Dal web che fornisce un'enciclopedia sempre a portata di mano ai navigatori che guidano gli automobilisti, le nuove tecnologie impigriscono il nostro cervello. Ma manuali e scienziati ci insegnano come tenerlo attivo.
Tutta colpa di Google! Lo si sente ripetere spesso nelle conversazioni, quando il nome del libro o del film da ricordare non scivola sulla punta della lingua, e gli spazi vuoti della dimenticanza si allargano tra le parole. Allora si ticchetta sui tasti del telefonino per cercare su Internet i ricordi svaniti.
Ma davvero questa svagatezza collettiva dipende dai motori di ricerca della rete, dagli smartphones, dalle agende elettroniche in grado di immagazzinare e gestire dati al posto del cervello? O le amnesie intermittenti da abbuffata tecnologica sono solo un luogo comune? «Internet sta cambiando il nostro modo di pensare e di ricordare», sostiene Nicholas Carr, autore del volume «The Shallows» («Le secche»). «Gli stimoli continui e superficiali a cui ci sottopone causano un prolungato stato di distrazione». Secondo i critici dell’era digitale, la società dell’informazione continua e della connessione totale è sull’orlo dell’afasia. La colpa sarebbe del multitasking, cioè dello svolgere più compiti allo stesso tempo, che causerebbe una divisione dell’attenzione. Soltanto quando ci concentriamo su un’informazione per volta «siamo in grado di associarla in maniera significativa al bagaglio di conoscenza sistemato nella nostra memoria», ha scritto Eric Kandel, neuroscienziato e premio Nobel. Per altri studiosi, come Robert Sylwester dell’Università dell’Oregon, i media elettronici stimolerebbero invece la curiosità e, di conseguenza, la memoria. «Bisogna però usarli in maniera creativa e attiva, e non in modo passivo».
Il nocciolo della questione sembra risiedere nello stimolo creativo della memoria. E non importa se proviene da un libro, da una lista della spesa o da uno schermo del computer. «Se quando andate al supermercato non volete dimenticarvi lo stracchino, provate a immaginare una piscina piena di questo formaggio con Lady Gaga che ci nuota dentro», suggerisce il giornalista americano Joshua Foer che ha appena mandato alle stampe per Penguin il libro «Moonwalking with Einstein: the Art and Science of Remembering Everything» («A spasso sulla luna con Einstein: l’arte e la scienza di ricordare ogni cosa»). Il segreto, secondo Foer, è ricordare divertendosi. Cioè associare un’informazione a un’immagine bizzarra ed evocativa. L’autore si è esercitato, mentre scriveva, con il campione mondiale di memoria Ed Cooke, che ha fatto da consulente al libro. E ha funzionato. Tanto che il giornalista ha vinto i campionati annuali di memoria negli Stati Uniti. Il motto di Foer è: «Non c’è nulla di più triste di chi perde il cellulare ed è tanto solo da non potere neppure chiamare la famiglia a casa».
Gli esercizi di Foer hanno una matrice antica. Associare immagini sorprendenti a dati è una classica tecnica della poesia. La stessa rima in antichità aveva probabilmente uno scopo mnemonico. Gli aborigeni australiani hanno usato per secoli i loro canti come traccia per seguire le piste delle migrazioni stagionali nelle aree più interne: ogni verso, un passo. E i teatri della memoria rinascimentali, che rendevano prodigiose le memorie di Pico della Mirandola e Giordano Bruno, erano delle architetture di immagini e pensieri. «Bruno chiamava la memoria a lungo termine il “Palazzo del pensiero”, il segreto per fissare una nozione è pensare per immagini», dice Gianni Golfera, appassionato del filosofo Nolano e come lui capace di recitare a memoria 250 libri, anche al contrario. Secondo Foer, un altro catalizzatore di memoria è il gossip: il pettegolezzo è una colla per la memoria. E Internet, i messaggi sui telefonini sono una fonte inesauribile. Come la capacità del cervello - quasi illimitata - di conservare informazioni. Con Google o senza.




La Stampa