A sei mesi dalla scadenza (25 maggio), ancora inapplicate le nuove normative sulle telecomunicazioni. Intanto si muovono le associazioni, oggi al via a Roma gli ‘Stati generali dell'innovazione': «Mettiamo in agenda il futuro del paese»Lastampa.it CARLO DI FOGGIA L’Europa ci bacchetta ancora ma qualcosa si muove, se non altro per un certo attivismo da parte degli addetti al settore e delle centinaia di associazioni che in questi anni si sono battute per l’applicazione della famosa Agenda Digitale. Dopo "European digital agenda going local", oggi a Roma è il turno degli Stati generali dell’innovazione che per due giorni animeranno il dibattito sul futuro tecnologico del nostro paese con personalità illustri della politica, dell’informazione e del settore produttivo made in Italy.

Ieri l’Ue ci ha ricordato - insieme ad altri 16 stati membri (siamo in buona compagnia) - che siamo fuori tempo massimo, visto che sei mesi dopo il termine previsto (25 maggio 2011), l’Italia non ha ancora pienamente recepito nel diritto interno la nuova normativa unionale in materia di telecomunicazioni. Uno dei settori chiave trattati nell’Agenda Digitale. “Le norme in parola garantiscono ai consumatori dell'Unione europea nuovi diritti in materia di telefonia fissa, servizi mobili e accesso a internet. - fanno sapere da Bruxelles - Ad esempio, il diritto di cambiare operatore telefonico in un giorno senza dover cambiare numero e il diritto di ottenere informazioni chiare sulle pratiche di gestione del traffico dati utilizzate dai fornitori di servizi internet. Le nuove norme garantiscono inoltre una migliore protezione della vita privata e dei dati personali online”. Finora solo sette Stati membri (Danimarca, Estonia, Finlandia, Irlanda, Malta, Svezia e Regno Unito) hanno dato piena attuazione alla normativa mentre paesi come Francia, Germania, Paesi Bassi, Spagna e Portogallo, oltre all’Italia ovviamente, si sono adeguati solo parzialmente.

Eppure qualcosa potrebbe cambiare, dopo anni di immobilismo la sola menzione dell’Agenda Digitale da parte del neo premier nel discorso di insediamento ha creato moltissime aspettative. Nel giro di pochi giorni, il mercato e le giovani aziende hanno voluto più volte marcare l’attenzione sull’esigenza di una ripresa strutturale profonda per quanto riguarda la rete italiana, con una serie di incontri come l’Internet Governante Forum (Trento), il Working Capital Tour e il Kultur Convivio (Milano). Tutti guardano al nuovo governo con attenzione.

Secondo il Digital Advisory Group e il McKinsey Institute, Internet rappresenta ormai un settore strategico della nostra economia considerando che contribuisce per il 2% al Pil nazionale e negli ultimi 15 anni ha creato 700mila posti di lavoro. Secondo il Boston Consulting group l’internet economy cresce ad un ritmo stimato tra il 13% e il 18% annuo, di questo passo nel 2015 rappresenterà fra il 3,3% e il 4,3% del Pil, una torta da 59/77 miliardi di euro e non c’è crisi che tenga. Paradossale visto che non esiste neanche un sottosegretario ad hoc mentre - solo per citare un esempio - l’agricoltura, con il 2,3%, ha un apposito Ministero. La settimana scorsa l’Ifg, a conclusione dei lavori, ha inviato una lettera aperta a Mario Monti per chiedere maggior attenzione allo “spread digitale” che “l’Italia ha accumulato nei confronti dei principali paesi del mondo” raggiungendo “livelli insostenibili anche per la tenuta economica nazionale”.

Anche Agorà digitale, insieme a numerose altre associazioni (Altroconsumo, Avaaz, Open polis ecc.) ha lanciato un appello al nuovo governo affinché pubblichi “i dati patrimoniali e reddituali e la mappa degli interessi finanziari e dei rapporti professionali di tutti i ministri del governo, rendendoli consultabili e fruibili a tutti i cittadini”. “Solo così - spiegano dall’associazione - si potranno fugare i dubbi su eventuali conflitti di interesse da parte dei membri dell’esecutivo”. Per ultima l’Agcom che ha stilato un nuovo regolamento per tracciare “le reti del futuro”. Banda larga, fibra ottica, condivisione delle reti tra gli operatori e un catasto unico per le infrastrutture da realizzare tra i principali punti approvati. Qualcosa si muove insomma.