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Discussione: Test Invalsi due volte all'anno

  1. #21
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    INVALSI
    Il presidente Cipollone dimissionario e il personale in stato di agitazione

    l numero uno dell'Istituto nazionale di valutazione ha lasciato l'incarico il 13 marzo scorso, ma lo si è saputo soltanto ora. In scadenza i contratti dei lavoratori precari, la stragrande maggioranza.
    La scuola pubblica italiana perde un altro pezzo. Dallo scorso 13 marzo, ma la notizia è emersa solo in queste ore, Piero Cipollone si è dimesso dalla carica di presidente dell'Invalsi, l'Istituto nazionale di valutazione che nelle ultime stagioni per conto del ministero dell'Istruzione ha verificato il livello di apprendimento degli studenti italiani e ha costruito alcuni esami di Stato e diverse prove finali. Cipollone, punto di riferimento dell'ente, da alcuni mesi viveva a Washington, dove svolgeva il compito di rappresentante per l'Italia della Banca mondiale (è uno dei ventiquattro direttori esecutivi).
    Le dimissioni del presidente dell'Invalsi arrivano a ridosso della scadenza del Comitato di indirizzo dell'istituto e i lavoratori denunciano ora "una situazione di forte criticità e di incertezza di governo". Sono in scadenza molti contratti dei lavoratori precari interni: l'Invalsi, infatti, ha solo ventidue dipendenti stabili. Tutto il personale (ricercatori, collaboratori tecnici e amministrativi) è entrato in stato di agitazione e domani protesterà davanti alla sede del ministero.
    Piero Cipollone era stato nominato presidente dell'Invalsi il 4 agosto 2008 e in questi due anni aveva guidato l'attività dell'Istituto nella fase di rilancio della rilevazione dei livelli di apprendimento degli studenti. Prima di approdare alla scuola è stato ricercatore del Servizio studi della Banca d'Italia, dove ha svolto anche un'attività di rappresentanza presso università estere.


    Eduscuola

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  2. #22
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    Prove Invalsi: interviene anche il Tar Sardegna


    Una dirigente scolastica di Nuoro si era rifiutata di inserire nell'ordine del giorno un punto relativo alle prove Invalsi. Il Tar impone di convocare il collegio entro la fine di aprile. Esultano i Cobas.
    Si complica ogni giorni di più la vicenda delle prove Invalsi.
    E’ di queste ore una notizia proveniente dalla Sardegna, il cui TAR ha accolto un ricorso presentato da due docenti di un circolo didattico di Nuoro.
    La dirigente scolastica della scuola si era rifiutata di inserire all’ordine del giorno del collegio dei docenti un punto relativo alla questione delle prove Invalsi.
    In realtà le due docenti, che avevano messo insieme le firme necessarie per ottenere l’inserimento dell’argomento all’ordine del giorno della riunione, erano intenzionate a presentare al collegio una mozione di protesta tesa in particolare a sostenere la non obbligatorietà delle prove.
    La dirigente - dal canto suo - intendeva evitare la discussione della mozione ed una sua eventuale approvazione.
    Ma il Tar della Regione Sardegna ha dato torto alla Amministrazione scolastica imponendo alla dirigente di convocare il collegio entro 5 giorni dal ricevimento della sentenza e comunque non oltre il 30 aprile, anche in considerazione dell’urgenza (la somministrazione delle prove inizierà il 10 maggio).
    I Cobas della Sardegna, che hanno sostenuto il ricorso mediante i propri legali, gridano vittoria e sottolineano come “l'Ordinanza vada al di là dello specifico INVALSI perché conferma il potere dei componenti del Collegio Docenti anche in termini generali e invoglia certamente molte/i colleghe/i a riappropriarsi degli stessi dopo molti/troppi anni di assuefazione al dominio dirigenziale negli organi collegiali”.
    Nel merito della vicenda, il Tar ha evidenziato che “l’eventuale incompetenza del collegio dei docenti a deliberare sull’oggetto indicato dai ricorrenti è questione che potrà essere esaminata nella detta riunione, e potrà eventualmente costituire motivo di rigetto della mozione presentata dagli stessi, ma non può ritenersi ragione preclusiva alla convocazione dell’organo collegiale”.



    Tecnica della scuola
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  3. #23
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    Predefinito Iinvalsi di matematica 2011





    prova invalsi di matematica
    esempi 2010/2011







    pdf > 336 kiloB

  4. #24
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    La Gelmini alle scuole: non boicottate i test Invalsi, sono utili agli studenti


    I sindacati di base della scuola, Cobas e Unicobas, invitano i docenti a boicottare i test messi a punto dall'Istituto nazionale di Valutazione (Invalsi) che si svolgeranno a partire dal 10 maggio. Ma una circolare del ministero ribadisce la necessità delle verifiche.
    Nessuno mi può valutare. I sindacati di base della scuola incalzano i docenti invitandoli al boicottaggio di massa dei test messi a punto dall'Istituto nazionale di Valutazione (Invalsi)e voluti dal ministero che si svolgeranno a partire dal 10 maggio.
    Ed è braccio di ferro col ministro, Mariastella Gelmini, che in una circolare emanata in tutte le scuole prima di Pasqua avverte: i test vanno fatti, la scuola non può tirarsi indietro. Scrive il ministero nella circolare: «apparirebbero quanto meno improprie le delibere collegiali che avessero ad oggetto la mancata adesione delle istituzioni scolastiche alle rilevazioni nazionali degli apprendimenti» proprio perchè «in contrasto con la doverosità delle rilevazioni».
    «Per fortuna sono pochi gli insegnanti che ritengono il test fuori dai propri obblighi. La maggior parte lo ha accettato.-sostiene la Gelmini- Si tratta di una valutazione seria per favorire il miglioramento della qualità dell'istruzione».
    Cobas ed Unicobas però replicano che non esiste l'obbligo di svolgere i test e che nessun dirigente scolastico può imporre ai professori quello che di fatto è un lavoro in più e per il quale non è previsto alcun compenso. Certo è che il mondo della scuola da sempre ha alzato un muro di fronte all'ipotesi di essere valutato, qualsiasi fosse il metodo che veniva proposto. Naufragato e al momento accantonato qualsiasi tentativo di valutare direttamente il lavoro e le competenze dei docenti, legando poi gli eventuali aumenti di stipendio al merito e non più all'anzianità. Il primo a provarci fu l'ex ministro della Pubblica Istruzione, Luigi Berlinguer, che su questo punto perse la poltrona. Anche la Gelmini ha messo in piedi un sistema di valutazione diretto agli insegnanti in via ancora sperimentale. Ma dato che l'adesione degli istituti e dei singoli docenti era volontaria il progetto si è arenato ancora prima di partire perchè sono stati troppo pochi quelli che hanno accettato di partecipare.
    All'Invalsi invece spetta il compito di valutare la preparazione degli studenti. Sorto oramai più di dieci anni fa dalle ceneri del Cede, il Centro Europeo per l'educazione, l'Invalsi ha il compito di elaborare griglie di test che vengono poi somministrate alle scuole per valutare appunto il grado di preparazione degli alunni nelle varie materie. Da sempre la scuola italiana nel suo complesso ha maldigerito l'idea della valutazione, anche se in tutti i paesi avanzati esistono sistemi per verificare sia la preparazione degli alunni sia la competenza e la capacità dei docenti.
    L'idea che sia necessario essere valutati è stata faticosamente accettata da presidi e professori ma soltanto in linea di principio perchè esiste ancora una forte resistenza. Quest'anno le prove Invalsi, che si tengono a campione, verranno somministrate in seconda e quinta elementare, in prima media e nel secondo anno delle superiori. Già dallo scorso anno poi in terza media accanto alle consuete prove scritte viene affiancato un test Invalsi che entra poi a far parte della media per il voto finale.
    Cobas e Unicobas però hanno dichiarato guerra all'Invalsi. L'Unicobas è arrivato a proclamare due giorni di sciopero proprio quando vanno sostenute le prove, il 12 e 13 maggio. I Cobas invece hanno distribuito un vademecum per il boicottaggio in cui si fa presente che i test sono obbligatori ma soltanto per la terza media. Oltretutto, dicono i sindacati, non essendo prevista alcuna retribuzione aggiuntiva neppure il sì del Collegio docenti dell'istituto basterebbe per imporre al professore di somministrare i test ai suoi alunni.


    Eduscuola
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  5. #25
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    I test Invalsi creano il panico, ma c’è qualcosa di più grave...

    È proprio il caso di spendere qualche parola chiara sui test, in particolare sui test Invalsi, che stanno per essere “somministrati” alle scuole e che tanti sommovimenti stanno provocando. Difatti, è usuale ripetere che sulla questione della valutazione della scuola cadono ministeri e governi, perché troppi insegnanti non vogliono essere valutati. Trattasi di una mezza verità, perché, per evitare che un ministro cada sulla valutazione - come accadde a Berlinguer - bisognerebbe almeno che le procedure proposte fossero meditate e ragionevoli, in modo da mettere all’angolo le resistenze puramente corporative. Questo non fu il caso del marchingegno scombiccherato proposto da Berlinguer, come non è il caso dei discutibilissimi meccanismi proposti per la recente sperimentazione, come abbiamo avuto modo di spiegare in altra sede. Pensare che non si debba far fronte a resistenze aprioristiche è assurdo, ma quantomeno si dovrebbe evitare che le più elementari obiezioni sorgano anche nelle menti più disattente.
    Così, in un clima reso già rovente dal rifiuto opposto da tante scuole alla sperimentazione della valutazione, ci troviamo di fronte all’appuntamento delle prove Invalsi di maggio. E anche in questo caso sono state create le condizioni ottimali per rendere indigesto questo passaggio. Il principale errore sta nell’aver creato un grande margine di ambiguità circa il significato, la portata e le implicazioni di queste prove, ovvero circa il significato, la portata e le implicazioni dei test.
    Qui si impongono alcune considerazioni generali. È sconcertante quanto sia difficile discutere razionalmente sui temi della valutazione. Per esempio, attorno ai temi delle valutazioni bibliometriche della ricerca scientifica si sta accumulando una letteratura di notevole consistenza e autorità - prodotta da persone e istituzioni di primo piano in ambito scientifico - che mette radicalmente in discussione la validità di queste procedure. Ultimo, in ordine di tempo, è l’articolo di Douglas Arnold, presidente di una delle massime società scientifiche mondiali (SIAM, Society for Industrial and Applied Mathematics) e di Kristine Fowler, bibliotecaria dell’Università del Minnesota, dal titolo Nefarious Numbers (numeri nefandi).
    Ebbene, provatevi a trasmettere questa letteratura agli specialisti nostrani di valutazione, nella speranza di aprire una discussione: la mettono nel cassetto, evitando qualsiasi discussione, salvo menzionarvi, in separata sede, come nemici “fondamentalisti” della valutazione. Qualcosa di simile accade sulla questione dei test. Inutile comunicare rapporti e articoli italiani ed esteri sulla questione, scrivere articoli e rapporti, sollevare aspetti critici, documentare i cattivi effetti prodotti dall’uso massiccio dei test - come ho fatto di recente a proposito dell’insegnamento della matematica in Finlandia (cfr. Il Foglio del 21 aprile) -, discutere i limiti precisi entro cui l’uso dei test deve essere confinato. Gli specialisti della valutazione si comportano ormai come una setta impermeabile alla discussione razionale e totalmente autoreferenziale.
    Quel che conduce ad atteggiamenti dogmatici e incapaci di aprirsi alla discussione è l’approccio puramente metodologico. Essere specialisti di valutazione in astratto è un nonsenso. Allo stesso modo, è un nonsenso la didattica metodologica “a prescindere” dall’oggetto cui si applica. Un esempio tipico - che ci ricondurrà al nostro tema - è lo studio delle cosiddette “misconcezioni” in matematica, che alimenta una complessa e vasta casistica delle cause concettuali degli “errori” in cui più di frequente incappano gli studenti. In realtà, chi conosca bene la matematica, sa che l’errore ne è il pane quotidiano, e anzi che la matematica vive dell’errore (si leggano le magistrali considerazioni di Federigo Enriques in materia), che spesso non è errore nel senso comune del termine, ma una premessa concettuale non necessariamente sterile e falsa, in una scienza che tutto è salvo l’assoluta esattezza logica come qualcuno ritiene ingenuamente. Non è possibile diffondersi qui su tale interessantissimo tema - lo faremo altrove - ma, a ben vedere, l’intera storia del calcolo infinitesimale è una storia di “misconcezioni”... una storia mai conclusa e probabilmente impossibile da concludersi.
    Secondo Eulero, il calcolo infinitesimale non è altro che il calcolo dei rapporti 0/0, che possono assumere infiniti valori finiti: una simile “misconcezione” gli sarebbe valsa oggi la diagnosi di “discalculico” da parte di qualche psicologo delle Asl e l’assegnazione a un programma didattico differenziato per alunni disturbati. E lo stesso sarebbe successo a moltissimi altri grandi matematici. L’ingenuità sta nel credere che esista una formulazione della matematica definita e codificata una volta per tutte, cui ci si possa riferire come l’assoluta “esattezza”. Poiché tale versione non esiste, ci si impiglia nella costruzione di un “oggetto didattico” inesistente e privo di relazioni con la matematica reale - quella che si è costruita man mano nella storia reale - e in una casistica degna della peggiore scolastica dell’ultimo Medioevo.
    Queste considerazioni si ricollegano al tema dei test, e al contenuto di un articolo pubblicato sul Corriere della Sera (21 aprile) dal titolo imbarazzante Nei test dell’Invalsi la matematica sarà “argomentativa” e dal sottotitolo Non solo risposte, ma ragionamenti. In verità, per chi ha qualche competenza autentica di matematica è a dir poco sorprendente scoprire che esiste una “matematica argomentativa”, ovvero quella che si fa mettendo in opera ragionamenti?... E quale sarebbe la matematica “non argomentativa”? Quella che si fa senza ragionare? La matematica a indovinelli? La matematica in cui si risponde a caso? Sarebbe la matematica in cui - dice l’“esperto” intervistato – “se c’hai preso sei bravo, se non c’hai preso buonanotte”. Ma naturalmente questa non è matematica - come non sarebbe storia, geografia o altro - non è neppure nozionismo, è semplicemente una banale lotteria che è difficile venga messa in opera anche dal peggior insegnante, se non con l’uso di test a risposta chiusa che - appunto! - non consentono di capire se la casella giusta è stata contrassegnata a caso oppure a seguito di un ragionamento corretto.
    È chiaro allora il meccanismo che ha condotto a una simile assurda invenzione. Per difendersi dalle critiche che vengono mosse ai test, si inventa una categoria insensata, la “matematica argomentativa”. E avvalendosi della innocente incompetenza di qualche povero giornalista, si rovescia la realtà, facendo dei test “argomentativi” qualcosa che supererebbe anche la migliore didattica tradizionale della matematica. Ma, se siamo ridotti - pur di fare i test e di difenderli capziosamente - a metterci nelle mani di “esperti” che non si vergognano di inventare simili categorie, allora siamo già molto avanti sulla via dell’imbarbarimento culturale.
    Queste trovate non risolvono affatto il problema centrale, che è notoriamente quello di utilizzare i test per produrre giudizi “oggettivi”. Anche su questo tema sono state prodotte osservazioni a non finire - anch’esse totalmente ignorate, l’aggettivo “oggettivo” viene ripetuto come un mantra - per mostrare che il test, in quanto frutto delle idee specifiche di chi l’ha apprestato ha ben poco di oggettivo. Basta mettersi attorno a un tavolo in più di una persona per discutere i test esemplificati in quell’articolo del Corriere, o i tanti altri proposti, per veder emergere opinioni differenti, persino opposte, circa il loro valore intrinseco e valutativo.
    A meno che... A meno che il test non sia rigorosamente confinato alla verifica della presenza di capacità minime - di calcolo, grammaticali, sintattiche, ortografiche - che può essere affidata a quiz a risposta chiusa. Ma non appena si pretende di andar oltre, l’“oggettività” svanisce come fumo al vento. Come può verificarsi la capacità argomentativa di un alunno di fronte a un problema matematico? A meno che non sia estremamente banale e meccanico, anche il più semplice problema matematico si presta a una grande molteplicità di soluzioni. Chiunque abbia provato a proporre un problema matematico a un gruppo di bambini delle primarie, sa che, suddividendo la classe in piccoli gruppi, o addirittura per singoli, si ottengono tante procedure diverse e quel che è davvero utile è stimolare i bambini a confrontare le varie soluzioni trovate, ad aprire una discussione sulle diverse vie seguite, il che può consentire all’insegnante di evidenziare e approfondire i diversi aspetti dei concetti in gioco. Tutto ciò esula completamente dalla dinamica della valutazione cosiddetta “oggettiva” mediante test. Difatti, se il test non richiede soltanto di contrassegnare la risposta esatta ma di esporre dettagliatamente il percorso seguito, non esisterà mai (salvo casi privi di interesse) un unico standard dimostrativo con cui confrontarlo. Si aprirà così la via a una molteplicità di valutazioni della via seguita, che possono anche essere fortemente divergenti, secondo il punto di vista dell’esaminatore. Si ritorna così inevitabilmente a un giudizio non dissimile da quello espresso tradizionalmente con i voti.
    Ripetiamolo: nessuno esclude l’utilità dei test per valutare l’esistenza di livelli minimi nelle nostre scuole, e si sa bene quanto questa valutazione sia purtroppo necessaria. Ma quel che è sbagliato, al limite irresponsabile, è attribuire ai test una funzione di valutazione complessiva del sistema scolastico e addirittura di valutazione dell’operato degli insegnanti, mediante la stima del “valore aggiunto” negli apprendimenti (che pena questo riduzionismo economicista...). Ma il rischio è ancora più grave e, quando è stato paventato, non ci si rendeva conto che potesse diventare realtà in pochi mesi. Il rischio maggiore è legato all’introduzione di quel che viene chiamato il “teaching to the test”, ovvero la sostituzione dell’insegnamento ordinario con un’attività di addestramento al superamento dei test.
    La critica degli effetti devastanti di un simile approccio è stata ampiamente sviluppata all’estero ed è auspicabile che non vi sia bisogno di riproporla. Tuttavia, quel che sta accadendo in questi giorni dimostra a quali esiti devastanti si stia arrivando. Il mercato dei manuali scolastici è di fronte a un’alluvione di libercoli che si presentano come “guide alle prove Invalsi”, “percorsi per affrontarle”, “preparazione alle prove di valutazione”, mediante “esercizi e modelli per lo sviluppo delle competenze”, e l’“analisi delle prove nazionali” precedenti.
    Ho sotto gli occhi alcuni di questi libercoli e c’è da restare raccapricciati. Un insegnante della secondaria superiore dovrebbe smettere di insegnare la letteratura italiana, per insegnare a leggere le istruzioni di un piano di evacuazione della scuola in caso di calamità naturale, a individuare le informazioni nel dépliant di una mostra, o a saper leggere una tabella di previsioni del tempo. Analoghe scempiaggini per le altre materie. Quel che è più grave è che parecchi di questi libri si presentino non soltanto come meri “eserciziari”, ma come manuali sostitutivi della didattica ordinaria, pretendendo di fornire “strategie di insegnamento/apprendimento”, “strumenti operativi forti” capaci di migliorare la professionalità docente e di sviluppare una non meglio specificata “presa di coscienza” da parte dello studente. Siamo così di fronte a una sfacciata proposizione del “teaching to the test” come approccio didattico alternativo a quello tradizionale.
    È ben comprensibile allora che la reazione degli insegnanti di fronte a questo impatto aggressivo sia molto differenziata. C’è chi si assoggetta e sospende l’insegnamento ordinario per addestrare gli studenti al superamento dei prossimi test, con effetti devastanti, ma con motivazioni riconducibili al timore di trovarsi di fronte a una valutazione negativa della propria classe. C’è chi si appresta ad “aiutare” gli studenti a superare i test. C’è chi si ribella al degrado della funzione insegnante proponendosi di scioperare. C’è infine chi, correttamente, ignora quanto accade e prosegue nell’attività ordinaria, vada come vada il risultato dei test.
    Una considerazione finale si impone. L’andazzo cui si sta assistendo configura una tendenza verso il degrado dell’insegnamento e della figura dell’insegnante, sempre più destinata a trasformarsi nella figura del “facilitatore”, passacarte di valutazioni e di metodologie didattiche confezionate da “esperti” sulla cui mai valutata competenza è meglio stendere un velo pietoso. Altro che rivalutazione meritocratica della funzione dell’insegnante! Qui rischiano di essere premiati coloro che si mostreranno proni a questo andazzo. Come stupirsi allora se, ancora una volta, ci troveremo di fronte alla bieca alternativa tra un ulteriore degrado della scuola italiana o un ennesimo fallimento del tentativo di introdurre serie modalità di valutazione? O a entrambi gli esiti?


    Il Sussidiario
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  6. #26
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    Predefinito Le prove Invalsi per particolari tipologie di alunni

    Tutti gli allievi di origine immigrata partecipano alle prove Snv 2010/2011 secondo le stesse modalità degli allievi autoctoni, anche se inseriti per la prima volta in una scuola con lingua d’insegnamento italiana nel corso del presente anno scolastico. Con due note distinte l’Invalsi fornisce indicazioni per la somministrazione delle prove agli alunni di origine immigrata e agli alunni con particolari bisogni educativi.
    Tutti gli allievi di origine immigrata partecipano alle prove Snv 2010/2011 secondo le stesse modalità degli allievi autoctoni, anche se inseriti per la prima volta in una scuola con lingua d’insegnamento italiana nel corso del presente anno scolastico.
    In base ai criteri di classificazione internazionali, si considerano:
    · studenti autoctoni (italiani nel nostro caso): allievi nati in Italia da genitori nati anch’essi in Italia;
    · studenti di origine immigrata di prima generazione: allievi nati all’estero da genitori nati anch’essi all’estero;
    · studenti di origine immigrata di seconda generazione: allievi nati in Italia da genitori nati all’estero.
    In merito alla valutazione dei risultati, come negli anni passati, l’Invalsi restituirà alle singole scuole i risultati degli allievi di origine immigrata separatamente da quelli degli allievi autoctoni, secondo le seguenti disaggregazioni:
    1. risultati globali, ossia i risultati di tutti gli allievi che hanno partecipato alle prove;
    2. risultati degli allievi autoctoni;
    3. risultati degli allievi di origine immigrata di prima generazione;
    4. risultati degli allievi di origine immigrata di seconda generazione.
    Infine, gli allievi di origine immigrata che abbiano cominciato a frequentare una scuola di lingua italiana da meno di un anno scolastico (convenzionalmente dopo l’1 settembre 2010) partecipano alle prove Invalsi, come tutti gli altri allievi, ma i loro esiti non concorrono alla determinazione dei risultati né globali né degli allievi di origine immigrata, indipendentemente dalla generazione.
    Con riferimento, invece, alla partecipazione degli alunni con particolari bisogni educativi alle prove Snv (non ci si riferisce alla Prova nazionale del I ciclo, per la quale l’Invalsi rimanda all’apposita C.M.), qualunque sia la tipologia di disabilità o di Dsa di un alunno, essa deve essere segnalata sulla Scheda-risposta dei singoli studenti, barrando l’opzione più appropriata fra le seguenti:

    1 = disabilità intellettiva;
    2 = disabilità visiva: ipovedente;
    3 = disabilità visiva: non vedente;
    4 = DSA;
    5 = altro.

    Solo se esplicitamente richiesto dal Dirigente scolastico, sarà così possibile disaggregare i risultati, considerandoli separatamente e non facendoli rientrare nella elaborazione statistica dei risultati di tutti gli altri alunni. E il Dirigente scolastico potrà anche decidere di somministrare le prove a questa tipologia di alunni in giornate differenti dalla somministrazione “ufficiale”: per la scuola secondaria di primo grado, la prova di matematica potrà svolgersi il 12.05.2011 e quella di italiano il 13.05.2011, mentre per la scuola secondaria di II grado, il 10.05.2011 la prova di matematica e l’11.05.2011 quella di italiano.
    Per la compilazione della scheda alunni,essadeve essere compilata anche per gli allievi con bisogni educativi speciali secondo le stesse modalità previste per gli altri allievi della classe. Se l’allievo con bisogni educativi speciali è dispensato dalla prova, dovrà essere segnato nella scheda alunni come “Assente alla prova”.
    La scheda risposta deve essere, invece, compilata nella sua prima parte senza alcuna differenziazione tra allievi senza e con bisogni educativi speciali. La seconda parte, relativa alle risposte alle domande delle prove, per gli studenti con bisogni educativi speciali deve essere compilata solo per le domande effettivamente proposte a tali studenti. Qualora questi ultimi non svolgano una o tutte le prove, la parte relativa alle domande non presentate deve essere lasciata in bianco.
    I predetti studenti, indipendentemente dalla tipologia di appartenenza, sono, infine, dispensati dalla compilazione del Questionario studente (classe V primaria, I secondaria di primo grado e II secondaria di secondo grado).



    Tecnica della scuola
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  7. #27
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    La guerra delle prove Invalsi. In alcune scuole faranno media


    Da domani 2 milioni di studenti alle prese con i test.Istituti divisi tra sì e boicottaggi. Più tempo per rispondere.
    Prove Invalsi al via. Da domani e fino a venerdì oltre due milioni di studenti si cimenteranno con i test di valutazione nazionale che misurano le capacità di apprendimento degli alunni in matematica e italiano. I ragazzi delle seconde superiori partecipano per la prima volta. Alle medie e elementari il quiz è prassi. Ma quest’anno in alcune scuole la prova farà media in pagella: sarà contata come un compito in classe. Non c’è obbligo di legge che lo preveda, ma istituti come la media Settembrini di Roma, hanno deciso di sfruttare l’occasione per poter interrogare i loro ragazzi. In altre realtà, invece, è guerra ai test. Mentre il ministro Gelmini annuncia di voler portare la prova Invalsi alla maturità «dal 2012», decine di collegi docenti hanno deciso di boicottarla. Il ministero ha stigmatizzato la scelta, ma non prevede l’invio di ispettori.
    Da domani e fino al 13 dovranno cimentarsi con domande di matematica e italiano poco più di 1 milione di ragazzini di seconda e quinta elementare, 570mila alunni di prima media, 530mila ragazzi delle seconde delle superiori. E ci sono novità: per la matematica, spiega Roberto Ricci, responsabile del Servizio nazionale di valutazione dell’Invalsi, «ci saranno più prove argomentative, come hanno sollecitato i docenti. In generale ci saranno più domande a risposta aperta sia in matematica che italiano». Anche per schivare l’accusa di testificio più volte piombata sull’Invalsi. E «saranno più lunghi i tempi per rispondere». In seconda primaria i minuti per materia passano da 30 a 45, in quinta elementare e prima media da 60 a 75. Alle superiori c’è un’ora e mezza per materia.
    I test partono in un clima rovente. Con i Cobas che fanno campagna per boicottarli («sono un tentativo malcelato di valutare i docenti»), genitori che annunciano di non portare i figli a scuola e studenti, come quelli del collettivo romano Senza Tregua, che si preparano a consegnare in bianco. «Per noi - dicono da Senza Tregua - è illegale utilizzare i test per la valutazione interna. In licei di Roma come il Giulio Cesare, l’Orazio, l’Albertelli consegneremo in bianco o non entreremo in classe. Le prove non sono obbligatorie. Poi c’è un problema di privacy: si deve rispondere anche a domande su dati sensibili e le schede non sono anonime».
    I collegi docenti sono divisi: ci saranno scuole che non faranno i test, come il liceo De Chirico di Roma, altre dove solo una parte delle classi aderirà, altre dove la partecipazione sarà massiccia. Alla Maffi di Roma molti insegnanti erano per il no, i favorevoli si sono opposti e vogliono andare avanti da soli. Al De Chirico «i professori hanno optato per il no - dice il vice preside - ma prima o poi ci dovremo adattare». In altre scuole la polemica è talmente superata che la novità è un’altra: il risultato del test entra in pagella. «Da noi - spiega Massimo La Rocca, preside della media Settembrini di Roma - 300 ragazzi faranno la prova. Per dare maggiore serietà a questo evento lo scritto Invalsi sarà utilizzato come se fosse un normale compito in classe. Noi crediamo in questo strumento». Anche alla scuola media Boccioni, ancora a Roma, spiega la preside Alessandra Sistopaoli, la prova verrà valutata «come un normale compito. Daremo un voto che farà media con gli altri».
    A Milano lo stesso avverrà alla scuola media Manara: «Il voto sarà conteggiato - dice il preside Alfredo Scotto - perché frutto del lavoro degli alunni». Intanto dal rapporto presentato dalla rivista Tuttoscuola emerge un dato preoccupante: la dispersione scolastica è in aumento dopo i primi due anni delle superiori, anche se meno al Sud. I dati dicono che a fine 2007 avevano abbandonato in 95 mila (il 15,4%). A fine 2010 sono stati 103 mila, il 16,7%.


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    Scuola, prof verso il boicottaggio "Quei test un´inutile schedatura"

    Domani al via i quiz di valutazione in 100mila classi Cresce la contestazione contro il sistema Invalsi: "Una violazione della privacy dei ragazzi". Iniziative di protesta anche di studenti e genitori.
    Al via tra le polemiche le prove Invalsi 2011. Da domani mattina, per tre giorni, oltre due milioni di bambini e studenti italiani saranno chiamati a cimentarsi con i questionari di Lettura e Matematica predisposti dall´Invalsi: l´Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e formazione. L´obiettivo è quello di saggiare il livello di preparazione degli alunni italiani in due aree scandagliate anche dai test Ocse-Pisa che ci vedono tristemente nelle zone basse della classifica internazionale. Ma su questa tornata di Rilevazione degli apprendimenti incombe la protesta degli insegnanti e di interi collegi dei docenti. Quest´anno, anche presidi, genitori e studenti mostrano di non gradire troppo il "censimento" che passerà in rassegna le competenze in Lettura e Matematica dei bambini delle seconde e quinte elementari, dei ragazzini delle prime medie e, per la prima volta, degli studenti del secondo anno delle scuole superiori: in totale 2 milioni di alunni. E alla fine potrebbero mancare all´appello parecchie delle 100 mila classi italiane previste dall´indagine. Uno scontro di quelli duri che ha richiesto l´intervento della ministra dell´Istruzione, Mariastella Gelmini, che qualche giorno fa, nel corso di una presentazione, ha fatto capire che non intende fermarsi. «Dall´anno prossimo - rilancia - potremo applicare il test Invalsi anche all´esame di maturità».
    Per comprendere i motivi di questa levata di scudi, lanciata dai Cobas un paio di mesi fa, basta leggere uno dei tanti volantini che si passano i docenti italiani in questi giorni. In dodici punti i comitati di base della scuola spiegano perché bisognerebbe dire No alle prove Invalsi, di cui mettono in discussione perfino la «scientificità» e la «validità statistica». «Sono la premessa - spiega Piero Bernocchi, portavoce nazionale dei Cobas - alla valutazione e gerarchizzazione retributiva dei docenti, esasperano la competizione e non servono neppure a migliorare la qualità della scuola». Inoltre, «le prove non sono affatto anonime e permetteranno una tracciabilità delle performance dai 7 anni in su: di fatto una schedatura delle competenze di massa e prolungata nel tempo». Tutte motivazioni che hanno convinto migliaia di insegnanti, visto che i collegi dei docenti che hanno deliberato di boicottare le prove sono parecchi.
    Del resto, l´impresa non era difficile. Da mesi si discute sulla obbligatorietà o meno per i docenti di partecipare alla somministrazione e alla successiva correzione dei questionari: mansione che non rientra negli obblighi contrattuali dei docenti. Anche un gruppo di presidi - Giancarlo Della Corte e Gian Pietro Demurtas, entrambi di Cagliari, Roberto Cogoni di Oristano e Renata Puleo di Roma - hanno deciso di rompere il ghiaccio, inviando una lettera-appello ai colleghi perché «si astengano da iniziative unilaterali che non tengano in conto della complessità della "macchina scuola", a scapito di un dibattito serio e condiviso». Insomma, evitino di imporre le prove ai docenti. Anche gli studenti promettono battaglia. Nella Capitale, il gruppo studentesco Senzatregua, cui aderiscono diversi licei della città, boicotterà le prove «disertandole o consegnando in bianco».


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    Invalsi, rivolta silenziosa contro la «spia» Gelmini


    Michele è entrato in classe come al solito. Ma quando sotto il naso si è visto il “carteggio” delle prove Invalsi di Italiano e Matematica (trenta fogli), non ci ha visto più: ha contraffatto il documento ministeriale, strappando l'etichetta con il codice identificativo della classe e della scuola. Poi, ha provato a risolvere i quesiti: quello di matematica – ha spiegato al telefono – chiedeva la soluzione di esercizi a lui sconosciuti, “li avevo fatti in terza media, chi se li ricordava...”. Più “facile”, invece, la prova di Italiano: solo testi descrittivi e non poetici “come adesso mi capita al quinto ginnasio”.
    In tutta Italia sono cominciate le tanto osteggiate prove Invalsi, i test nazionali di misurazione dell'apprendimento e di riflesso del sistema scolastico nazionale. Ed è qui il guaio. Come ogni maggio, polemiche e discussioni precedono i quiz: quale validità? E il loro fine ultimo? Nonché i dubbi sulla privacy. Ogni volta, si promettono migliorie e correzioni per l'anno a venire. Si ribadisce che i quiz ministeriali non sono una mossa per valutare scuole e prof e che le prove sono rigorosamente anonime. Ma, come accade in tutte le cose che hanno a che fare con l'istruzione – specialmente ora che in viale Trastevere c'è 'Marystar' – le parole restano lettera morta. E gli studenti hanno una sola arma: restarsene a casa quel giorno e marinare la scuola, o consegnare le prove in bianco, visto che nessuno può costringerli ad eseguirli. In più, con la mannaia dei tagli alla scuola in corso e l'accetta in agguato per il prossimo settembre – con sforbiciata ulteriore di prof, bidelli, ore di studio e altro – una sonora protesta ci sta tutta.
    E così, dalle Alpi alla Sicilia, è andato in scena il boicottaggio dell'Invalsi. E non finisce qui. Oggi è toccato a mezzo milione di studenti del secondo anno delle scuole superiori. Gli studenti di liceo, tecnici e professionali hanno debuttato con l'Invalsi per la prima volta. Nei prossimi giorni tocca ai bambini delle seconda e quinta elementare e poi ai ragazzini delle medie. Ma non è detto che tutto vada liscio: l'Unicobas ha escogitato una trappola per bloccare i test: per giovedì 12 maggio, lo sciopero dell'ultima ora di lezione nella scuola media. E per l'indomani, venerdì, la proclamazione di uno sciopero nazionale dell'intera giornata con manifestazione a Roma. Il tutto nei giorni programmati per l'Invalsi.
    A Roma la protesta è stata clamorosa in quasi tutte le scuole (dal Giulio Cesare al Socrate, dal Virgilio al Cavour, dall'Albertelli all'Orazio, dal Giordano Bruno all' Aristotele, dal Visconti al Ripetta, dal Pinturicchio al Margherita di Savoia, dall'Aristofane all'Augusto dal Russell al Kant, compresi il Lombardo Radice e Pasteur). Ognuno ha adottato un dissenso autonomo, pur andando incontro ad eventuali provvedimenti disciplinari.
    E' il caso del liceo classico Socrate della Garbatella: sette quinte ginnasio coinvolte per i quiz. Una intera classe del quinto ginnasio ha cancellato i codici identificativi che collegano lo studente alla prova Invalsi e altri 15 studenti di un'altra sezione sono rimasti per tutto il tempo con le braccia conserte, consegnando poi il test in bianco. La preside, Gabriella De Angelis è piuttosto seccata: “E' grave, gravissimo... Non si possono contraffare dei documenti. I ragazzi che non erano d'accordo con l'Invalsi potevano rifiutarsi di eseguire i test, come del resto accade con i compiti in classe: lo consegni in bianco ma non lo scarabocchi o ci fai disegnini sopra o ci scrivi barzellette... E' inaccettabile... Il rispetto e la correttezza prima di tutto. Questa scuola pretende questo e i ragazzi lo sanno. Come sapevano bene – perché gli era stato spiegato – che le prove Invalsi hanno un codice che resta anonimo per il ministero”.
    La preside non teme l'Invalsi. “Non ho paura di una rilevazione nazionale – spiega -, all'estero si fa senza storie, anzi ci tengono molto. Certo, da noi ci sarebbero dei rilievi da fare su alcuni aspetti. Parliamone, discutiamone, ma i media la smettano di dipingerci tutti o schiacciati con la Gelmini o con i Cobas”.
    Silvia, Paolo, Flavio e Sofia hanno scelto di entrare a scuola. Lorenzo del Cavour invece ha preferito restare fuori. Il questionario dello studente – con le domande “pulce” sulla famiglia e le professioni dei genitori – è stato il test bocciato quasi da tutti i liceali. La maggior parte l'ha consegnato in bianco.
    Raccontano Flavio, Sofia e Silvia: “Non capisco perché il ministero vuole sapere se ho una stanza tutta mia, se ho il computer in camera e che professione fanno mio padre e mia madre”. “Che le frega alla Gelmini di sapere se ho una libreria e in casa e quanti libri ci sono sugli scaffali?” - sbotta Francesca. Mentre Silvia del tecnico industriale dell'Anagnina – quartiere a sud di Roma – contesta le prove uguali per tutti, dal classico all'istituto d'arte. Il primo giorno dell'Invalsi è trascorso. E la Gelmini è rimasta all'asciutto sulla privacy delle famiglie degli studenti. Giovedì e venerdì si replica. Il flop è in agguato.


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    Boicottaggio prove Invalsi? Conseguenza di un problema di comunicazione


    Tardiva la comunicazione da parte istituzionale. Era necessario costruire una cultura della valutazione condivisa all’interno della scuola e indicare chiaramente le finalità.
    È scattata finalmente l’ora “x” delle prove Invalsi. Le notizie di boicottaggio non mancano, le smentite neppure. I Cobas, ovvero i “contro” più accaniti, forniscono cifre alte di adesione alla protesta in alcune città, dal 20 al 30%. Ma il Miur con un comunicato si affretta a rispondere che su un campione di 2.300 classi, solo 3 non hanno svolto la prova, e quindi “è logico ritenere che, su tutto il territorio nazionale, la percentuale delle classi dove il test non è stato svolto sia dello 0,13%”.
    Certo che, soprattutto nella secondaria di II grado, i malumori non sono mancati, e neppure le prese di posizione da parte di alcuni collegi docenti, pur definite “improprie” dal Ministero. Perfino qualche associazione di genitori ha espresso ufficialmente il suo dissenso, accusando in particolare l’ “assoluta mancanza di informazione alle famiglie”.
    Già, la mancanza di comunicazione: fuori dalle conferenze di servizio per addetti ai lavori, non sono arrivate in tempo utile da fonte istituzionale quelle argomentazioni necessarie a fare chiarezza, e si è lasciato che per mesi montassero le polemiche.
    Sul piano giuridico, le prime precisazioni del Miur arrivano solo con la Nota del 20 aprile 2011. In buona sostanza, la tesi è che la rilevazione degli apprendimenti da parte del Servizio nazionale di valutazione costituisce un indispensabile strumento di sviluppo di una “autonomia responsabile”, finalizzata all’autovalutazione, al miglioramento e a “rendere conto dei risultati ottenuti”, come previsto proprio dal Regolamento 275/1999. La Nota del direttore generale Carmela Palumbo cerca altresì di smontare una delle obiezioni più consistenti opposte da tutti i sindacati: l’impegno “aggiuntivo” del personale va in qualche modo previsto nel piano delle attività e riconosciuto economicamente.
    Sul piano metodologico, che pure aveva suscitato non poche perplessità, solo in data 19 aprile e solo in un documento destinato agli operatori (il Manuale per il somministratore), dall’Invalsi arrivano dei chiarimenti che probabilmente dovevano essere dati prima e attraverso altri canali di diffusione. Si ammette che le prove standardizzate in quanto tali hanno dei limiti, tuttavia sono in linea con le esperienze più avanzate a livello internazionale e comunque “non si pongono in antitesi con la valutazione formativa e sommativa quotidianamente realizzata all’interno delle scuole, ma vogliono solo rappresentare un utile punto di riferimento esterno per integrare gli elementi di valutazione attualmente esistenti”. Si punta inoltre a fornire in prospettiva anche valutazioni del valore aggiunto apportato dalla singola scuola, e in ultima analisi a contribuire al miglioramento del sistema scolastico e alla “presa di decisioni di politica educativa su una base razionale”.
    Restava un altro margine di ambiguità: bisognava “sgomberare il campo dall’idea che valutazione coincida con controllo, sanzione, giudizio, quindi con un significato negativo, quasi minaccioso” e “costruire una cultura della valutazione sufficientemente condivisa anche all’interno della scuola, oltre che dall’opinione pubblica”, come ben argomentato da Giancarlo Cerini in un articolo del 29/4/2011.
    Invece solo nel giorno delle prove, il 10 maggio 2011, in una intervista al Messaggero, il ministro Gelmini afferma con decisione che certi timori sulle prove Invalsi sono infondati: “Voglio che sia chiaro che con la valutazione non vogliamo punire nessuno, ma apportare miglioramenti al sistema”. Ma allora non si poteva fare prima un adeguato “piano di comunicazione”?



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