Per il 6 di aprile l’Unicobas di Roma promuove un incontro su come “far saltare le prove Invalsi”, programmate per il prossimo mese di maggio. Lo stesso sindacato ha già indetto uno sciopero per l’ultima ora del giorno 12 maggio e per la giornata del 13 con l’obiettivo di boicottare la compilazione della scheda psico-attitudinale prevista per giorno 12 nelle scuole medie e le prove per la primaria in programma per il 13 maggio (per le prove del 10 e 11, al momento, non risultano analoghe iniziative).
I Cobas pubblicano un elenco di scuole dove sono stati approvati documenti anti prove Invalsi e altre organizzazioni, come Retescuole, promuovono assemblee e perfino corsi di aggiornamento sull’uso delle prove con finalità meritocratiche.
Insomma, come peraltro succede non solo in Italia, buona parte degli insegnanti diffida dei test, soprattutto se obbligatori e generalizzati. Minori resistenze ci sarebbero se essi fossero somministrati a campioni di scuole (come si fa per i test IEA e PISA), ma il fatto che si sia invece deciso di investire l’universo delle scuole fa comprendere – si legge per esempio nel sito di Retescuole – che l’attuale governo avrebbe deciso di seguire l’esempio dei Paesi, come gli USA e la Gran Bretagna, dove il ricorso massiccio ai test comporta che la didattica sia “piegata all’esigenza di superare i test, proprio perché dai loro risultati dipendono qualità dell’utenza, finanziamenti, livelli stipendiali. Sono i test che comandano sulla didattica, dato che per ogni scuola diventa vitale che i propri studenti possano superarli con successo”.
Così uno strumento di evidente grande utilità, se opportunamente costruito e utilizzato, per la migliore conoscenza dei livelli di apprendimento degli alunni e per l’autovalutazione delle scuole e degli insegnanti, rischia di essere gravemente ostacolato da chi alimenta fobie anti-test e si impegna, al di là delle intenzioni, affinché nulla cambi.



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