nuova Zelanda è punita con un massimo di quattro anni.

    La legge s'è incartata insomma. E del vuoto di potere rischia di approfittarne ancora una volta Kim: come d'altronde ha fatto in tutti questi anni costruendo un impero che tra un buco di legge e un altro copriva il 4 per cento dell'intero traffico di Internet. "Avete rovinato il mio business e avete distrutto oltre 220 posti di lavoro", si è lamentato Mister Megaupload nella prima intervista a un giornale del posto. Non è neppure escluso che presto possa rimettere mano sul tesoro di files ancora conservato in più di 1100 server 2 in tutto il mondo. Che figuraccia per l'Fbi. E che figuraccia per i grandi Hollywood: a cui di questa storiaccia tra crimine, lusso e web non resta - come stanno già pensando - che farci un film. (23 aprile 2012)






    PIRATERIA

    Il file sharing dopo Megaupload
    vive in siti anonimi e decentrati


    La battaglia delle major che ha portato alla chiusura dei più grandi siti di scambio file, e all'eutanasia di altri, non ha certo stroncato il fenomeno. Che si è spostato su luoghi alternativi, grazie anche al lavoro di ricercatori universitari. Ecco come di ALESSANDRO LONGO

    King Dot Com, fondatore di Megaupload (reuters)



    IL MONDO del file sharing dopo Megaupload? È cambiato e sta cambiando ancora. Ma è come se rispettasse un copione già visto. Succede che la giustizia si è fatta sì più aggressiva e i siti di file sharing si spengono l'uno dopo l'altro; puntualmente, però, le alternative crescono e si moltiplicano stavolta nel segno di anonimato e decentralizzazione: sono queste le due parole d'ordine che animano la frontiera emergente dei servizi grazie ai quali - adesso - gli utenti possono procurarsi file di ogni genere. E' la reazione, quasi naturale, a un clima di caccia senza quartiere che le autorità stanno portando avanti per stanare i pirati del copyright.

    Le manette mettono paura. Gli Stati Uniti hanno richiesto alla Nuova Zelanda, dove è stato arrestato, l'estradizione di Kim "Dotcom" Schmitz, il fondatore di Megaupload; e si deciderà nel giro di poco tempo. Proprio dalla chiusura del più popolare sito di file sharing si è scatenato il terrore. Anche in Italia: siti che collezionavano link per il download di file protetti da diritto d'autore vengono oscurati o decidono di chiudere spontaneamente. L'italiano Ddlfantasy.net è l'ultimo esempio di chiusura volontaria ed era un punto di riferimento soprattutto per chi andava alla ricerca di serie tv (pirata). Aveva 315 mila utenti registrati, 16 mila link a film e 2.165 link a serie tv. Nell'annuncio d'addio, i gestori scrivono che il clima per loro e per quelli come loro è ormai pessimo: "Caccia alle streghe", così la chiamano, citando anche l'arresto, pochi giorni prima, di SiDCrew, uno dei principali "releaser" italiani di serie tv (un utente che recupera il video di una puntata di una serie e poi lo pubblica su internet).

    Pirati senza fine. In questa fase i luoghi più noti del file sharing perdono colpi, ma la pirateria non sembra aver intenzione di fermarsi. E per continuare imbocca nuove strade. "Queste azioni non bastano certo a frenare il fenomeno degli utenti che vogliono scaricare gratis. Ci sarà un semplice travaso di pubblico dai siti defunti a sistemi che è impossibile tracciare o bloccare", dice Andrea Monti, avvocato esperto di nuove tecnologie e rappresentante italiano di Electronic frontier foundation, la storica associazione americana per i diritti degli utenti internet. Si tratta di servizi come Triblet o Retroshare, che riportano in questi giorni un boom di utenti. Retroshare li ha triplicati a gennaio e di nuovo raddoppiati a febbraio, quando il programma è stato scaricato 21 mila volte. Dieci volte in più rispetto all'anno precedente.

    Le alternative. Retroshare sta a sistemi come Megaupload come una base militare sta a una cascina di campagna. Permette agli utenti di creare un network privato e basato su crittografia, per condividere i file. Si parte aggiungendo alla propria rete amici fidati, per la condivisione via peer to peer. E' possibile scaricare file anche da sconosciuti, ma solo facendoli passare tramite un amico di network. La crittografia crea insomma una rete oscura ("darknet"), dove gli utenti restano anonimi e virtualmente al riparo da occhi indiscreti. Il file sharing su reti anonime via crittografia è probabilmente il punto di non ritorno nella guerra del diritto d'autore. "L'unico modo di debellare questi sistemi sarebbe vietare la crittografia... ma significherebbe bloccare il sistema bancario mondiale", dice Monti. Al momento, per altro, non c'è nemmeno bisogno di arrivare alla crittografia per fare un filesharing molto più protetto rispetto ai sistemi appena defunti. Tribler, per esempio, è un servizio decentralizzato, anche se non anonimo, che sta diventando popolare. L'hanno scaricato 180 mila persone nell'ultimo mese. E' un client Bittorrent che non ha bisogno di un motore di ricerca separato. I motori (tipo The Pirate Bay) sono il punto debole delle reti torrent, visto che la giurisprudenza si sta orientando a considerarli facilitatori della pirateria. Vengono chiusi o denunciati per i loro "indici", che consentono agli utenti di trovare i file.

    Tribler non è un motore. Supera la questione mettendo gli indici sulla rete peer to peer e cioè affidandoli, a pezzetti, ai computer degli stessi utenti. Tribler non ha server quindi che possano essere accusati di indicizzare i file. "Il solo modo per spegnerlo, è spegnere internet", dice Johan Pouwelse, docente dell'olandese Delft University of Technology e uno degli autori del software. Già, all'industria del copyright non farà piacere saperlo ma Tribler non nasce nel garage di un pirata informatico: è opera invece di 18 ricercatori universitari. Per di più, è stato finanziato da fondi pubblici nazionali ed europei. Perché quello che il copyright vede come un furto, per altri è l'idea di creare reti più affidabili e a prova di tutto, senza punti deboli che siano attaccabili (da malintenzionati o dall'ordine di un giudice, dal punto di vista scientifico non fa grande differenza). "La massa degli utenti finirà su reti peer to peer più sicure di quelle che si sono diffuse finora. La possibilità alternativa è che l'industria del copyright riesca a creare un'offerta legale davvero appetibile", dice Monti. Per la musica, almeno, qualcosa in questo senso comincia a vedersi anche in Italia 1. La strada è lunga, però, e adesso appare chiaro che la mera guerra poliziesca al file sharing finirebbe in un vicolo cieco
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