Decisione senza precedenti del presidente Lukashenko. Proteste in rete.
Giro di vite anche sulle connessioni wi-fi e sulle transazioni di denaro online.
Con una decisione senza precedenti, il presidente bielorusso Aleksander Lukashenko si appresta a nazionalizzare, di fatto, Internet nel suo paese. Con l'entrata in vigore, il prossimo 6 gennaio, degli "Emendamenti al codice delle violazioni amministrative e procedurali", i cittadini della piccola Repubblica nata a seguito del collasso dell'Unione Sovietica non potranno consultare siti Web stranieri, i cui server siano collocati fuori dai confini nazionali, senza incorrere in sanzioni monetarie, con multe che potranno arrivare fino a un massimo di 96 euro.
Considerando che lo stipendio medio mensile di un impiegato si aggira sui 300 euro, si tratta di una politica dissuasiva piuttosto efficace nei confronti di gran parte della popolazione. Fra i siti più visitati al momento, secondo una classifica stilata da Alexa, ai primi posti figurano i soliti colossi Usa, da Google a Facebook passando per Twitter e YouTube, assieme a molti portali e social network russi, come V Kontakte. Tutto questo dovrà cambiare e i bielorussi dovranno rassegnarsi a modificare le proprie abitudini di navigazione pericolosamente – secondo il governo – esterofile e navigare nel rassicurante stagno dei siti graditi al dittatore. Non si potrà accedere nemmeno alla versioni locale di Google, poiché le pagine di quest'ultima, pur essendo contraddistinte dal suffisso nazionale bielorusso “by”, vengono comunque servite da server collocati negli Usa.

La legge voluta da Lukashenko non produrrà i suoi effetti repressivi soltanto nei confronti dei privati cittadini. La nuova normativa, che recepisce e attua un decreto dello stesso presidente risalente al primo febbraio 2010, richiede infatti a tutte le imprese operanti sul territorio bielorusso di adoperare soltanto fornitori di accesso e domini locali per erogare servizi, effettuare compravendite e perfino scambiarsi messaggi di posta elettronica. Qualsiasi transazione potrà quindi avvenire fra imprese Internet localizzate, e tutti i dettagli di qualisias compravendita nomi siano custoditi – forse sarebbe meglio dire schedati – in un registro accessibile dal fisco, dalle forze dell'ordine ufficiali e dalla polizia segreta, una delle poco piacevoli caratteristiche, quest'ultima, che il regime sembra aver ereditato dall'Urss.
E non è finita. Sono state irrigidite anche le norme che riguardano la consultazione della Rete tramite reti wi-fi messe a disposizione da Internet cafè o altri locali pubblici. I proprietari diventano responsabili del comportamento dei loro avventori, e potrebbero essere costretti a chiudere l'attività se permetteranno ai clienti di avventurarsi su Amazon o Google. Il governo si è anche arrogato il diritto di stilare una lista di siti pericolosi, da bloccare; in teoria, dovrebbe trattarsi di siti pornografici o estremisti, in pratica si punta a mettere in piedi un moderno Indice dei contenuti vietati. Da venerdì, per effetto di tutti questi provvedimenti, la cappa di silenzio e oppressione che avvolge la Bielorussia si farà ancora più pesante. Non a caso, il Paese è considerato da gran parte delle nazioni democratiche uno dei regimi più chiusi al momento esistenti e sono rari i politici occidentali che vi si avventurano in visita. A rompere l'embargo fu nel 2010, proprio un politico italiano. Indovinate quale.

La Stampa