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Discussione: TESTI E STORIE DI NATALE (racconti)

  1. #21
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    TI AUGURO TEMPO
    di Elli Michler


    Madonna del parto di Piero della Francesca
    "Non ti auguro un dono qualsiasi,
    ti auguro soltanto quello che i più non hanno.
    ti auguro tempo, per divertirti e per ridere;
    se lo impiegherai bene, potrai ricavarne qualcosa.


    Ti auguro tempo, per il tuo fare e il tuo pensare, non
    solo per te stesso,ma anche per donarlo agli altri.
    ti auguro tempo, non per affrettarti a correre,
    ma tempo per essere contento.


    Ti auguro tempo, non soltanto per trascorrerlo,
    ti auguro tempo perché te ne resti:
    tempo per stupirti e tempo per fidarti
    e non soltanto per guardarlo sull'orologio.


    Ti auguro tempo per toccare le stelle
    e tempo per crescere, per maturare.


    Ti auguro tempo per sperare nuovamente e per amare.
    Non ha più senso rimandare.


    Ti auguro tempo per trovare te stesso,
    per vivere ogni tuo giorno, ogni tua ora come un dono.


    Ti auguro tempo anche per perdonare.
    Ti auguro di avere tempo,
    tempo per la vita".
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  2. #22
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    L'AGRIFOGLIO
    di Gina Marzetti Noventa


    Il pastorello si sveglia all'improvviso. In cielo v'è una luce nuova: una luce mai vista a quell'ora. Il giovane pastore si spaventa, lascia l'ovile, attraversa il bosco: è nel campo aperto, sotto una bellissima volta celeste. Dall'alto giunge il canto soave degli Angeli.
    - Tanta pace non può venire che di lassù - pensa il pastorello, e sorride tranquillizzato.
    Le pecorine, a sua insaputa, l'hanno seguito e lo guardano stupite.
    Ecco sopraggiungere molta gente e tutti, a passi affrettati, si dirigono verso una grotta.
    - Dove andate? - chiede il pastorello.
    - Non lo sai? - risponde, per tutti, una giovane donna. - è nato il figlio di Dio: è sceso quaggiù per aprirci le porte del Paradiso.
    Il pastorello si unisce alla comitiva: anch'egli vuole vedere il Figlio di Dio. A un tratto, si sente turbato: tutti recano un dono, soltanto lui non ha nulla da portare a Gesù. Triste e sconvolto, ritorna alle sue pecore. Non ha nulla; nemmeno un fiore; che cosa si può donare quando si così poveri?
    Il ragazzo non sa che il dono più gradito a Gesù è il suo piccolo cuore buono.
    Ahi! Tanti spini gli pungono i piedi nudi. Allora il pastorello si ferma, guarda in terra ed esclama meravigliato: - Oh, un arbusto ancor verde!
    è una pianta di agrifoglio, dalle foglie lucide e spinose.
    Il coro di Angeli sembra avvicinarsi alla terra; c'è tanta festa attorno. Come si può resistere al desiderio di correre dal Santo Bambino anche se non si ha nulla da offrire?
    Ebbene, il pastorello andrà alla divina capanna; un ramo d'agrifoglio sarà il suo omaggio.
    Eccolo alla grotta. Si avvicina felice e confuso al bambino sorridente che sembra aspettarlo.
    Ma che cosa avviene? Le gocce di sangue delle sue mani, ferite dalle spine, si trasformano in rosse palline, che si posano sui verdi rami dell'arbusto che egli ha colto per Gesù.
    Al ritorno, un'altra sorpresa attende il pastorello: nel bosco, tra le lucenti foglie dell'agrifoglio, è tutto un rosseggiare di bacche vermiglie.
    Da quella notte di mistero, l'agrifoglio viene offerto, in segno di augurio, alle persone care.
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  3. #23
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    IL PASTORE
    di Piero Bargellini


    Che freddo quella notte! Le stelle bucavano il cielo come punte di diamante. Il gelo induriva la terra. Sulla collina di Betlem tutte le luci erano spente, ma nella vallata ardevano, rossi, i nostri fuochi.
    Le pecore, ammassate dentro gli stazzi, si addossavano le une sulle altre, col muso nascosto nei velli.
    Noi di guardia invidiavamo le bestie che potevano difendersi così bene dal freddo. Si stava attorno ai fuochi che ci cocevano da una parte, mentre dall'altra si gelava.
    Sulla mezzanotte il fuoco cominciò a crepitare come se qualcuno vi avesse gettato un fascio di pruni secchi.
    Nello stazzo, le pecore si misero a tramenare. Alzavano i musi in aria, e belavano.
    - Sentono il lupo, - pensai.
    Cercai a tasto il bastone e mi alzai. I cani giravano su se stessi e uggiolavano.
    - Hanno paura anche loro, - pensai.
    Intanto anche i compagni si erano levati da terra. Facemmo gruppo scrutando la campagna.
    Non era più freddo. Il cuore, invece di battere per la paura, sussultava quasi di gioia. Era d'inverno, e ci sentivamo allegri come se fosse stata primavera. Era di notte, e si vedeva luce come di giorno.
    Sembrava che l'aria fosse diventata polvere luminosa. E in quella polvere, a un tratto, prese figura una creatura così bella che ne provammo sgomento.
    - Non temete, - disse l'apparizione. - Io vi annunzio una grande gioia destinata a tutto il popolo. Oggi vi è nato un Salvatore, nella città di David. E questo sia per voi il segnale: troverete un bambino avvolto in fasce e coricato in una mangiatoia.
    Non aveva finito di parlare, che da ogni parte del cielo apparvero Angeli luminosi, e cantavano: - Gloria a Dio nel più alto dei cieli, e pace in terra agli uomini di buona volontà.
    Poi tornò la notte, e noi restammo come ciechi nella valle piena di oscurità. I fuochi si erano spenti. Le pecore tacevano. I cani s'erano acciambellati per terra.
    - Abbiamo sognato! - pensammo. Ma eravamo in troppi a fare lo stesso sogno.
    Lì vicino, sulla costa della collina, erano scavate alcune grotte, che servivano da stalla. Avevano la mangiatoia formata di terra dura. Se il Salvatore si trovava in una mangiatoia, voleva dire che era nato in una di quelle povere grotte.
    Infatti trovammo, come ci aveva detto l'Angelo, un Bambino fasciato, in mezzo a due animali, un bove e un asino. L'asino vi era giunto coi genitori del Bambino.
    Sul basto sedeva il padre, pensieroso. Presso la mangiatoia, si trovava inginocchiata la madre, in adorazione del suo nato.
    Guardai quel Bambino e il mio cuore s'intenerì. Sono un povero pastore, ma ogni volta che vedo un agnellino mi commuovo. E quel Bambino mi parve il più tenero, il più innocente degli agnelli.
    Non so dire altro. Posso solo aggiungere che non ho più provato in vita mia una dolcezza simile a quella provata dinanzi a quel Bambino.
    Anche ora che ci ripenso, mi torna la tenerezza per quell'Agnello innocente e gentile.
    Sono un povero pastore. Perdonatemi se lo chiamo così. è per me il nome più dolce e più caro.
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  4. #24
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    UNO DEI RE MAGI
    di Piero Bargellini


    No, non crediate che io sia un mago da fiaba. Non ho bacchetta fatata né faccio incantesimi. Nel nostro paese, che è la Persia, mago vuol dire sapiente, cioè studioso. Anche noi avevamo molto studiato, specialmente sul libro chiamato Avesta.
    Le nostre spalle si erano incurvate su quel libro. Le nostre barbe erano diventate bianche nello studio.
    Il libro annunziava la venuta di un "saggio signore o, di un "vittorioso Liberatore" degli uomini.
    Prima di noi, generazioni e generazioni di sapienti avevano atteso questo miracoloso personaggio, ma sempre invano.
    Ormai eravamo vecchi, e temevamo di dover chiudere gli occhi senza aver visto il Liberatore. Guardavamo il cielo, in attesa di un segno annunziante la sua venuta.
    Ed ecco una stella di straordinario splendore farci segno di seguirla.
    Partimmo felici, montati sulle migliori cavalcature, vestiti riccamente con le corone in testa e i doni in mano.
    Non sarebbe stato conveniente presentarsi a quel gran personaggio senza regali. Uno di noi prese una coppa d'oro simbolo di potenza regale, un altro prese un'anfora piena d'incenso simbolo d'onore sacerdotale, l'altro ancora prese un calice di mirra simbolo di redenzione.
    La stella ci faceva da guida. Nessun corteo aveva mai potuto vantare un simile battistrada. Valicammo monti, attraversammo pianure, guadammo fiumi e incontrammo città, senza che la stella accennasse a fermarsi.
    Giunti a Gerusalemme, il re Erode fu avvertito del nostro arrivo. Seppe che cercavamo il Re dei Giudei e chiese ai suoi sapienti:
    - Dove dicono i libri che deve nascere il Redentore?
    Anche gli ebrei avevano un libro chiamato Bibbia, dove era annunziata la venuta del Salvatore. Perciò i sapienti risposero al re Erode: - Betlem sarà la sua culla.
    - Andate a Betlem, - ci disse Erode - e al ritorno mi narrerete di lui.
    Riprendemmo a viaggiare, e la stella viaggiava con noi, finché non si fermò sopra una povera stalla. Trovammo il Bambino fasciato e deposto nella mangiatoia, fra due animali. Quale abbandono e quanta miseria! Il Re del mondo giaceva su paglia trita, senza corte d'attorno e senza onori.
    A quella vista, la nostra sapienza si confuse. Avevamo sperato di trovare un potente Re in una reggia sfarzosa, in mezzo a ricchezze e a splendori.
    Vedendo tanta umiltà ci sentimmo umiliati. Mettemmo fuori i nostri doni: oro, incenso e mirra. Il Bambino ci guardò come per accettarli, ma noi sentimmo che non bastava offrir quei soli doni. Egli non s'appagava né d'oro né d'incenso né di mirra. Voleva insieme il nostro cuore, e lo voleva ripieno di quella ricchezza che non s'estingue mai, e che si chiama Amore.
    A questo Amore, che si traduce in Carità, la nostra scienza di vecchi sapienti non aveva mai pensato.
    Ce lo insegnò un bambino, nato da poco, in una stalla, con un sorriso che ringiovanì il nostro vecchissimo cuore.
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  5. #25
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    UNA MAMMA
    di Piero Bargellini


    Tesoro mio, carne della mia carne, fiato della mia vita; angiolo della tua mamma!
    Accarezzo come in un sogno la tua testolina nera e ricciuta, rivedo i tuoi occhi celesti; ricordo la tua vocina cara. Già mi chiamavi "mamma" e mi ridevi con le gengive rosa dove erano le perle dei due dentini nuovi.
    Eri la mia gioia, la mia speranza, la mia ambizione. Perché dunque ti uccisero quei cani rabbiosi? Perché non uccisero anche me, con te, quei crudeli?
    Seduta sopra una pietra, dinanzi alla casa luminosa, ti cullavo, cantandoti una nenia.
    Il sole brillava fra i tuoi riccioli lucidi. Dalle labbruzze fresche usciva il tuo respiro più profumato dell'alito di primavera.
    A un tratto udii urlare in fondo alla strada: alzai lo sguardo e vidi una donna fuggire, col proprio figlio stretto al petto. Uno sgherro la inseguiva con la spada sguainata.
    Non capii. Non potevo capire. Presa dal terrore mi alzai e corsi in casa. Ti svegliasti piangendo: quel pianto fu la tua, la mia morte. Un soldato entrò dietro di me; ti afferrò per un piede. Urlavo: - lascialo, lascialo; gli fai male!
    Alzò la spada... No, non è da dirsi. Fu cosa troppo orribile. La tua gola, la tua gola bianca, delicata... Piangesti: "Mam...". L'ultima sillaba fu un fiotto di sangue che mi bagnò il petto.
    Mostri, perché non uccideste anche me? Perché quel sangue non fu il mio?
    Amore della mamma, tesoro mio, anima mia! Perché ti uccisero così? Che avevi fatto di male? Tu eri innocente. Erode, il tristo Erode, che aveva saputo della nascita di un bambino divino, fremeva di gelosia e tremava di paura. Temeva, il tiranno, che quel bambino gli togliesse il trono.
    Ma attese invano il ritorno dei Magi! Un Angiolo era apparso in sogno a quei sapienti, dicendo: - Partite nascostamente, senza insegnare a Erode dove si trova il Bambino.
    Lo stesso Angiolo apparve a Giuseppe: - Alzati - gli disse. - Prendi il Bambino e la madre. Fuggi in Egitto. Erode cerca il Bambino per farlo morire.
    E Giuseppe partì. Ma Erode, credendo il Bambino ancora a Betlem, ordinò che fossero uccisi tutti i maschi al di sotto dei due anni.
    Oh scellerato! Che m'importa se di lì a pochi mesi i vermi lo ridussero a un mucchio di carne putrefatta? Che m'importa se il suo copro marcì sul trono?
    Tu ero morto, sorriso del mondo, e io tenni a lungo il tuo corpicino bianco tra le mie braccia. Volevo cantarti una ninnananna, ma ululavo come una lupa ferita.
    Lo so. Ora tu sei in cielo. Gesù ti ha accolto nella sua corte. Hai una veste rossa come il sangue che sgorgò dalla tua gola. Un'aureola d'oro è sopra i tuoi riccioli bruni. Con gli altri bambini uccisi con te, come te, in quello stesso giorno, formi il coro dei Santi innocenti.
    Tu sei felice! Ma io piango ancora ricordando la tua orribile morte, tesoro mio, carne della mia carne, fiato della mia vita; angiolo della tua mamma!
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  6. #26
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    L'OSTE
    di Piero Bargellini


    Cercherò di ricordare. Non è facile tenere a mente tutti i clienti. E poi in quei giorni di confusione!
    Il mio albergo era situato alle porte di Betlem, sulla strada che viene da Nazaret.
    Posso dire, senza esagerare, che esso fosse il primo albergo della città.
    Fra formato da un gran cortile quadrato e porticato.
    I viaggiatori entravano in quel cortile, si sceglievano il posto sotto il portico. Legavano il loro cavallo o il loro asino a una campanella.
    Io intanto davo voce ai servi, i quali portavano un bel fascio di fieno odoroso per le bestie, e un fastello di paglia ben secca per gli uomini. Paglia di prima scelta, dorata, mai usata!
    Nel mezzo del cortile c'era il pozzo. I servi vi attingevano l'acqua perché i viaggiatori si potessero lavare i piedi.
    Di notte, specie d'inverno, nel cortile non mancava mai un bel fuoco. Si volevano maggiori comodità?
    Una parte del colonnato, chiusa da muretti e da tende, formava alcune “camere private”. Ma quelle erano per i clienti di riguardo!
    Per mangiare, i viaggiatori consumavano le loro provviste, raccolti in circolo, sotto il loggiato, seduti sulla paglia.
    Io fornivo buon vino e ottimo pane. Betlem veniva chiamata “la casa del pane”. Attorno al paese si stendevano a perdita d'occhio campi d'orzo, e nel mio forno si cocevano eccellenti pagnotte: pane d'orzo, d'ottima qualità!
    Sì, ora ricordo, ma, vi ripeto, non è facile tenere a mente tutti i clienti. E poi, i clienti di quei giorni! Che trambusto! Che via vai! Augusto, il grande Imperatore romano, aveva emanato un editto per il censimento. Voleva sapere quanti cittadini popolassero il suo grandîssimo Impero. Anche la Palestina si trovava sotto il suo dominio. Noi Ebrei avevamo, è vero, un re nostro. Si chiamava Erode, e risiedeva a Gerusalemme, la capitale del Regno. Ma sopra di lui c'era l'Imperatore romano, che contava più di lui. Bisognava obbedire. Perciò tutti tornavano al paese di origine, per farsi segnare nelle liste della propria tribù.
    Ve l'ho detto, furono giorni di grande affluenza, di grande confusione, e, devo ammetterlo, di grande guadagno.
    Il cortile era pieno di animali e di gente. I servi non ce la facevano a servire tutti. Si era giunti alle ultime forcate di fieno, e quanto alla paglia, lo dico con vergogna, molte volte fui costretto a ridistribuire quella già usata. Una sconvenienza, lo so, ma come volete che facessi?
    Fu una sera, sull'ora di notte. I servi vennero a dirmi che alla porta si erano presentati due nuovi clienti. Detti in giro un'occhiata. Sotto il portico la gente si pesticciava. Chiesi ai servi: - Che gente è? Persone di riguardo?
    Scrollarono il capo.
    - Poveri, - mi risposero - un operaio e una donna sopra un asino.
    - Se vogliono buttarsi in un canto, - dissi indicando i portici affollati.
    - Chiedono una camera particolare, - mi fu risposto.
    - Allora mandateli con Dio. Bella pretesa; una camera particolare in questi momenti, e per gente povera.
    - La donna è stanca dal viaggio, - mi disse un vecchio servo.
    - E che cosa ci posso fare? Anch'io sono stanco. Non ne posso più. Se fossero stati clienti buoni.... Ma con certa gente ci si rimette spesso anche la paglia.
    I servi erano incerti. Allora mi feci io sulla porta.
    - Mi dispiace, - dissi col migliore dei modi. - Mi dispiace, ma non c'è posto. Con questo benedetto censimento! Anche voi siete qui per l'editto?
    - Sì, - mi rispose l'uomo, un tipo di operaio.
    - Di che famiglia siete?
    - Della famiglia di David.
    Lo guardai sorpreso. La famiglia dell'antico profeta era famiglia reale.
    - E non avete parenti in città?
    L'uomo abbassò gli occhi. Guardai la donna raccolta sull'asino. Che viso pallido e bello! Sotto la coperta che le ricadeva sulle spalle, nella semi oscurità, sembrava che facesse luce.
    - Sono dolente, - dissi ancora, - ma non c'è posto. Neppure nel cortile; una camera particolare poi è impossibile.
    Questa donna è stanca, - disse sommessamente l'uomo.
    La riguardai. Ella abbassò le ciglia.
    - Sentite, - dissi loro, - se volete restare soli e passare una notte al coperto, vi consiglio una cosa. Sul fianco del colle ci sono alcune grotte che servono da stalla. In mancanza di meglio possono servire come camere particolari. Non ve ne offendete. Così risparmierete anche quei pochi.
    I due non fiatarono. L'uomo tirò la cavezza all'asino, che si mosse zoppicando. Il lume di quel volto di donna affaticata sparve nel buio.
    Rimasi sulla porta, ascoltando lo zoccolìo dell'asino che si allontanava. Mi invase una grande tristezza. Li avrei voluti richiamare. Ma come era possibile ospitarli? Vi assicuro che non c'era più posto sotto il portico; e di. camere particolari, neppure da parlarne.
    Con tutto ciò ero triste. Rientrai. Avevo una pietra sul cuore.
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    I REGALI NELLO SGABUZZINO

    Il postino suonò due volte. Mancavano cinque giorni a Natale. Aveva fra le braccia un grosso pacco avvolto in carta preziosamente disegnata e legato con nastri dorati.
    «Avanti», disse una voce dall'interno.
    Il postino entrò. Era una casa malandata: si trovò in una stanza piena d'ombre e di polvere. Seduto in una poltrona c'era un vecchio.
    «Guardi che stupendo paccone di Natale!» disse allegramente il postino.
    «Grazie. Lo metta pure per terra», disse il vecchio con la voce più triste che mai.
    Il postino rimase imbambolato con il grosso pacco in mano. Intuiva benissimo che il pacco era pieno di cose buone e quel vecchio non aveva certo l'aria di spassarsela bene. Allora, perché era così triste?
    «Ma, signore, non dovrebbe fare un po' di festa a questo magnifico regalo?».
    «Non posso... Non posso proprio», disse il vecchio con le lacrime agli occhi. E raccontò al postino la storia della figlia che si era sposata nella città vicina ed era diventata ricca. Tutti gli anni gli mandava un pacco, per Natale, con un bigliettino: «Da tua figlia Luisa e marito». Mai un augurio personale, una visita, un invito: «Vieni a passare il Natale con noi».
    «Venga a vedere», aggiunse il vecchio e si alzò stancamente.
    Il postino lo seguì fino ad uno sgabuzzino. Il vecchio aprì la porta.
    «Ma...» fece il postino.
    Lo sgabuzzino traboccava di regali natalizi. Erano tutti quelli dei Natali precedenti. Intatti, con la loro preziosa carta e i nastri luccicanti.
    «Ma non li ha neanche aperti!» esclamò il postino allibito.
    «No», disse mestamente il vecchio. «Non c'è amore dentro».
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  8. #28
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    l Cantico di Frate Sole
    o Delle Creature
    di San Francesco d'Assisi


    (Non è un testo propriamente natalizio, ma è di grande spiritualità e adatto in ogni occasione)



    Altissimu, onnipotente bon Signore,
    Tue so' le laude, la gloria e l'honore et onne benedictione.

    Ad Te solo, Altissimo, se konfano,
    et nullu homo ène dignu te mentovare.

    Laudato sie, mi' Signore cum tucte le Tue creature,
    spetialmente messor lo frate Sole,
    lo qual è iorno, et allumini noi per lui.
    Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore:
    de Te, Altissimo, porta significatione.

    Laudato si', mi Siignore, per sora Luna e le stelle:
    il celu l'ài formate clarite et pretiose et belle.

    Laudato si', mi' Signore, per frate Vento
    et per aere et nubilo et sereno et onne tempo,
    per lo quale, a le Tue creature dài sustentamento.

    Laudato si', mi Signore, per sor'Acqua.
    la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta.

    Laudato si', mi Signore, per frate Focu,
    per lo quale ennallumini la nocte:
    ed ello è bello et iocundo et robustoso et forte.

    Laudato si', mi Signore, per sora nostra matre Terra,
    la quale ne sustenta et governa,
    et produce diversi fructi con coloriti fior et herba.

    Laudato si', mi Signore, per quelli che perdonano per lo Tuo amore
    et sostengono infermitate et tribulatione.

    Beati quelli ke 'l sosterranno in pace,
    ka da Te, Altissimo, sirano incoronati.

    Laudato si' mi Signore, per sora nostra Morte corporale,
    da la quale nullu homo vivente pò skappare:
    guai a quelli ke morrano ne le peccata mortali;
    beati quelli ke trovarà ne le Tue sanctissime voluntati,
    ka la morte secunda no 'l farrà male.

    Laudate et benedicete mi Signore et rengratiate
    e serviateli cum grande humilitate.
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    IL FIGLIO PIÙ SAGGIO




    Molto tempo fa c'era un uomo che aveva tre figli ai quali voleva molto bene. Non era nato ricco, ma con la sua saggezza e il duro lavoro era riuscito a risparmiare un bel po' di soldi e a comperare un fertile podere.
    Divenuto vecchio cominciò a pensare a come dividere tra i suoi figli ciò che possedeva. Un giorno decise di fare una prova per capire quale dei tre figli fosse il più saggio.
    Li chiamò al capezzale e diede a ciascuno cinque soldi e chiese loro di comperare qualcosa che riempisse la sua stanza che era vuota e spoglia. Ciascuno dei figli prese il denaro e uscì per esaudire i desideri del padre.
    Il figlio più grande pensò che era un lavoro facile. Andò al mercato e comperò la prima cosa che gli capitò sotto gli occhi: un fascio di paglia.
    Il secondo figlio pensò per qualche minuto, poi girò per tutte le bancarelle dei mercato e alla fine comperò delle bellissime piume.
    Il figlio più piccolo rifletté a lungo sul problema e si chiedeva: «Che cosa c'è che costa solo cinque soldi e che può riempire una stanza?». Solo dopo aver pensato per un bel po' di tempo trovò quel che faceva al suo caso e il suo volto si illuminò.
    Andò in un piccolo negozio e comperò con i suoi cinque soldi una candela e dei fiammiferi. Tornando a casa era felice e si domandava cosa avessero comperato i suoi due fratelli.
    Il giorno seguente, i tre figli si presentarono al padre. Ognuno portò il suo regalo. Il più grande sparse la paglia sul pavimento, ma era così poca che fu appena sufficiente per coprire un angolo. Il secondo mostrò le sue piume, ma riempirono appena due angoli. Il padre era molto deluso dei suoi due figli maggiori.
    Allora si rivolse al più piccolo: « E tu che cosa hai comprato? ».
    Il ragazzo accese la candela con un fiammifero e la luce di quell'unica fiamma si diffuse per la stanza e la riempì.
    Tutti sorrisero.
    Il vecchio padre fu felice del regalo del figlio più piccolo. Gli diede tutti i suoi averi, perché aveva capito che quel ragazzo era abbastanza intelligente per farne buon uso ed avere cura dei suoi fratelli.

    Una luce nel cuore dell'inverno

    Oggi accade qualcosa di simile a quanto è raccontato nella fiaba. Viviamo giorni di freddo a causa del tempo atmosferico ma ancora di più per l'egoismo che c'è nel cuore degli uomini

    Per noi si accesa una Luce che riempie il mondo, una fiammella piccola che gli uomini di buona volontà possono moltiplicare a dismisura. E nessuno la può fermare.
    "La luce vera, Colui che illumina ogni uomo, è venuta nel mondo".
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    LA PECORA NERA ALLA GROTTA DI BETLEMME



    C'era una volta una pecora diversa da tutte le altre. Le pecore, si sa, sono bianche; lei invece era nera, nera come la pece.
    Quando passava per i campi tutti la deridevano, perché in un gregge tutto bianco spiccava come una macchia di inchiostro su un lenzuolo bianco: «Guarda una pecora nera! Che animale originale; chi crede mai di essere? ».
    Anche le compagne pecore le gridavano dietro: «Pecora sbagliata, non sai che le pecore devono essere tutte uguali, tutte avvolte di bianca lana?».
    La pecora nera non ne poteva più, quelle parole erano come pietre e non riusciva a digerirle.
    E così decise di uscire dal gregge e andarsene sui monti, da sola: almeno là avrebbe potuto brucare in pace e riposarsi all'ombra dei pini.
    Ma nemmeno in montagna trovò pace. «Che vivere è questo? Sempre da sola!», si diceva dopo che il sole tramontava e la notte arrivava.
    Una sera, con la faccia tutta piena di lacrime, vide lontano una grotta illuminata da una debole luce. «Dormirò là dentro » e si mise a correre. Correva come se qualcuno la attirasse.
    «Chi sei?», le domandò una voce appena fu entrata.
    «Sono una pecora che nessuno vuole: una pecora nera! Mi hanno buttata fuori dei gregge».
    «La stessa cosa è capitata a noi! Anche per noi non c'era posto con gli altri nell'albergo. Abbiamo dovuto ripararci qui, io Giuseppe e mia moglie Maria. Proprio qui ci è nato un bel bambino. Eccolo!».
    La pecora nera era piena di gioia. Prima di tutte le altre poteva vedere il piccolo Gesù.
    «Avrà freddo; lasciate che mi metta vicino per riscaldarlo!».
    Maria e Giuseppe risposero con un sorriso. La pecora si avvicinò stretta stretta al bambino e lo accarezzò con la sua lana.
    Gesù si svegliò e le bisbigliò nell'orecchio: «Proprio per questo sono venuto: per le pecore smarrite!».
    La pecora si mise a belare di felicità. Dal cielo gli angeli intonarono il «Gloria».


    Gesù è l'amore che salva

    Celebrando la festa dell'amore di Dio per gli uomini è giusto ricordarsi di quelli che sono lontani da questo amore. C'è tanta gente che è amareggiata perché non siamo stati in grado di far sentire la nostra bontà.

    L'incontro con Gesù nel Natale ci deve dare la carica per superare ogni barriera: la paura, l'antipatia, il sentirci superiori agli altri.
    PREGHIERA

    O Dio, Padre di Gesù,

    fonte di ogni cosa buona,
    donaci occhi limpidi
    e cuore senza macchia
    per vedere tutto il bene
    che c'è nel mondo
    e gioire dell'amore
    con cui gli altri si amano.
    Donaci occhi limpidi
    e cuore puro
    per rallegrarci dei bene
    che anche noi facciamo
    e dell'amore che anche noi doniamo.
    Dalla ricchezza del nostro cuore
    salga a te il grazie
    perché tu ci sei vicino
    in Gesù tuo figlio.
    ex tomtom
    ex comics





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