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Discussione: Prof e alunni su Facebook le amicizie sono da vietare?

  1. #1
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    Predefinito Prof e alunni su Facebook le amicizie sono da vietare?

    In Liguria la prima circolare di una scuola italiana sul tema, mentre negli Usa, in Missouri, c'è già una legge sul tema. L'esperto: "Il rischio è quello di perdere autorevolezza senza creare un rapporto reale"
    "I PROFESSORI non possono dare l'amicizia su Facebook ai loro studenti". Poche parole, scritte nero su bianco nella circolare scolastica, sono arrivate all'improvviso a dettar legge nei rapporti di classe di un piccolo borgo ligure sulla Riviera di ponente. E la notizia del provvedimento, dalle medie di Albisola superiore, in un clic è arrivata in tutt'Italia.
    Si riapre così il dibattito sull'opportunità di condividere bacheche, foto private, conversazioni virtuali tra chi sta in cattedra e chi dovrebbe imparare, dopo che quest'estate una legge identica era stata approvata in Missouri provocando proteste e ricorsi.
    Il rapporto online tra chi insegna e chi studia continua a far discutere. Questione di opportunità, ruoli, privacy e libertà, dicono studenti e insegnanti. Divisi tra chi considera il social network solo un altro mezzo di comunicazione - come il preside torinese che ha 899 amici tra gli alunni - e chi teme di "perdere autorevolezza in cambio di una impossibile amicizia reale".
    Mentre molti ragazzi, se non lo usano per continuare le lezioni dopo scuola via web, lo vivono come un "mezzo di controllo da parte dei prof sulle nostre vite". Perché, come dice lo psichiatra Pietropolli Charmet, favorevole al social network per motivi di studio, "la relazione con gli studenti deve essere educativa, il controllo è sull'apprendimento, non sulle emozioni".
    Il nodo resta sempre quello: in rete o in classe, al centro c'è il legame tra insegnanti
    e alunni. Come deve essere, cosa vogliono i ragazzi e cosa si aspettano i docenti. "Non bisogna creare confusione di ruoli né fingere un'impossibile parità: perché il rapporto è sbilanciato visto che noi diamo i voti". Tiziana Sallusti è preside del liceo Mamiani di Roma e il suo "non amore" per Facebook condiviso, non significa distanza, anzi: "È rispetto per i ragazzi, per il loro mondo, che non deve essere invaso dagli adulti, genitori compresi".
    a confermare la sua ipotesi arrivano i commenti dei ragazzi sul web: temono di essere inquadrati, giudicati, vittime di pregiudizi dei loro insegnanti per commenti, politici e non, letti sulle loro bacheche. E mamma e papà su Facebook non li vorrebbero mai. A differenza di Federica Cenci, 17 anni, presidente della consulta provinciale degli studenti laziali, che ha parenti e professori sul network. "Perché non ho nulla da nascondere e poi mica racconto i fatti miei! I rapporti con i docenti possono migliorare, senza contare che la mia classe usa Facebook per fare lezione".
    Tino Pessina, preside del liceo milanese Berchet, è della scuola di Don Milani: severità, rispetto e partecipazione. "La nostra generazione voleva abbattere la vecchia scuola e abbiamo condannato il concetto di autorità, ma l'autorevolezza è fondamentale. Si può essere amichevoli, ma l'amicizia come in ogni rapporto asimmetrico, è impossibile. E poi i ragazzi non vogliono docenti amici, stimano chi insegna con passione anche se è severo, chi li rispetta. Io per capire come sta un alunno ho bisogno di guardarlo negli occhi".
    Un altro professore, precario, ha rifiutato l'amicizia degli studenti in rete. Ermanno Ferretti è autore del libro "Per chi suona la campanella" (Fazi). "Non voglio vedere quello scrivono, sono ingenui non si rendono conto cosa rischiano se leggo che saltano scuola per un compito in classe o scrivono che si fanno le canne".
    Preferisce quattro chiacchiere in corridoio piuttosto che navigare in rete Mario Rusconi, vicepresidente dell'associazione nazionale presidi che insegna al liceo Newton di Roma, ma di colleghi e professori che hanno rapporti con gli alunni su Facebook ne conosce schiere. "L'importante è che prevalga la ragionevolezza dell'adulto, la capacità di non confondere i ruoli".
    Anche perché, racconta Nina studentessa di quarta ginnasio, a lei interessa che la prof insegni "in modo che io capisca, che mi interroghi senza essere spietata. Non voglio sapere se è stata mollata dal fidanzato". Così, tra allievi e docenti chi decide di essere amico in rete, deve comunque autocensurarsi un po'. E nascondere un pezzo di sé agli altri.

    Eduscuola
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  2. #2
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    No facebook tra prof e alunni?

    Il dibattito è aperto. A Cervignano, in provincia di Udine, il dirigente dell’Iti Malignani ha vergato una circolare con cui vieta le amicizie sui social network tra studenti e insegnanti e minaccia provvedimenti disciplinari.
    Scrive il preside Aldo Durì: “trovo insopportabile e disdicevole vedere mescolate, nei profili di alcuni insegnanti sui social network, le amicizie più diverse. Tra i contatti convivono adulti, parenti, adolescenti e studenti che frequentano le classi di quegli stessi insegnanti. Dal punto di vista deontologico è una cosa oscena. Ci sono distanze che vanno rispettate così come la diversità dei ruoli che è necessario mantenere in classe e fuori dalla scuola”.
    Durì precisa: “Il professore non è l’amico e non deve essere un confidente ma è soprattutto un docente. Somiglia di più ad una figura genitoriale. Fare confusione in merito alla diversità dei ruoli è un elemento di assoluto disorientamento che può provocare uno scompenso psicologico ai ragazzi. La circolare che ho inviato costituisce un’indicazione di comportamento. Nel momento in cui un professore, a causa di una condotta non conforme alle richieste della scuola, metta a rischio il prestigio dell’istituzione e la sua autorevolezza professionale creando rapporti ambigui, confusi e inopportuni dal punto di vista educativo con i ragazzi, ne risponderà personalmente”.
    Il quotidiano di Udine, Il Messaggero Veneto, che riporta la notizia ripresa poi anche da Il Corriere della sera, scrive che Durì sostiene di aver letto più volte, negli ultimi tempi, su Facebook, il più famoso tra i social network, alcuni giudizi imprudenti espressi da insegnanti nei confronti dei colleghi e della dirigenza.
    “Si sono verificati episodi a dir poco spiacevoli - conferma il preside - una persona non può scendere dalla cattedra e dare giudizi inopportuni pubblicamente sul preside e sui colleghi. Da un punto di vista deontologico è inaccettabile. Questo mi ha spinto ad intervenire con urgenza. Invito i docenti ad un utilizzo estremamente cauto dell’accesso ai social network diffusi nel web, che sia soprattutto rispettoso delle norme deontologiche professionali e del ruolo di educatore che ogni insegnante riveste. Sconsiglio nel modo più fermo l’apertura del proprio profilo ad amicizie eterogenee, che comprendano contatti privati con alunni, tanto più se minori. Rapporti di amicizia con studenti sono ammissibili solo nell’ambito di gruppi espressamente dedicati all’effettuazione di progetti o ricerche o attività scolastiche”.
    Il dibattito, e che dibattito!!, è aperto: sono così tanti gli aspetti in gioco nell’interazione basata sui social network che prima o poi anche la relazione educativa ne sarebbe stata investita.


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  3. #3
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    «Prof e allievi amici su Facebook? Può salvare dei ragazzi a rischio»


    Il professor Marco Gui (Bicocca): «La sfera privata andrebbe sempre tenuta separata. Ma a volte i social sono il solo modo per far uscire i ragazzi dall’isolamento»
    La definisce «un’emergenza di questo momento storico», Marco Gui, ricercatore all’università Bicocca di Milano: «C’è un fortissimo bisogno di una guida all’uso dei social network. Sia per la tutela della privacy, propria e degli altri; sia per disciplinare i tempi di utilizzo delle tecnologie: eccessivi, lo riconoscono gli stessi ragazzi, che ammettono di passare, connessi, più tempo di quanto vorrebbero». Lo studioso, che ha appena presentato un lavoro su Internet e media, che racconta come navigano gli studenti lombardi, sta adesso girando le scuole un po’ in tutta Italia, per una nuova indagine sui canali di comunicazione che i docenti devono utilizzare con gli studenti. “La scuola può fare molto per insegnare agli adolescenti ad avere una buona qualità di vita in relazione agli strumenti di cui si circondano”.
    Possono, i docenti, contribuire a portare i ragazzi a un uso «educato» dei media con un’interazione diretta, dall’interno di un social network? «E’ una questione delicata: la sfera privata andrebbe sempre tenuta tutelata e separata. In alcuni contesti, però, un’interazione diretta su Facebook o qualsiasi altro social può essere positiva. Per esempio dove ci sono situazioni difficili, integrare la situazione formale della classe con uno scambio più amichevole può essere addirittura una salvezza. Penso a casi limite, in cui il rischio di abbandono della scuola, di isolamento dei ragazzi e delle loro famiglie non trovano risposta nei canali tradizionali».
    Amicizie consentite, dunque, dove il legame deve andare al di là della relazione educativa? «Io penso che dove la scuola è l’unico presidio di legalità e gli insegnanti sono disposti a farsi carico di situazioni a rischio, il contatto immediato e veloce su un terreno accogliente per i ragazzi possa essere risolutivo».
    Accade già? «Più alle medie inferiori o nei professionali; meno nei licei dov’è più sentita l’autorità e meno nelle zone “bene”, dove le distanze si tengono per educazione e abitudine».
    Quali i canali per un legame che abbia anche una cittadinanza virtuale? «Si può dare l’amicizia privata, che è la forma più intima, o condividere dei gruppi, una modalità meno invasiva, che ha più somiglianze con la classe. Certo, una volta aperta questa finestra, arrivano richieste di amicizia e bisogna essere preparati a scegliere. Una regola non scritta di Facebook, comunque, dacché esiste, è che i superiori non chiedono l’amicizia ai subordinati. Se ho più potere di te non voglio controllarti».
    No quindi anche all’uso dei social network in funzione di controllo… «Direi assolutamente di no. I ragazzi d’altronde sanno essere imprendibili: hanno molte possibilità, computer, telefonini, con password e codici della loro “tribù”. Impossibile controllare tutto. Solo l’informazione e l’educazione producono risultati».



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  4. #4
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    Professori sui social. “Sì, così aiutiamo i ragazzi” “No, si perde autorità”



    La vita della scuola va in rete. Ecco i pro e i contro
    Nel 2013 in Renania-Palatinato, un Laender della Germania meridionale, si decise di vietare ai prof di avere alunne e alunni tra le loro amicizie su Facebook. Ma prima ancora c’erano stati provvedimenti analoghi in scuole italiane, negli Stati Uniti e in molti altri Paesi.
    Ogni volta ne sono scaturiti dibattiti, polemiche, schieramenti ma intanto il mondo è andato avanti. Dopo Facebook, nelle comunicazioni è entrato di prepotenza WhatsApp, ormai uno strumento presente nelle vite della stragrande maggioranza delle persone. E le scuole di certo non hanno fatto eccezione. Nascono i gruppi tra i genitori, spesso molto criticati. Ma nascono anche i gruppi professori-alunni che fanno saltare uno degli ultimi muri esistenti nei rapporti all’interno delle classi: il numero di telefono personale del prof è a disposizione di tutti, si può dialogare con lui o con lei 24 ore su 24. È giusto? È sbagliato?
    Connessi 24 ore su 24
    Profondamente sbagliato, secondo Arianna Vennarucci, professoressa di storia e filosofia del liceo classico Giulio Cesare di Roma. «Ritengo che la distanza quando si è docenti possa essere un elemento formativo. Per gli studenti siamo figure che quasi non dovrebbero avere una vita. Siamo modelli, esempi di comportamento. Su Facebook è quasi inevitabile condividere materiali e opinioni di tipo personale. Diventa dannoso per il rapporto con i propri studenti, che si alimenta anche di un’aura tutta particolare. In casi di emergenza possono di sicuro utilizzare il mio numero di telefono, ma non è formativo avere un gruppo WhatsApp, con loro. Non siamo gli amici dei nostri studenti, siamo i loro professori. E tali dobbiamo rimanere».
    Guerrilla teaching
    Docenti vecchio stile, insegnanti tutti d’un pezzo ma sempre più rari ora che la rapidità e l’immediatezza delle comunicazioni social si impadroniscono delle nostre vite. «Mi ritengo un pasdaran dell’uso delle tecnologie», esordisce Paolo Fasce, professore di ruolo di matematica applicata e informatica all’I.S. Einaudi Casaregis Galilei di Genova. «Ma le tecnologie non sono pillole magiche, sono strumenti nelle mani dei prof» che, dal suo punto di vista, dovrebbero utilizzarli per lanciare «il Guerrilla Teaching, ovvero un ribaltamento della mentalità attuale – secondo cui gli insegnanti detengono il potere con il voto – che li trasforma in guerriglieri della conoscenza non più invulnerabili e invincibili, ma in grado di combattere le loro piccole battaglie didattiche coinvolgendo gli studenti grazie a microattività quotidiane».
    Un esempio? Paolo Fasce ha un gruppo WhatsApp con i suoi studenti, e lo usa in modo formativo. «Banalmente – racconta – qualche giorno fa uno studente ha scritto “un’amico” con l’apostrofo. Gli ho spiegato la regola. Ho corretto un solo studente ma nella chat ci sono 25 studenti e la spiegazione è toccata a tutti». Secondo Fasce, il professore in chat con i suoi studenti può servire molto anche nella lotta contro il cyberbullismo e nel corretto uso delle tecnologie: «Se genitori e insegnanti si ritirano da questo genere di interazione è più facile che gli studenti subiscano modalità di relazione non appropriate». Bisogna esserci, insomma, e continuare a guidarli anche sui social invece di arrendersi e lasciare ai ragazzi campo libero su quel terreno che può essere molto pericoloso.
    Cosa pensano i genitori
    I genitori si rendono conto di trovarsi di fronte a un problema davanti al quale chiudersi può essere una risposta, anche se non la migliore possibile. «Non è del tutto peregrina l’astensione di alcuni docenti dai social network – spiega Angela Nava, presidente del Coordinamento Genitori Democratici -. Si sono verificati episodi di cattivo uso dei social che lo giustificano. E con WhatsApp si è arrivati a un’invadenza che stravolge ogni confine, i professori che chattano con i ragazzi corrono il rischio di essere travolti da domande di ogni tipo a ogni ora. Sarebbe giusto che i regolamenti si occupassero anche delle nuove forme di comunicazione tra studenti e insegnanti perché sono innegabili la loro utilità e la loro potenzialità ed è un peccato dovervi rinunciare».
    Uso intelligente
    Anche i dirigenti scolastici non se la sentono di condannare in modo assoluto le comunicazioni social tra studenti e professori. Mario Rusconi, vicepresidente dell’Associazione Nazionale Presidi: «Non sono un proibizionista in materia di social. Come tutti i nuovi mezzi di comunicazione vanno usati con intelligenza e parsimonia professionale. Rendono i contatti più rapidi, ma si deve evitare di farsi prendere la mano e lasciare che intervengano modi troppo confidenziali. Non si deve essere amici dei propri studenti, si deve riuscire a mantenere sempre il rigore professionale necessario».



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  5. #5
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    Docenti, chi scrive frasi razziste su Facebook perde la cattedra e diventa Ata



    Docenti, fate attenzione: compiere gravi atti, come sconfinare nel razzismo, anche su Facebook, può portare al licenziamento o al sollevamento dall’incarico.
    Quest’ultimo provvedimento è stato preso dall’Usr del Veneto nei confronti dell’insegnante di inglese del liceo Marco Polo di Venezia che era stata licenziata lo scorso gennaio, dopo le pesanti frasi razziste scritte nell’ottobre scorso contro i migranti (“bisogna eliminare anche i bambini dei musulmani tanto sono tutti futuri delinquenti” e “speriamo che affoghino tutti… che non se ne salvi nessuno“) pubblicate sul suo profilo Facebook.
    Alla fine del procedimento nei suoi confronti, la donna stata reintegrata nel mondo della scuola, ma non insegnerà più in aula: la donna, scrive ‘Il Gazzettino’ del 21 aprile, riprenderà servizio il 26 maggio prossimo, ma con mansioni amministrative e, per ironia della sorte, nello stesso ufficio scolastico regionale del Veneto.
    Prima che il giudice si esprimesse sull’accoglimento o meno della richiesta di reintegro, le parti hanno raggiunto un accordo.
    L’Usr, quindi, ha accettato la rinuncia al licenziamento, sostituendolo con una sospensione di sei mesi (in gran parte già “scontata”), e la prof ha accettato di tornare al lavoro con un diverso incarico.
    Dopo il licenziamento, per l’incompatibilità tra il ruolo di insegnante e la gravità delle frasi razziste espresse, la donna aveva fatto ricorso con i propri avvocati davanti al giudice del lavoro di Venezia, sostenendo che la sanzione eccedesse la violazione contestata, la prima in molti anni di insegnamento.
    Probabilmente, proprio questa circostanza l’ha salvata dalla perdita del lavoro. Ma non della cattedra: d’ora in avanti, farà l’amministrativa per mancata compatibilità con il ruolo dell’insegnante. Chissà se continuerà ad utilizzare Facebook…


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