A confronto in una ricerca i futuri impiegati e le aziende: abitudini opposte, ma ecco a chi conviene adeguarsi.

Il gap generazionale non lo ha inventato Internet, ma per le generazioni nate tra gli anni Ottanta e Novanta, la distanza dai padri e dai fratelli maggiori si misura in gran parte nella familiarità con le tecnologie digitali. Chiamateli Millennials, chiamateli “nativi digitali”, fatto sta che parliamo di persone (circa 150 milioni in Europa) con pochissimi ricordi di pellicole, giradischi e registratori a nastro, e che hanno sguazzato fin da piccoli nella Rete come il gallico Obelix nella pozione magica, segreto della sua perenne invincibilità. Ora, questa generazione di invincibili padroni del web è già sbarcata o si prepara a sbarcare negli uffici, suscitando un conflitto di ansie e aspettative tra neo-impiegati e datori di lavoro.
Proprio questo conflitto è al centro di una ricerca commissionata a Netconsoulting da CA Technologies, società specializzata nella fornitura di servizi e software per le aziende, in particolar modo nel settore della sicurezza. L'indagine si è svolta con 285 interviste nel 2011, coinvolgendo giovani nati negli anni Ottanta, provenienti dalle facoltà di economia e di ingegneria di Milano e Torino. I risultati? Fanno prevedere qualche frustrazione per i nuovi lavoratori e importanti sfide per le aziende che li assumeranno.
Non è un luogo comune: gli studenti che stanno per uscire dagli atenei non hanno bisogno di essere istruiti su come si usa un pc e come si trova una informazione sul web, il loro habitat naturale. Ma non è detto che i futuri datori di lavoro condividano la loro disinvoltura nel maneggiare social network, cloud, dispositivi portatili, senza filtri reali tra un uso privato e un uso professionale di questi strumenti. L'identikit del “nativo digitale” è questo: nomade, molto accessoriato e assai poco incline alla riservatezza quando si tratta di comunicare online. Un ritratto quasi al negativo (o al positivo, se si preferisce) rispetto a quello delle aziende italiane.
Qualche esempio? Smartphone e notebook sono ormai appendici personalizzate e imprescindibili per i millennials, che sperano di poterle usare anche sul posto di lavoro. Possiede un pc portatile l'88% degli intervistati e il 52% di loro ha in tasca un cellulare di nuova generazione, ma se si parla semplicemente di cellulare, si arriva quasi a 100 su 100. Non sono solo strumenti di conoscenza o di lavoro, dal momento che quasi tutti gli intervistati sono iscritti a Facebook o ad altri social network e che nell'80% dei casi gli appuntamenti fra amici passano proprio da Facebook o dagli SMS (90%). La posta elettronica è quasi “desaparecida”, ferma al 50% delle preferenze e surclassata dai nuovi media, ma sempre in auge per comunicazioni formali (il 93% la usa per contattare i docenti). E, guarda caso, la ricerca evidenzia che le aziende si attrezzano soprattutto con pc da scrivania e posta elettronica.
La privacy, poi, non è certo una priorità: sono molto sensibili al tema solamente il 15,8% degli ingegneri, mentre fra i futuri economisti si sale al 34,8%. Numeri che sembrerebbero ribaltarsi, però, quando si va a vedere quale tipo di dati i giovani siano disponibili a divulgare sui propri social network. Pubblicare l''indirizzo mail non è un problema per l'82% degli “economisti”, contro il 17,9 degli ingegneri, ma le distanze si accorciano se si parla di gusti, hobby, informazioni anagrafiche. Persino il numero di telefono (il 22% degli intervistati lo ha pubblicato online) e l'indirizzo di casa (pubblicato dall'8%) per qualcuno non è un tabù.
(Con)divide et impera
L'imperativo sembra essere condividere, un'attitudine esercitata anche nell'ambito dell'università non solo attraverso i social network. Un'abitudine che molti giovani immaginano di poter coltivare anche nei loro uffici di domani. Quasi il 60% degli intervistati si aspetta di poter accedere a Facebook almeno una volta al giorno (e il 24% tra loro di poterlo fare più volte al giorno). Cattive notizie per questi ottimisti: a meno che non siano assunti nelle pubbliche amministrazioni (e le probabilità sembrano basse secondo un altro dato di questa indagine), dove il 75% degli enti interrogati ha confessato una politica di accesso illimitato a Facebook, i neo-lavoratori troveranno restrizioni di vario tipo, legate alle mansioni e alle necessità lavorative, quando non assolute, come avviene nel 66% delle aziende classificate come Utilities e Energy dalla ricerca.
Privacy, riservatezza, regole: questi sembrano punti imprescindibili per le società, che pure attendono i giovani digitali con non poche aspettative. L'insofferenza per le limitazioni imposte dalle aziende potrebbero essere un prezzo da pagare accettabile a fronte della implicita capacità di gestire i nuovi media, di aprirsi al cambiamento, di lavorare in contesti flessibili e decentrati. Tutte qualità che le aziende avrebbero già osservato nelle prime nidiate di digitali che si sono affacciate al lavoro. Qualche problema in più potrebbe crearla, invece, la pretesa di usare i propri strumenti tecnologici (smartphone, tablet o notebook) anche sul lavoro, con inevitabile confusione tra il piano professionale e quello privato. “Bring Your Device” (porta il tuo dispositivo) sembra essere lo slogan giovanile ben sintetizzato in un'analisi della KuppingerCole e confermato nei dati di NetConsoulting. I ragazzi si sono impadroniti dello spazio virtuale configurandolo a loro immagine e personalizzandolo con i tanti strumenti a disposizione perché risultasse il più “ergonomico” possibile. Perché affidarsi a fredde e magari scomode impostazioni altrui? Un'esigenza in palese contraddizione con i protocolli, le politiche sulla sicurezza e la protezione dei dati.
Occorrerà, insomma, che i dirigenti trovino la via per un giusto compromesso, che valorizzi le qualità e la sintonia con il nuovo millennio dei nuovi assunti con le esigenze di protezione del business e di riservatezza, che le nuove tecnologie mettono a rischio.
Social network e altri strumenti di condivisione e collaborazione online possono migliorare il lavoro in termini di produttività (se lo aspetta il 67% delle aziende) e di efficienza (67%) e di creatività (60%), ma anche il nomadismo digitale tipico delle nuove generazioni, e quindi il famoso “telelavoro”, può incidere positivamente sui costi e sui risultati. CA Technologies, promotrice della ricerca, naturalmente sostiene di avere in tasca soluzioni software e organizzative capaci di conciliare flessibilità e decentramento con sicurezza e privacy. In ogni caso, il suggerimento sembra essere quello di non tarpare le ali dei millennial, costringendoli in regole che vorranno (e in molti casi sapranno) aggirare, ma di approfittare delle loro qualità per dare una rinfrescata a modelli di business e di organizzazione del lavoro. Facile a dirsi, ma non a farsi. Il vecchio non ha mai ceduto il passo al nuovo senza resistenze, uno schema fin troppo evidente in Italia. Ma forse anche gli scalpitanti nativi digitali dovrebbero concedere ai veterani dell'analogico qualche chance. Anche le rivoluzioni più radicali conservano legami con il passato.


La Stampa