Le due Italie della maturità: più rigore al Nord, i voti massimi sono la metà


Benvenuti al Sud (con 100 e lode)
Il record di nuovo in Calabria dove un liceo ha ben venti studenti con il massimo dei voti
Da alcune indiscrezioni sembra che i risultati degli ultimi esami di maturità rivelino un dato disarmante: al Sud i 100 e lode continuano ad essere il doppio che al Nord, la Calabria continua a battere ogni record con un liceo che ha venti 100 e lode mentre i migliori licei del Nord e del Centro ne hanno uno o due. La consolazione è che si tratta di un liceo diverso da quello dell'anno scorso (il quale sembra avere «migliorato»: da 23 è sceso a 17).
È il terzo anno che dalle pagine del Corriere segnaliamo lo scandalo dei 100 e lode. Il problema è apparentemente insolubile. Eppure qualche giorno fa, su questo quotidiano, abbiamo commentato i risultati dei test Invalsi per elementari, medie e seconda superiore, che hanno dato la buona notizia che la cultura dei test sembra prendere piede anche in Italia e che, in presenza di osservatori, il «cheating» (barare) sembra essere contenuto. Si comincia a capire che bisogna avere delle misure oggettive del rendimento degli studenti per misurarli uno contro l'altro e le scuole una nei confronti dell'altra e di iniziare un processo di valutazione oggettivo.
La maturità è però il momento chiave in cui queste misurazioni dovrebbero essere fatte (in Usa, il test principale creato 80 anni fa, il Sat, si fa solo alla maturità) perché serve a dare una misura obiettiva del merito per selezionare chi va alla università e indirizzarlo. Un grande scrittore e insegnante statunitense del secolo scorso diceva «la selezione degli individui in funzione delle loro capacità è probabilmente il processo più delicato e difficile. Coloro che riceveranno la migliore istruzione gestiranno tutti i posti di lavoro del Paese. Quindi la domanda "chi dovrebbe andare all'università?" vuole dire "chi deve guidare la società?". Non sono domande da trattare con leggerezza. Sono domande per le quali si sono combattute delle guerre».
In Italia, mentre il «diritto allo studio» è ormai pienamente acquisito (si pagano rette bassissime e le università sono sotto casa), non vi è nessuna garanzia sulla meritocrazia nella selezione. Non è certo che alla università ci vada chi se lo merita e soprattutto non è certo che i migliori vadano alle università migliori. I 400 milioni in borse di studio amministrate dalle Regioni (non dal ministero, così prevede la normativa), vengono date sulla base del «merito» inteso come bisogno di supporto economico, misurato sulla base del reddito dei genitori, che è falso nel caso di un italiano su due. Il merito «vero», quello dei risultati conseguiti, è basato sui voti che però sono anche essi, come visto, falsi, per cui queste borse di studio vanno a mediocri figli di evasori fiscali. Tanti giovani capaci, poco abbienti, ma figli di persone che pagano le tasse non riescono ad andare all'università. Peggio, tanti giovani eccellenti che potrebbero essere ammessi alle migliori università di Italia, si iscrivono alla università sotto casa perché non possono permettersi i costi di trasferta.
La grande occasione persa nel non aver esteso i test Invalsi alla maturità non è solo quella di una grande occasione perduta per rilanciare la meritocrazia nella selezione per l'accesso alla università. Quei test potrebbero essere utili anche per valutare il sistema educativo italiano dove è più debole e ineguale: l'istruzione superiore e l'università. Infatti i risultati dei test Invalsi hanno evidenziato che il grosso gap di risultati tra Nord e Sud non è alle elementari, come si potrebbe immaginare tenendo conto del contesto familiare, ma nelle medie e soprattutto nelle superiori. Un test standard alla fine delle superiori, se integrato con quello attuale introdotto al secondo anno, può dare una misura obiettiva della qualità dell'insegnamento in quel liceo o in quell'istituto tecnico. Non solo ma se esistesse il test e i 400 milioni di borse di studio andassero agli studenti migliori, avremmo anche una misura obiettiva della qualità delle università: le migliori sarebbero quelle dove vanno gli studenti migliori. E la riforma della università, che tenta di valutare a fatica gli atenei per distribuire i finanziamenti pubblici in senso meritocratico, ne riceverebbe un impulso determinante.
Infine un suggerimento e una domanda. Il suggerimento è per i genitori, che prima di iscrivere i propri figli a settembre, dovrebbero richiedere i test Invalsi della scuola a cui intendono iscrivere i ragazzi e paragonarli a quelle di altre scuole e alla media della propria città. I dati oggi esistono, dovrebbero essere resi trasparenti e prima o poi avverrà, nell'attesa richiediamoli e nessuno può vietarci di conoscerli. La domanda è per il ministro Gelmini, che è stata il «campione» del rilancio dell'Invalsi: cosa è necessario fare per evitare anche il prossimo anno lo scandalo dei 100 e lode, estendendo il test Invalsi alla maturità e successivamente creando il «fondo per il merito» già approvato dalla legge per allocare borse di studio private e pubbliche ai migliori giovani italiani?


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