Il sistema di valutazione dell’istruzione deve diventare un’infrastruttura del Paese, l’Invalsi deve essere dotato di tutto quanto serve, come la rete ferroviaria o il wireless: ispettori, ricercatori e tutte le altre figure utili. E siccome il governo non sta facendo investimenti che vadano in questa direzione, l’unico modo per ottenere questa infrastruttura è operare secondo la logica della sussidiarietà. Le fondazioni bancarie, che già investono molto per la qualità della scuola, dovrebbero sostenere l’Invalsi».
Anna Maria Poggi, presidente della Fondazione per la Scuola della Compagnia di San Paolo ha chiuso così, ieri sera, la due giorni internazionale intitolata «La sfida della valutazione» che al centro congressi Torino Incontra ha celebrato i primi dieci anni di attività della Fondazione e i dieci della prima rilevazione Ocse Pisa.
Una proposta, quella della giurista alla guida della Fondazione per la Scuola, annunciata in modo forte, determinato, in coerenza assoluta con le analisi e le riflessioni degli esperti di fama mondiale invitati al seminario torinese. In particolare, Anna Maria Poggi ha ricordato quelle di Eric Hanushek, docente della Stanford University, tra i maggiori studiosi al mondo del rapporto tra istruzione e crescita economica, e di Andreas Schleicher della Direzione per l’Istruzione dell’Ocse.
«Hanushek ha illustrato la stretta relazione - ha detto Poggi - tra Pil e risultati dell’indagine Pisa: in base ai risultati insoddisfacenti che ottiene dai suoi quindicenni, ogni anno l’Italia perde 2,5 punti di Pil. Schleicher è stato un po’ più ottimista. Ha osservato che l’Italia negli ultimi anni ha recuperato punti, ma che resta comunque sotto la media Ocse. Cammina, ma troppo lentamente rispetto a quel che perde nel frattempo».
Urge, dunque, invertire la rotta come altri paesi hanno fatto negli ultimi anni e con un successo abbastanza rapido. «Come Fondazione per la Scuola abbiamo concluso che serve un salto di qualità senza perdere tempo: ci è stato ampiamente dimostrato che quando l’istruzione porta risultati, il Paese cammina», ha detto la presidente. «Per il salto occorre un sistema di valutazione efficace, un sistema pubblico. Che per funzionare, però, non ha altra risorsa che l’impegno economico delle Fondazioni». Poi, una battuta: «Oggi lanciamo una sorta di Opa dell’educazione». E una precisazione: «Le Fondazioni operano in vista dei risultati dell’investimento». Un investimento, ha calcolato Daniele Checchi, ordinario di Economia Politica all’Università di Milano, «da una decina di milioni di euro, il doppio del costo attuale dell’Invalsi».
L’Istituto italiano per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione da mesi sta vivendo una fase di transizione. «È una condizione che rischia di vanificare i risultati ottenuti negli anni passati sotto la presidenza Cipollone. Nonostante gli sforzi - ha sottolineato Poggi - senza stabilità l’Invalsi non sarà in grado di sostenere la sfida della valutazione finalizzata al miglioramento della qualità dell’istruzione».
Tra il 10 e il 14 maggio l’Invalsi, commissariato, ha somministrato i test a 2,2 milioni di ragazzi, dalle elementari alle superiori. E 500 mila saranno quelli di terza media che lo affronteranno il 20 giugno. Per farlo ha speso due euro a studente. Le forze? Una ventina di dipendenti a tempo indeterminato, tra i quali 12 ricercatori, mentre altri 50 - altamente qualificati - sono precari da anni. Nell’istituto olandese equivalente all’Invalsi (il Cito, che però ha un terzo degli studenti italiani da valutare) lavorano in 400 e centinaia sono i dipendenti della «Direction de l’évaluation» francese.
«I piani del nostro governo sull’Invalsi non garantiscono vere prospettive di sviluppo - ha spiegato la presidente della Fondazione per la Scuola - mentre un sistema di valutazione funzionante ed efficace serve subito, serve un corpo di ispettori, occorre fare formazione nelle scuole. Dove ormai sta crescendo la consapevolezza che una fotografia sincera è necessaria».
«Le resistenze dei mesi scorsi al progetto “Valorizza” del Miur hanno riguardato un 10% di insegnanti. Pochi ma agguerriti. Dire sì al progetto avrebbe significato la fine della pace sociale», ha detto ieri Anna Maria Poggi. In provincia di Torino solo il circolo didattico di Pavone Canavese, 1050 alunni, 100 insegnanti, ha portato a termine la sperimentazione e attribuirà 17 premi, un terzo delle 60 maestre disponibili. Il dirigente Reginaldo Palermo: «Ora è indispensabile chiarire le motivazioni per cui il collegio docenti aveva dato la propria disponibilità ad un progetto apparso da subito discutibile: i 17 premiati verseranno alla scuola il premio. La scuola, a sua volta, utilizzerà il fondo (20 mila euro) per il miglioramento dell’offerta formativa».



Eduscuola