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Discussione: Sostegno

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    Sostegno, aumentano gli insegnanti: “Il sistema funziona, ma troppi precari. No a specializzazione su patologie”



    Tutti i numeri nel rapporto Miur. “L’integrazione scolastica degli alunni con disabilità”. La Federazione italiana per il superamento dell’handicap evidenzia gli aspetti positivi, ma evidenzia la condizione contrattuale: quasi il 40% degli insegnanti ha contratti a termine. Così bisogna ricostruire continuamente da zero le relazioni. Gli studenti disabili aumentano, la maggior parte ha problemi intellettivi
    Quasi 120mila docenti per oltre 234mila studenti disabili. Sono gli insegnanti di sostegno che ogni giorno si prendono cura di bambini e ragazzi con i disturbi più disparati (da quelli audio-visivi a quelli psicomotori) e mandano avanti la scuola italiana, realizzando una delle eccellenze del sistema d’istruzione del nostro Paese. “I trend sono buoni, aumentano sia gli studenti sia gli insegnanti. Ora possiamo permetterci di lavorare sulla qualità”, commenta Carlo Giacobini della onlus Fish (Federazione italiana per il superamento dell’handicap). Eppure non tutti i numeri sono positivi: tanti, troppi docenti sono ancora precari, quasi il 40% del totale.
    “Una grave debolezza su cui intervenire, perché la precarietà toglie motivazioni e continuità all’azione didattica”. “L’insegnamento di sostegno in Italia è un sistema di cui essere fieri”, prosegue Giacobini. “Nel resto d’Europa, in Germania ad esempio, si ragiona ancora in termini di ‘centri speciali’, mentre noi siamo tra i pochi ad avere un modello fondato totalmente sull’inclusione. Proprio per questo bisognerebbe averne la massima cura, con più attenzione ai bisogni degli studenti e degli insegnanti che lo costituiscono”.
    Docenti di sostegno raddoppiati in 15 anni – Queste (e tanti altre) informazioni sono contenute nell’ultimo rapporto “L’integrazione scolastica degli alunni con disabilità”, una fotografia scattata dal Ministero dell’Istruzione a cadenza biennale, che rappresenta lo stato dell’arte dell’insegnamento di sostegno in Italia. Se dal 2001 al 2009 il rapporto docente per alunno era passato da 1,88 a 2,09, a partire dal 2010 è sceso fino a 1,85, rispettando finalmente il parametro di un insegnante ogni massimo due alunni disabili a livello nazionale. Così i docenti di sostegno sono saliti fino a 119.384, il 15,1% del totale, percentuale quasi raddoppiata rispetto all’8,6% del 2001. “Certo, restano ancora delle differenze sul territorio”, commenta Giacobini. In Molise, ad esempio, si ha un posto di sostegno ogni 1,38 alunni con disabilità, in Veneto e Liguria si sale fino a 2,09. “Ma dal punto di vista quantitativo la situazione oggi è tranquillizzante”.

    Ancora troppi precari: “Manca continuità”
    Meno positiva, invece, la condizione contrattuale. Il Miur sottolinea l’“evidente tendenza verso una stabilizzazione”. E i numeri confermano: rispetto al 2001, la percentuale di docenti di sostegno a tempo indeterminato è cresciuta dell’81,9%, quando nel 2007 erano addirittura di più i precari degli assunti. In viale Trastevere contano di migliorare ulteriormente con la “Buona scuola” che ne ha portati in cattedra altri 20mila.
    Ma in termini assoluti ancora non ci siamo: dei quasi 120mila insegnanti, quelli a tempo determinato sono 44.361, addirittura il 37,2%. “Forse è una scelta politica del Ministero, che preferisce non assumere e regolare il numero anno per anno. Ma le ripercussioni sull’insegnamento sono inevitabili”, afferma Evelina Chiocca del Coordinamento Italiano Insegnanti di Sostegno (Ciiis). “Così bisogna ricostruire continuamente da zero le relazioni. È un discorso che vale per tutti gli insegnanti e per tutti gli studenti, e a maggior ragione per quelli disabili, con cui il rapporto e gli equilibri sono più delicati”.
    +40% di studenti disabili, la maggior parte ha problemi intellettivi
    Il sistema, comunque, è sempre più strutturato. Lo dimostra la crescita anche del numero degli studenti: dieci anni fa erano 167mila, oggi sono 234.788 (+39,9%), il 2,7% del totale. Aumento ancor più significativo se si considera che nello stesso periodo il numero complessivo degli alunni è invece calato dello 0,4%. Il focus del Miur analizza nel dettaglio anche i vari tipi di patologia: in pochi hanno problemi visivi o uditivi (rispettivamente solo l’1,6% e il 2,7%), il 95% ha disturbi psicofisici. Di questi, il 65% sono di tipo intellettivo, il 3,5% motorio e il 27% rientra nella categoria “altro” (che va da problemi psichiatrici precoci a disturbi specifici dell’apprendimento, deficit di attenzione o iperattività). Un quadro molto variegato che si ricollega direttamente alla questione della formazione dei docenti, di nuovo d’attualità con i propositi di riforma.

    Miglioramenti, riforma e concorso
    Il Ministero vorrebbe dei docenti più specializzati sulle patologie: “È il momento di lavorare sulla qualità, valorizzando le competenze per avere docenti qualificati”, spiega Giacobini. “Attenzione, però, a non snaturare le figure dei docenti di sostegno e tutto il sistema – avverte la Chiocca –. Posso documentarmi sulla sindrome di Down o sull’autismo, dopodiché i bisogni formativi degli alunni con disabilità sono e saranno sempre individuali. Gli insegnanti devono concentrarsi su di quelli, non sull’aspetto sanitario”.
    Il prossimo passo sarà ampliare il raggio di azione: “L’interazione degli studenti disabili con gli altri è l’elemento più importante per il loro sviluppo”, sottolinea Giacobini. “È necessario che anche i docenti curriculari acquisiscano più competenze: l’insegnante di sostegno da solo non può assorbire tutte le necessità”, aggiunge la Chiocca.
    In questo senso, però, la separazione delle carriere (con concorso ad hoc e vincolo di permanenza più lungo, magari decennale) potrebbe non essere la mossa giusta. Più che nel ruolo dei docenti, i limiti su cui intervenire sembrano risiedere nei problemi burocratici, finanziari e gestionali che spesso danneggiano il servizio, creando casi negativi sul territorio che fanno notizia. Presto il governo metterà mano ad una riforma del sostegno: l’obiettivo è migliorare ancora, il rischio rovinare un sistema che funziona e che in Europa è considerato un modello da imitare.


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    Predefinito Docenti di sostegno più a rischio patologie, se la passano peggio. Quando il “Sostegno” diviene inso

    Docenti di sostegno più a rischio patologie, se la passano peggio. Quando il “Sostegno” diviene insostenibile



    Se il primo numero della rubrica 2016 ha visto la testimonianza di un dirigente scolastico, il secondo è dedicato al Sostegno. L’unico studio attualmente disponibile in Italia è del 2009 e presenta dati ancor più preoccupanti se confrontato con le ricerche a mia firma pubblicate su La Medicina del Lavoro (N° 5/2004 e N° 3/2009).
    In altre parole gli insegnanti di sostegno starebbero assai peggio dei loro colleghi curricolari, almeno per quanto concerne le diagnosi psichiatriche nonché l’età media alle quali vengono poste nei Collegi Medici di Verifica dei capoluoghi regionali. La testimonianza di Sonia ben si presta ad alcune considerazioni cui non è possibile sottrarsi, a fronte di una realtà professionale e relazionale che non lasciano spazio a dubbi.
    Alla lettera di Sonia fanno seguito, come al solito, alcune riflessioni.
    La storia di Sonia
    Gentile Dottore,
    ho 34 anni e sto lavorando come docente di sostegno nella scuola media.
    La seguo da tempo perchè mi rispecchio – fin troppo – in alcune delle testimonianze da lei pubblicate e perchè trovo utili interessanti i suoi commenti.
    Come molti, suppongo, ho iniziato a informarmi solo dopo essere entrata nella scuola (senza una particolare “vocazione”) ed avere provato sulla mia pelle che il lavoro dell'insegnante non è proprio come viene dipinto dai soliti luoghi comuni.
    Dopo una “tragica” esperienza curricolare, mi ero convinta che lavorare sul sostegno fosse più leggero: con l’esperienza mi sono resa conto che mi sbagliavo. Non mi dilungo: ci vorrebbe un libro intero!
    (Non ho avuto modo, purtroppo, di reperire lo studio scientifico pubblicato nel 2009 sul rischio psichiatrico dell’insegnante di sostegno, ma ne posso immaginare a grandi linee i contenuti).
    Ho avuto ottimi risultati negli studi, sono precisa e responsabile, ho aspettative alte, probabilmente sono una persona preparata e seria, prendo a cuore (forse troppo) i miei studenti, mi aggiorno e mi informo ma, in questo lavoro, non funziono come vorrei e la mia vita mi sembra vuota e priva di senso.
    Da tempo non mi sento bene rispetto al mio lavoro e mi sono ritrovata in molti dei sintomi di disagio elencati (senso di fallimento, stanchezza e insonnia, disturbi dell’umore, cali di concentrazione, somatizzazioni, ansia, incapacità di gestire la classe e la routine, ritiro sociale, difficoltà ad esprimermi verbalmente, aggressività, attacchi d'ira, atteggiamenti distaccati e freddi, assenze per malattia, percezione di inadeguatezza, difficoltà a gestire il tempo libero...). A volte mi sembra di essere un caso “da manuale”!
    Per completare il quadro, ho avuto anche una neoplasia linfatica.
    Il mio disagio rispetto alla scuola è aumentato dopo la malattia perchè ho iniziato a pormi più interrogativi sulla mia vita: ho visto la malattia come una occasione preziosa per cambiare la mia vita. Occasione finora non colta. Anzi!
    Mi sono già rivolta a psichiatri e psicologi, ma non sempre si tratta di persone che conoscono a fondo le problematiche legate al lavoro dell'insegnante. Circa un anno fa mi sono sottoposta a una visita psichiatrica in cui è stata riscontrata “una moderata sindrome ansioso-depressiva” con “tratti psicologici da affrontare e valutare”, per i quali ho intrapreso una psicoterapia tuttora in corso.
    Già tante volte ho preso la decisione di cambiare lavoro e poi, anche per pressioni sociali (anche di chi mi diceva “ce la puoi fare”, pensando di incoraggiarmi) e il timore di non trovare altro, sono ricaduta nella scuola. Sono una recidiva.
    Il riposo delle vacanze natalizie non ha portato giovamento, non ho voglia di distrarmi e non posso fare a meno di pensare, con angoscia, al rientro del 7 gennaio.
    Mi sento in colpa e sono molto confusa: licenziarmi (come ho fatto un paio di volte in passato) e chiudere, questa volta definitivamente, con quel lavoro? Oppure tenere duro, sforzarmi di finire l’anno? O dare retta a chi (non insegnante) mi dice che, “con la crisi che c’è” devo accontentarmi e tenermi stretto il lavoro che ho?
    Da quello che ho letto sull'argomento, esistono dei tratti di personalità che rendono più o meno adatti a svolgere una professione d'aiuto: perciò ho pensato di rivolgermi a lei per sapere se mi può indicare se e dove è possibile effettuare una valutazione psicologica/psichiatrica approfondita in merito a questi temi, per provare a vederci più chiaro, comprendere meglio la mia situazione individuale e orientarmi sulle mie scelte future.
    La ringrazio per il suo lavoro e la disponibilità: un saluto cordiale e auguri di buon anno!
    Considerazioni
    Sono veramente numerosi gli spunti che Sonia fornisce nella sua lettera. Vedremo di affrontarli sinteticamente e nell’ordine proposto ringraziando al contempo la docente per la fiducia, talvolta esagerata, che ripone nel sottoscritto.
    Notiamo innanzitutto la giovane età (34 anni) dell’insegnante di sostegno. E’ questo un dato di cui tenere conto nel proposito di cambiare (o almeno tentare) lavoro.
    La storia di Sonia (della quale peraltro nulla sappiamo circa la vita familiare e di relazione: single, sposata, accompagnata, madre etc) comincia come per tutti all’insegna dell’ignoranza sull’usura psicofisica della professione e sull’errato convincimento che il Sostegno sia più leggero dell’insegnamento curricolare. In altre parole la fanno ancora una volta da padrone i luoghi comuni e gli stereotipi sull’insegnamento. Ecco che Sonia entra nel mondo della Scuola impreparata ad affrontare una realtà ingannatrice: passando infatti dalla padella (cattedra) nella brace (sostegno).
    L’alta autostima (“sono persona precisa e responsabile che è riuscita bene negli studi ed ho alte aspettative”), probabilmente supportata da quella che lo psicologo americano Farber chiama “l’esagerata componente onirica degli insegnanti”, rende più spietato l’impatto con la realtà scolastica cui nessuno aveva preparato Sonia. La stessa ammette di non funzionare come vorrebbe in questo lavoro e soprattutto di sentirsi di vivere una vita vuota e priva di senso.
    L’elenco completo di segni e sintomi evidenziato dalla docente quindi non sorprende (anche se sarebbe di aiuto conoscere l’intensità dei sintomi piuttosto che il loro mero numero) e la diagnosi di neoplasia linfatica sembra essere lo spiacevole epilogo. Sonia tuttavia è donna di carattere e lo dimostra proprio nella circostanza in cui verrebbe, a chiunque, la voglia di gettare le armi. Nella malattia infatti riconosce l’opportunità – non ancora sfruttata – per cambiare vita e scappare dall’insegnamento.
    In generale va riconosciuto come sia deleterio il mancato riconoscimento ufficiale della professione docente quale vero e proprio lavoro psicofisicamente usurante. Sonia, come molti altri, è caduta nell’inganno ed ha pagato un alto tributo. Finché le Istituzioni si rifiuteranno di raccontare le cose come stanno, vedremo cadere molti lavoratori innocenti e avremo una categoria professionale talvolta inadeguata e costretta a sopravvivere con espedienti.
    Conclusioni
    Premesso che sono molti a trovarsi nella situazione di Sonia proprio in virtù dell’ultima considerazione affrontata, la soluzione al caso in esame non può venire dal sottoscritto, né dallo psicoterapeuta di turno. Ai professionisti tocca il non facile compito di far mettere a fuoco il carattere, le aspettative, la resilienza, le doti e le fragilità del paziente per effettuare una scelta di vita ponderata. Toccherà invero alla docente scegliere se cambiare vita professionale o meno, valutando tutti i pro e i contro. Oggi certamente Sonia dispone di molti elementi in più rispetto a quando cominciò a insegnare anche perché ha pagato a caro prezzo la loro conoscenza in termini di salute e qualità di vita. Le forze per combattere e la positività sembrano non mancarle, quasi che le difficoltà l’abbiano temprata. La giovane età è anch’essa dalla sua parte. Che ci siano tutti gli elementi per cambiare vita? Solo lei può dirlo. Auguri, Sonia, e buon 2016!

    orizzontescuola
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    Predefinito Docenti di sostegno, più specializzati ma non passeranno al ministero della Salute

    Docenti di sostegno, più specializzati ma non passeranno al ministero della Salute



    I docenti di sostegno dovranno essere più specializzati sugli specifici problemi di apprendimento degli alunni, ma rimarranno sempre dipendenti del Miur.
    A dirlo è stato il sottosegretario all’Istruzione, Davide Faraone, il 22 gennaio durante un convegno alla Camera, parlando della riforma della scuola e dei lavori, avviati al ministero dell’Istruzione, sulle nove deleghe previste dalla Legge 107/2015.
    “Si sta incredibilmente pensando che la competenza sui docenti di sostegno verrà spostata al ministero della Salute. Non è così”, ha tagliato corto Faraone.
    Per poi sottolineare, sempre il sottosegretario, come “sul sostegno siamo un Paese modello nel mondo. L’inclusione è un momento di formazione. E la specializzazione dei docenti di sostegno, sulla base dei bisogni degli alunni, serve a rendere più efficace l’intervento”.
    Vale la pena ricordare che su queste tematiche, il Governo sembra avere le idee chiare: i nuovi docenti di sostegno, reclutati attraverso un concorso ad hoc, dovranno garantire maggiore continuità didattica e specializzazione sulle singole disabilità. E dopo l’immissione in ruolo dovranno rimanervi per il doppio degli anni (passando sulla propria disciplina d’insegnamento curricolare non prima di 10 anni anziché 5 come avviene oggi).
    Inoltre, potranno anche contare su dei colleghi docenti di discipline curricolari tutti finalmente con una base formativa su come interagire con gli alunni disabili.
    Queste, almeno, sono le intenzioni: staremo a vedere se saranno portate avanti, nero su bianco, sino all’approvazione finale della delega sul sostegno.


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    Predefinito Insegnanti di sostegno, l’incompiuta della riforma della scuola. Cattedre scoperte: “Per mia figlia

    Insegnanti di sostegno, l’incompiuta della riforma della scuola. Cattedre scoperte: “Per mia figlia 5 cambi in 4 mesi”

    Insegnanti di sostegno, l’incompiuta della riforma della scuola. Cattedre scoperte: “Per mia figlia 5 cambi in 4 mesi”
    Il continuo cambiamento di docenti ha un effetto pesante sui ragazzi affetti da patologie e disabilità. Mentre il 40% degli insegnanti di sostegno è precario e il piano di assunzioni della Buona scuola non colma questa mancanza nemmeno per gli anni a venire. Ecco le storie di famiglie di alunni disabili alle prese con la discontinuità didattica
    di Lorenzo Vendemiale
    La studentessa disabile che cambia cinque docenti di sostegno in un anno. La mamma del figlio autistico che ancora si ricorda del traumatico cambio di insegnante in terza elementare. La ragazzina con disturbi provocatori che regredisce all’improvviso per il ritorno della professoressa con cui aveva avuto una brutta esperienza. Storie, così diverse e così simili fra loro, di famiglie che vivono sulla propria pelle il problema del precariato nella scuola. Le supplenze sono sempre negative per l’offerta formativa. E possono diventare addirittura devastanti quando si parla di sostegno a studenti con disabilità. “Mio figlio ha 15 anni ed è autistico, una patologia complessa: il rapporto col docente è decisivo per la sua serenità quotidiana. Ha bisogno di stabilità, di confidenza. E invece il cambiamento non ci ha mai aiutato”, racconta Adriana di Catania, mamma di uno dei 138.744 alunni con problemi intellettivi che frequentano la scuola italiana. Oltre la metà dei 235mila studenti con disabilità censiti dal Miur.
    È uno dei problemi principali che “La Buona scuola” non è stata in grado di risolvere, almeno non completamente: le assunzioni sul sostegno sono state meno di 25mila, sul totale di circa 87mila cattedre assegnate dal piano straordinario. Mentre all’ultimo rilevamento ministeriale i precari erano ancora 44mila, quasi il 40% del personale docente. Tante cattedre erano e restano scoperte, la situazione rischia di riproporsi anche il prossimo settembre. “Alle elementari ci è toccato un insegnante diverso ogni anno. Il passaggio dalla seconda alla terza fu terribile: mio figlio era stato benissimo, quando tornò a scuola trovò un’altra persona a cui non riuscì mai ad abituarsi. Passammo un anno infernale, anche a casa”, spiega la mamma. È andata molto meglio alle medie: “Lì siamo stati più fortunati, lo stesso docente è rimasto per l’intero ciclo. Ci siamo trovati così bene che abbiamo deciso di fargli ripetere la terza media. Proprio perché la continuità è fondamentale”.
    Cambiare, invece, può essere traumatico. Anche da un anno all’altro, con di mezzo l’estate come fase di assestamento. Figuriamoci se più volte e ad anno in corso, come è successo a F., 18enne della provincia di Lucca affetta da un ritardo evolutivo globale che la costringe sulla sedia a rotelle fin da piccola. “Da settembre abbiamo avuto cinque docenti di sostegno diversi, nessuno specializzato”, spiega la madre Elena. E pensare che l’anno era partito sotto i migliori auspici: “Ci avevano assegnato il massimo di ore, senza dover fare ricorsi. Eravamo contenti”. Poi il caos delle nomine: “All’inizio gli insegnanti non si trovavano proprio: la nostra scuola nella Garfagnana è disagevole da raggiungere, tanti rifiutavano”. Quando è stato trovato il primo, l’assegnazione era sbagliata. Il secondo è stato nominato dalle graduatorie provvisorie, poi ci sono state alcune riorganizzazioni interne all’istituto. “L’insegnante definitivo è arrivato solo a gennaio, dobbiamo ancora fare il Piano Educativo Individualizzato (il cosiddetto Pei, nda). Per fortuna mia figlia è una ragazza serena e non ha difficoltà a socializzare con le persone. Ma per altri è molto più difficile”.
    È il caso ad esempio di S., ragazzina di 12 anni che frequenta le scuole medie in provincia di Frosinone. È affetta da un ritardo mentale grave con disturbo oppositivo-provocatorio, che le causa forti problemi relazionali. “Per lei è fondamentale avere figure di riferimento, non si abitua facilmente ai cambiamenti”, racconta l’educatore che ha seguito il suo percorso. Il passaggio dalle elementari alle medie era stato complesso, segnato da tante manifestazioni di aggressività: “La classe per lei era un ambiente ostile, ogni volta che poteva provava a scappare”. Il nuovo anno, però, era cominciato meglio: “Il primo giorno aveva salutato con gioia compagni e bidelli, e col nuovo insegnante aveva trovato subito feeling”. Poi il pasticcio: a gennaio il caso ha voluto che le immissioni in ruolo della Fase C riportassero nella scuola proprio il docente di sostegno dell’anno precedente, con cui il rapporto non era mai stato buono e che proprio alla luce di quella brutta esperienza in autunno non aveva risposto alla convocazione. “Lei non ha detto nulla. Ma il giorno in cui l’ha rivisto sono riaffiorati gli stessi episodi di aggressività e violenza che non si erano verificati per tutto l’anno. Speriamo che lo scompenso sia stato solo temporaneo e che tutto continui ad andare per il meglio”. La precarietà nella scuola ha un costo, specie nel sostegno. E il prezzo lo pagano i più deboli.


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    Predefinito 523 posti di sostegno senza vincitori. Una critica fuori luogo

    523 posti di sostegno senza vincitori. Una critica fuori luogo




    Nella mattinata di ieri Tuttoscuola ha dato notizia che in cinque regioni del Nord Italia (Lombardia, Piemonte, Veneto, Friuli e Liguria) i candidati per il sostegno nella scuola primaria sono in numero inferiore alla quantità complessiva dei posti messi a concorso, con uno ‘scoperto’ di 523 posti che, certamente e come minimo, non potranno essere assegnati per mancanza di vincitori.
    Tuttoscuola ha fatto inoltre presente che in tutte le altre regioni, invece, il numero dei candidati è superiore (a volte di gran lunga) al numero dei posti a concorso.
    Per essere più precisi, se mancano almeno 523 candidati in quelle regioni, ve ne sono 2.153 più del necessario nelle altre.
    Come si può capire, si è trattato di una diversa distribuzione delle candidature determinata esclusivamente dalle scelte delle persone. Scelte che, secondo Tuttoscuola, possono dipendere dalla vicinanza della residenza (molti candidati sono meridionali) e, forse, dalla fondata previsione che, nella peggiore delle ipotesi, il posto di lavoro resta comunque assicurato perché nei loro territori sono numerosi i posti di sostegno in deroga che vengono destinati soltanto a supplenti fino al 30 giugno.
    Nonostante sia evidente che lo squilibrio territoriale delle candidature sia dipeso da cause soggettive (scelte personali), c’è stato, invece, chi ha incolpato di tutto questo il Miur, colpevole di una ‘preselezione eccessiva’ per non avere ammesso al concorso, oltre ai laureati (quelli, sembra di capire, non abilitati), neanche gli specializzandi sul sostegno, prossimi a concludere il loro corso formativo.
    Insomma i 523 ‘buchi’ contati uno ad uno da Tuttoscuola servono per dimostrare una presunta iniquità, anziché un errore di calcolo e di previsione dei candidati.



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    Ministero, specializzazione sostegno all'estero sarà riconosciuta solo se docente già abilitato


    Nessuna richiesta, ancora, da parte di docenti relativamente alle specializzazione per le attività didattiche di sostegno prese in Romania.
    Risponde così il Ministero ad una interrogazione parlamentare dell'On Silvia Chimienti sulle specializzazioni all'estero.
    Il Ministero precisa che si tratta di una materia disciplinata dalla Direttivo 2005/36/CE che è stata recepita in Italia dal Decreto legislativo 206 del 2007.
    In esso, specifica l'amministrazione, sono disciplinati i requisiti per chiedere il riconoscimento della specializzazione che riguarda il superamente di tutti gli esami, il tirocinio e la tesi finale, che devono essere svolti nel Paese che rilascia il titolo abilitante.
    Il Ministero, infine, chiarisce che in Italia non esiste una specifica classe di concorso per il sostegno. Quindi, la specializzazione è sempre successivo all'abilitazione in una disciplina, e "potrà essere riconosciuta solo qualora il richiedente sia già abilitato."

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    Sostegno, arrivano i posti in deroga: più di 4.600 solo in Sicilia



    Come accade da anni, ad agosto gli Uffici Scolastici Regionali danno il via libera ai posti in deroga per il sostegno.
    Negli ultimi anni, il numero è cresciuto. Anche a livello nazionale. Perché le cattedre di diritto del sostegno sono circa 96mila, mentre i posti effettivi superano ormai quota 120mila.
    Solo in Sicilia, riferisce la Usb Scuola, l’Ufficio scolastico regionale ha distribuito 4.606 cattedre di sostegno aggiuntive, cosiddette in deroga, quasi la metà delle quali nella provincia di Palermo ed oltre mille in quella catanese.
    “Le proteste degli insegnanti che si sono svolte in questi giorni nelle città siciliane hanno un fondamento più che valido. Ce ne dà conferma la comunicazione dei posti assegnati in deroga alle province siciliane”, scrive l’agguerrito sindacato di base.
    “Chi ha affermato in risposta alle nostre rivendicazioni che siamo dei “piagnoni” o che vogliamo solo il posticino sotto casa, faccia due conti e comprenda che è semplicemente un accanimento contro la professione docente pretendere il trasferimento a migliaia di chilometri da casa, quando il lavoro può essere serenamente svolto nella provincia di appartenenza”.
    Sulle classi di concorso comuni, quelle disciplinare, però i numeri saranno decisamente più contenuti.
    Qui di seguito, la tabella della distribuzione dei posti di sostegno in deroga per l’A.S. 2016/17:


    Agrigento 300
    Caltanissetta 350
    Catania 1.159
    Enna 94
    Messina 264
    Palermo 1.927
    Ragusa 74
    Siracusa 300
    Trapani 338
    Totale 4.606


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    L'orario di servizio dei docenti di sostegno

    Sull'orario di servizio dei docenti di sostegno non esiste una specifica normativa, tuttavia è bene tener presenti alcuni aspetti.
    Chi è il docente di sostegno?
    L'insegnante per le attività di sostegno è un insegnante specializzato assegnato alla classe dell'alunno con disabilità per favorirne il processo di integrazione. Non è pertanto l'insegnante dell'alunno con disabilità ma una risorsa professionale assegnata alla classe per rispondere alle maggiori necessità educative che la sua presenza comporta. Le modalità di impiego di questa importante (ma certamente non unica) risorsa per l'integrazione, vengono condivise tra tutti i soggetti coinvolti (scuola, servizi, famiglia) e definite nel Piano Educativo Individualizzato.
    L’orario dell’insegnante di sostegno è uguale a quello dei docenti dell’ordine di scuola di servizio.
    Scuola dell’infanzia: 25 ore settimanali
    Scuola primaria: 22 ore settimanali + 2 ore di programmazione settimanale.
    Scuola secondaria di primo grado: 18 ore settimanali
    L'attività didattica va contestualizzata al piano educatico individualizzato (PEI) e al progetto di vita dell'allievo.
    Ricordiamo che l'orario dei docenti di sostegno non può essere deciso da consigli di classi e commissioni.

    E' bene che il Consiglio di classe sia al corrente dell'orario del docente di sostegno, che può essere modificato nel corso dell'anno scolastico, per venire incontro alle eventuali esigenze dell'alunno nonchè della classe in cui è inserito.


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    Sostegno, ancora proteste per l’utilizzo di prof di ruolo non specializzati: è irregolare!




    Ci sono nuove proteste per via degli accordi sull’occupazione in assegnazione provvisoria dei posti di sostegno a prof non specializzati trasferiti lontano da casa.
    Quanto sottoscritto in alcune regioni, con l’avallo dei sindacati maggiori, ha fatto infuriare le associazioni degli alunni disabili. L’ultima, in ordine di tempo, a spiegare i motivi del dissenso è l’Anffas Onlus (Associazione Nazionale Famiglie di Persone con disabilità intellettiva e/o relazionale).
    Secondo il presidente nazionale dell’Associazione, Roberto Speziale, “all’inizio di ogni anno scolastico ci troviamo di fronte a situazioni in cui si assegna una cattedra di sostegno a un docente non specializzato, solo perché – commenta – perdente posto nella stessa scuola o in una vicina, a totale discapito della qualità del sostegno che potrebbero fornire i docenti specializzati a disposizione, seppur precari e provenienti anche da altre province”.
    Per il presidente Anffas, ciò è “in violazione della norma statale (l’articolo 14 comma 6 della legge 5 febbraio 1992 n. 104) che stabilisce in maniera puntuale che l’utilizzazione in posti di sostegno di docenti privi dei prescritti titoli di specializzazione è consentita unicamente qualora manchino docenti di ruolo o non di ruolo specializzati”.
    “Ciò vuol dire – prosegue il presidente – che prima bisogna attivare tutte le misure per coprire il fabbisogno di insegnanti di sostegno specializzati (anche ricorrendo a precari specializzati o a utilizzazioni e assegnazioni) e solo in ultima battuta far coprire le cattedre da docenti non specializzati che però debbono pur sempre fare un corso di conversione sul sostegno”.
    Speziale sostiene, inoltre, che “all’interno di molte Regioni è stata fatta un’errata distribuzione, tra i vari Ambiti Territoriali, delle cattedre di sostegno da mettere a disposizione, a causa della mancanza dell’adeguata rilevazione delle effettive esigenze degli alunni con disabilità che dovrebbe essere realizzata nel periodo estivo”.
    “Ciò comporta che, anche a parità di bisogni da parte degli alunni, in alcune Province vi sono più posti di sostegno di altre con la conseguenza che nelle prime i docenti specializzati per il sostegno vengono subito assorbiti e si ricorre anche ai docenti non specializzati, mentre in altre neppure vengono utilizzati tutti i docenti specializzati, di ruolo o precari che siano“, conclude il presidente Anffas.



    Tecnica della scuola
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    Il governo prepara la riforma al sostegno


    Faraone, sottosegretario all’Istruzione: “Costruiamo un ‘Progetto di vita’ che vada oltre la scuola eliminando macchie di ipocrisia presenti nel nostro sistema scolastico”
    Meno burocrazia e docenti più preparati. Ma anche certezza dei servizi e razionalizzazione delle risorse. Ecco le principali direttrici su cui sta lavorando il governo per la riforma del sostegno, una delle più delicate previste (con delega) dalla Buona scuola. Davide Faraone, sottosegretario all’Istruzione che sta curando il decreto legislativo sulla materia, riassume la complessa riforma nel seguente modo: “Semplificazione, continuità, maggiore formazione e specializzazione per andare incontro alle esigenze reali degli alunni, costruzione di un progetto di vita che vada oltre la scuola e un’inclusione che è responsabilità di tutta la comunità”. Al Miur la parola “sostegno” è stata sostituita da “inclusione” e viene introdotto il concetto di “Progetto di vita” per fare comprendere a tutti che il provvedimento in cantiere vuole prendere in carico tutti – alunni disabili e normodotati, magari con qualche difficoltà anche temporanea – e che l’orizzonte non sarà solo quello degli anni di permanenza a scuola.
    Il riferimento è chiaro. La delega si occuperà anche degli alunni con Dsa – Disturbo specifico di apprendimento (disgrafia e dislessia) – ma anche degli alunni con Bisogni educativi speciali (i Bes) tra i quali rientrano anche coloro che sono in condizioni socio-economiche svantaggiate. Insomma, tutti coloro che incontrino difficoltà nell’inserirsi a scuola e nel seguire lo studio. Anche dopo la maturità. Utopia? Vedremo. Intanto la delega è a buon punto perché dopo più di un anno di gestazione dovrà vedere la luce entro metà gennaio. “E’ come se avessimo passato ai raggi X la situazione del nostro Paese, all’avanguardia a confronto con gli altri paesi europei, e fossimo intervenuti puntualmente per debellare – spiega Faraone – quelle macchie di ipocrisia nell’inclusione presenti nel nostro sistema scolastico. Perché c’è ancora tanto che possiamo fare per migliorare la situazione”.
    Il tutto in costante contatto “con le famiglie, le associazioni, gli operatori e i territori”. Come spiegato prima, l’inclusione scolastica riguarderà tutti gli alunni, non solo i disabili. La vecchia ma innovativa legge 104 risale al 1992 e necessita di un tagliando. Stato, regioni, enti locali e scuole dovranno garantire – in base alle competenze disegnate dal decreto legislativo in corso di emanazione – servizi e livelli di prestazione unici a livello nazionale. L’assegnazione degli insegnanti di sostegno resterà a carico dello stato che si occuperà anche dell’assegnazione del personale Ata (bidelli specializzati) per l’assistenza igienica, competenza che in questo momento è a carico degli enti locali. Resteranno invece a questi ultimi (consorzi tra comuni e città metropolitane) i compiti, con relativo personale e mezzi, di assistenza per l’autonomia e la comunicazione e il trasporto. La procedura per la certificazione della disabilità – che oggi richiede diversi mesi – verrà semplificata e accelerata attraverso la modifica della commissione medica che certifica l’handicap e la variazione dei criteri stessi della certificazione. Ribaltato il criterio per l’assegnazione delle risorse. “Non è la gravità della disabilità a determinare i bisogni dell’alunno – precisano da viale Trastevere – ma il suo “funzionamento”, ovvero di cosa ha bisogno nel concreto per realizzare il Progetto di vita”. In altre parole, un bambino in carrozzina potrebbe non avere bisogno di un docente di sostegno ma di ambienti senza barriere architettoniche e assistenti all’autonomia. Così le risorse per il sostegno saranno razionalizzate. E’ probabile che in questo modo l’espansione incontrollata degli organici di sostegno – oggi a quota 124mila docenti – cesserà. Perché ad alcuni alunni verrà assegnato soltanto uno o più assistenti e i docenti curricolari verranno formati anche sul sostegno.
    Contrariamente a quanto accade oggi, la scuola parteciperà alla stesura del Piano educativo individuale (Pei) che servirà per assegnare le risorse alle scuole. E per garantire la continuità didattica agli alunni disabili, verranno istituiti 4 ruoli ad hoc, oggi inesistenti, per i quattro livelli principali di istruzione: infanzia, primaria, I grado e II grado. E per evitare il balletto di docenti – che entrano di ruolo su sostegno e poi transitato rapidamente su posto comune – è nell’aria un vincolo di permanenza pluriennale. Gli insegnanti di sostegno, che oggi devono fare fronte alle situazioni più diverse – dovranno essere più preparati: in luogo di 60 crediti formativi universitari, per ottenere la specializzazione su sostegno occorrerà sostenerne 120, il doppio. Ma la formazione specifica su sostegno verrà estesa a tutti i futuri docenti e anche quelli già assunti che dovranno formarsi sulle problematiche dell’inclusione, visto che con la Buona scuola l’aggiornamento sarà obbligatorio.
    “Per la prima volta stiamo dicendo con i fatti e non solo a parole – conclude Faraone – che la disabilità non è qualcosa in meno, ma è un valore aggiunto che la società deve essere in grado di accogliere e di fare prosperare. Ragioniamo di progetto di vita e non più e non soltanto di piano educativo individualizzato perché non vogliamo più che la scuola sia l’unico luogo di inclusione, al punto da spingere i genitori a chiedere per i propri figli disabili più e più volte la bocciatura. Stiamo lavorando affinché ogni insegnante – e non solo quelli di sostegno, che ringrazio per il loro lavoro straordinario – sia formato per garantire l’inclusione, siamo impegnati per uniformare le certificazioni e non creare disparità di trattamento né tra persone
    né da un territorio all’altro. Con la prima legge sull’autismo e quella sul “dopo di noi”, che il governo sta portando avanti, siamo sulla strada giusta, guardando a una società che deve arricchirsi della diversità e non mettere nessuno ai margini”.


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