Lo produce l'azienda danese Æsir. Si limita alle funzioni base (voce, sms). E costa 7.250 euro. Lastampa.it LUCA CASTELLI Un diamante è per sempre. Un telefonino, invece, se va bene ci dura un paio d’anni. A meno che non decidiamo di spaccare il salvadanaio (ma deve essere bello grosso e fornito…) e bussiamo alla porta di Æsir, un produttore danese che si vanta di costruire cellulari di lunga vita, realizzati con materiali speciali, indistruttibili, pronti ad accompagnarci nei secoli dei secoli.

“In Danimarca abbiamo una lunga tradizione nel costruire oggetti che durano”, ha dichiarato Thomas Møller Jensen, fondatore di Æsir, al quotidiano britannico The Guardian. “Così abbiamo cercato di realizzare un telefonino esattamente come avremmo fatto con una sedia: concentrandoci su quella che dovrebbe essere la sua essenza”.

Un’essenza che, secondo Jensen, non fa necessariamente rima con obsolescenza. “Oggi c’è una vera e propria ossessione per l’obsolescenza. Sono stufo di aprire un giornale e rimanere travolto dalle pubblicità di duecento nuovi modelli di televisori”.

Come dargli torto? La prima legge non scritta dell’informatica (e della produzione tecnologica in senso lato) sembra ormai che qualsiasi oggetto debba avere un ciclo di vita sempre più ridotto: cinque anni, due anni, sei mesi. C’era una volta un pregio chiamato longevità: era una dote ambita e preziosa, veniva usata addirittura negli slogan pubblicitari.

Oggi, complice anche la visione di imprenditori come Steve Jobs, di cui in queste ore si celebra giustamente il genio, ciò che conta è il culto dell’innovazione, della novità, dell’ultima release. Dopo cinque anni un computer è vecchio, dopo tre un telefonino è come il pesce: emana un cattivo odore di passato. La moda, l’innovazione e l’economia ti ordinano di sostituirlo.

Fermarsi a riflettere un attimo su questi temi non fa male. Così come non fa male ricordare che la fatica delle nostre menti nel sopportare le pubblicità di duecento nuovi modelli di tv sui giornali si accompagna a quella dell’ambiente di fronte all’accumulo di duecento e passa milioni di vecchi telefonini, laptop, tablet (magari ancora funzionanti, quasi sempre costruiti con materiali inquinanti) nelle discariche high tech del pianeta.

C’è la soluzione in Danimarca? Non proprio. Æsir presenta almeno due problemi. Il primo è che è molto difficile accontentarsi di un telefonino – come quello prodotto dall’azienda danese - che si limita a fare ciò che è la sua primitiva “essenza”: telefonare e mandare sms. E’ un corto circuito che ci manda in tilt. L’obsolescenza accelerata e programmata dei prodotti di consumo è terribile, ma lo è anche pensare di rinunciare al ricco menù degli smartphone: dove sono le app? le email? la fotocamera? le canzoni? il wi-fi?

Il secondo problema è il prezzo. Il paragone con il diamante, in apertura, non è casuale. Æsir è un luxury maker. Solleverà anche una questione globale, ma in soldoni si rivolge a una fascia di pubblico assai specifica e limitata: quella che nel 2011, anno terzo della grande recessione economica, è disposta a spendere 7.250 euro per un telefonino (il più economico, in acciaio inossidabile: c’è anche un modello in oro che costa come una Mercedes di buona cilindrata, 42.000 euro).

Insomma, si è presi in mezzo al solito intreccio di etica ed estetica, ideologia e tecnologia, comunicazione e commercio. Con un pizzico di design, a speziare il tutto. I telefonini a peso d’oro di Æsir sono firmati da Yves Behar, lo stesso designer svizzero che partecipò alla creazione del computerino verde di One Laptop per Child, studiato per costare appena 100 dollari e raggiungere i bambini dei paesi più poveri. Un altro interessante, creativo e molto contemporaneo, corto circuito.