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Discussione: In pensione con 40 anni, più due

  1. #501
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    Pensioni, da quota 41 fino all’assegno di garanzia per i giovani: le ipotesi in campo per il dopo quota 100



    I sindacati vogliono la riforma del sistema pensionistico in vista del termine di Quota 100, ossia i pensionamenti anticipati con almeno 62 anni di età e 38 di contributi voluti, con una sperimentazionale triennale, dal primo governo Conte.
    L’obiettivo è attutire l’impatto dello “scalone“ che si prospetta tra fine 2021 e inizio 2022.
    I sindacati pensano ad un’uscita da lavoro a partire dai 62 anni o con 41 anni di contributi a prescindere dall’età, corsie preferenziali per specifiche categorie di lavoratori (ad esempio chi fa attività gravose e usuranti), assegno di garanzia per i giovani e Opzione donna.
    Quota 41
    Cgil, Cisl e Uil chiedono di superare la legge Fornero a partire dal 2022, introducendo una flessibilità in uscita dai 62 anni di età o con 41 anni di contributi a prescindere dall’età (la cosiddetta Quota 41).
    Su questo l‘Inps pensa di permettere a 62-63 anni di uscire con la parte puramente contributiva e poi di ottenere la parte retributiva al raggiungimento dell’età ordinaria a 67 anni. Una formula che non avrebbe impatto fiscale e garantirebbe una certa flessibilità, e che si potrebbe legare anche a forme di permanenza nel mercato del lavoro. Per quanto riguarda i lavoratori fragili, ossia con particolari patologie, potrebbe esserci un percorso di pensionamento agevolato e flessibile (magari con Quota bassa).
    Opzione Donna
    Potrebbe diventare strutturale l’Opzione donna, che permette ancora per tre anni alle lavoratrici di andare in pensione a 58 anni (59 se “autonome”) con 35 anni di contributi, ma con il calcolo interamente contributivo dell’assegno.
    Assegno di garanzia per i giovani
    I sindacati chiedono anche un assegno di garanzia per i giovani, misura già oggetto di studio dell’Inps in riferimento ai giovani con carriere discontinue. Si profilerebbe un “sostegno strutturale per gli assegni di pensione bassi”.
    Cosa prevede la Legge Fornero
    La Legge Fornero prende il nome dall’ex ministro Elsa Fornero e fa parte del decreto legge Salva Italia varato dal governo Monti nel 2011. Si tratta di una riforma che prevede un sistema di calcolo contributivo nella costruzione della pensione, anche per quei lavoratori che – stando a quanto stabiliva la riforma Dini del 1995 – erano già certi di poter lasciare il lavoro con il vecchio sistema retributivo.
    Con la legge Fornero, la pensione è calcolata in base a quanto versato dal lavoratore e non agli ultimi stipendi percepiti.
    Uno dei punti maggiormente contestati della riforma Fornero è il conseguente innalzamento dell’età pensionistica di uomini e donne. La legge, infatti, ha modificato anche i requisiti per la cosiddetta “pensione di vecchiaia”, ovvero quella calcolata in base all’età anagrafica: minimo 20 anni di contributi e 66 anni di età per donne con contratti nella pubblica amministrazione e per tutti gli uomini impegnati nel pubblico e nel privato; 62 anni per donne del settore privato, che diventano 66 anni e 3 mesi nel 2018; 63 anni e 6 mesi per donne lavoratrici autonome che diventano gradualmente 66 anni e 3 mesi nel 2018.
    Nel PNRR addio a quota 100
    Nel PNRR il governo ha deciso di abbandonare definitivamente la quota 100, il meccanismo di pensionamento anticipato introdotto dal governo Conte I nel 2019. La misura era valida per tre anni e consentiva l’uscita anticipata dal mondo del lavoro per chi vanta almeno 38 anni di contributi con un’età anagrafica minima di 62 anni.
    Dal 1° gennaio 2022 verrà ripristinata la legge Fornero che prevede l’uscita da lavoro a 67 anni. Rimarranno in carica due sistemi già esistenti: l’Ape sociale e Opzione Donna. Il governo, comunque, prevede una Quota 102 con 64 anni di età e 38 anni di contributi di cui non più di 2 anni figurativi (esclusi dal computo maternità, servizio militare, riscatti volontari).
    La pensione anticipata dovrebbe essere resa stabile con 42 anni e 10 mesi per gli uomini (1 anno in meno per e donne), svincolata dalla aspettativa di vita ed eliminando qualsiasi divieto di cumulo tra lavoro e pensione e prevedendo agevolazioni per le donne madri (ad esempio 8 mesi ogni figlio fino a massimo 24 mesi), per i caregiver (un anno) e per i precoci (maggiorando del 25% gli anni lavorati tra i 17 e i 19 anni di età).


    Orizzontescuola
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  2. #502
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    Mah, ricordo ancora quanto i sindacati avessero a suo tempo (il 2018) osteggiato la QUOTA 100, ed ora vorrebbero i 41 anni a prescindere per tutti Come se l'Europa ci permettesse di tornare indietro di almeno 10 anni, quando c'erano i 40 anni e la scala o lo scalone!! L'Europa ci chiede riforme, in concomitanza del recovery fund, non il goga-mi-goga in vigore fino a qualche tempo fa, soprattutto in prospettiva pensionistica!

    Povera Itaglia....
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  3. #503
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    Pensioni Quota 100, chi raggiunge il requisito anagrafico nel 2021 potrà presentare domanda nel 2022


    Chi raggiunge il requisito anagrafico nel 2021 per accedere all’opzione Quota 100 (Legge 4/2019) potrà presentare istanza di pensionamento con questo sistema nel 2022.
    Questo è previsto dell’articolo 14 della legge n.26/2019 che stabilisce che, i lavoratori che perfezionano i requisiti per “quota 100” – 38 anni di contributi e 62 anni di età – nel periodo compreso tra il 2019 e il 2021 possono conseguire il trattamento pensionistico in qualsiasi momento successivo all’apertura della cosiddetta finestra.
    Nello stesso articolo, è specificato che il diritto conseguito entro il 31 dicembre 2021 può essere esercitato anche successivamente a tale data.
    La legge, approvata nel 2019, introduce il diritto alla pensione anticipata, senza alcuna penalizzazione, al raggiungimento di un’età anagrafica di almeno 62 anni e di un’anzianità contributiva minima di 38 anni, la cosiddetta “pensione quota 100”.
    Pensioni quota 100, cosa dice l’articolo 14
    Nel triennio 2019-2021 il dipendente pubblico potrà accedere a quota 100 al momento in cui potrà far valere almeno 62 anni di età anagrafica e almeno 38 di anzianità contributiva (ivi compresi riscatti o ricongiunzioni) e ciò sia in presenza di un’unica iscrizione in una delle casse pubbliche, sia cumulando periodi contributivi non coincidenti, nel caso che nella vita lavorativa sia stato iscritto a casse diverse gestite attualmente, comunque, dall’INPS.
    Casistica particolare è quella relativa al personale della Scuola e dell’AFAM, che potrà ottenere la decorrenza della pensione dall’inizio dell’anno scolastico o accademico (1° settembre, o 1° novembre).
    Il diritto a quota 100 acquisito nel triennio 2019-2021 potrà essere esercitato anche successivamente al 31 dicembre 2021 e l’età anagrafica dei 62 anni non sarà “indicizzata” alla “speranza di vita”.
    L’amministrazione di appartenenza non potrà collocare a riposo il dipendente al raggiungimento di tale diritto a “pensione quota 100”, ma dovrà risolvere il rapporto di lavoro al limite ordinamentale, o successivamente, solo al momento in cui il dipendente raggiunga un diritto a pensione o di vecchiaia o anticipata secondo la previgente normativa.


    Orizzontescuola
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  4. #504
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    Pensioni, Inps e Ministero completano le certificazioni del personale scolastico




    Si avvia a conclusione, anche quest’anno positivamente e nei tempi programmati, l’operazione di certificazione del diritto alla pensione per il personale del comparto scuola, svolta da Inps in collaborazione con il Ministero dell’Istruzione. L’Istituto ha infatti già completato alla data del 20 maggio, anche grazie all’impegno delle scuole e dell’Amministrazione scolastica, la definizione del 95% delle certificazioni del diritto alla pensione in relazione alla platea interessata. Ciò permetterà al Ministero dell’Istruzione di realizzare in tempi utili le operazioni di mobilità e di immissione in ruolo del personale in funzione dell’avvio del nuovo anno scolastico.
    In particolare, considerando le verifiche con esito positivo, risultano certificati i diritti alla pensione per 42.204 nominativi (31.873 del personale docente; 9.235 del personale ATA; 581 insegnanti di Religione; 406 dirigenti scolastici; 109 nel personale educativo).
    Sono stati dunque pienamente raggiunti gli obiettivi, grazie anche all’intenso lavoro tra gli uffici territoriali delle due Amministrazioni, nonostante le difficoltà del lungo periodo di emergenza sanitaria e la prevalente attività in smart working.
    L’Inps sta continuando a lavorare per consentire agli aventi diritto l’erogazione del trattamento pensionistico con decorrenza 1° settembre 2021, senza soluzione di continuità rispetto all’ultimo stipendio.
    “La sinergia che stiamo portando avanti tra il Ministero dell’Istruzione e l’Inps è importante e strategica per garantire una efficace programmazione delle operazioni di avvio del prossimo anno scolastico – ha dichiarato il Ministro dell’Istruzione, Patrizio Bianchi -. È un risultato che dobbiamo garantire, ora, anno per anno, anche per poter assicurare continuità e stabilità nei processi di avvio delle lezioni e nella programmazione delle assunzioni di nuovi insegnanti alla luce dei pensionamenti”.



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  5. #505
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    Pensione anticipata e invalidità, requisiti diversi per gli statali: differenze tra infermità permanente e inabilità


    Nel pubblico impiego i requisiti di accesso alle pensioni collegate a situazioni di invalidità sono diversi rispetto ai lavoratori dipendenti del settore privato.
    La pensione di invalidità è la misura previdenziale dedicata ai lavoratori affetti da patologie invalidanti. I lavoratori a cui viene assegnato dalla competenti commissioni mediche, un determinato grado di disabilità, hanno diritto a determinati trattamenti previdenziali. Ma si tratta di trattamenti che si applicano solo ai lavoratori e alle lavoratrici dipendenti del settore privato. Infatti non è così per i cosiddetti lavoratori statali.
    Nel pubblico impiego, scuola compresa, esistono diversi tipi di possibilità di accedere alla pensione collegata alla disabilità, ma sono possibilità differenti da quelle che si applicano ai lavoratori privati.
    Con questa guida approfondiamo l’argomento andando a sottolineare gli aspetti che differenziano i trattamenti applicati nel pubblico impiego rispetto al settore privato.
    Infermità permanente e inabilità
    Nel pubblico impiego si può sfruttare l’istituto della pensione per infermità permanente a condizione che questa incida sulle mansioni lavorative assegnate. Infatti questa infermità una volta accertata da parte delle commissioni mediche esaminatrici che fanno capo sempre all’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale, costringe l’Amministrazione presso cui il dipendente presta servizio, ad operare in un modo particolare. Infatti occorre prima di tutto a collocare il lavoratore in un’altra mansione di pari livello, anche retributivo, a quella precedente, ma in linea con le patologie di cui è affetto il lavoratore.
    Nel caso in cui non sia possibile collocare il lavoratore in una mansione ed in una postazione di lavoro che possa essere confacente al suo stato di salute, si passa al pensionamento.
    Il lavoratore, senza tenere conto della sua età anagrafica, può essere collocato in pensione, ma a condizione che rispetti determinati requisiti. Infatti servono almeno 14 anni 11 mesi e 16 giorni di servizio.
    Tra l’altro l’infermità da diritto all’aspettativa, e questo determina una prima grande differenza rispetto al settore privato. Infatti ai dipendenti pubblici, che a differenza di quelli del settore privato, non possono richiedere l’assegno ordinario di invalidità, è data facoltà di chiedere la pensione di inabilità solo se è decorso il periodo di aspettativa per infermità e solo se si manifesta la condizione di impossibilità a proseguire il rapporto di lavoro per via della invalidità posseduta.
    Si parla di inabilità e quindi di pensionamento solo se non è possibile la collocazione in altro ruolo di pari livello presso l’ente per cui si lavora. Ci sono differenze dal punto di vista dei requisiti anche tra comparto e comparto della Pubblica Amministrazione. Infatti servono non meno di 15 anni di servizio per i dipendenti dello Stato e del comparto difesa e sicurezza, con questi ultimi che dei 15 anni di servizio, ne devono avere almeno 12 effettivi. Differenze che si notano anche se si parla di comparto sanità o di quelli degli Enti locali, per i quali gli anni di servizio non possono essere inferiori a 20.
    Per i casi di disabilità gravissime invece, per tutti servono almeno 5 anni di contributi versati di cui almeno 3 nei 5 anni che precedono la data di presentazione della domanda di pensionamento.
    L’inabilità totale dal servizio
    Una volta che il lavoratore dipendente viene riconosciuto inabile o affetto da uno stato di inidoneità assoluta, scatta la cosiddetta dispensa dal servizio. Come previsto dal DPR n° 171 del 2011, un lavoratore è considerato inidoneo in maniera permanente ed assoluta nel caso in cui viene riconosciuta in questa maniera dalle competenti commissioni mediche e nel caso in cui ha accumulato almeno 15 anni di servizio, o meglio, nello specifico, 14 anni 11 mesi e 16 giorni di servizio. Naturalmente serve anche la risoluzione del rapporto di lavoro con la motivazione che resta quella della inidoneità al servizio.
    A differenza del settore privato, nel pubblico impiego è la Commissione Medica di Verifica l’organo competente in materia. Per quanto concerne la scuola, la procedura è ormai ben delineata da anni. Infatti il lavoratore da solo ed in via gerarchica o la scuola, possono presentare richiesta alla Commissione Medica di Verifica al fine di accertare la disabilità che non consente la prosecuzione del servizio.
    Una volta che la Commissione, dopo convocazione e correlativa visita del lavoratore, ha accertato la condizione del lavoratore ed ha provveduto ad emanare il verbale, lo stesso finisce alla scuola che provvede immediatamente a dispensare il lavoratore dal servizio. Quest’ultimo poi sarà chiamato a presentare domanda di pensione all’Ufficio Scolastico Provinciale per il tramite della segreteria scolastica dell’Istituto dove presta servizio.
    Va ricordato che la pensione decorre dal primo giorno successivo a quello di avvenuta dispensa dal servizio e che ai lavoratori affetti da invalidità superiore al 74% spetta una maggiorazione sia sul diritto che sulla misura della pensione. In pratica si possono recuperare massimo 5 anni di contribuzione utile sia per il calcolo del proprio assegno pensionistico che per raggiungere il diritto alla pensione, perché per ogni anno di servizio svolto dopo che il lavoratore è risultato invalido almeno al 74%, spetta la maggiorazione contributiva di 2 mesi.
    Naturalmente il limite massimo di 5 anni concorre fino al tetto massimo di anzianità contributiva che ricordiamo, è fissato in 40 anni.
    È dall’entrata in vigore della riforma previdenziali di Lanfranco Dini, cioè dal primo gennaio 1996 che ai lavoratori statali in genere, è stata estesa la possibilità di rientrare nel perimetro di applicazione della pensione di inabilità assoluta e permanente a qualsiasi attività lavorativa. In altri termini, dal 1996 i lavoratori pubblici sono stati equiparati a quelli del già prevista per i lavoratori del settore privato iscritti all’Inps per quanto concerne la pensione di inabilità assoluta.
    In questo caso sono meno stringenti i requisiti di stato di servizio perché come dicevamo prima, basterebbero 5 anni di servizio di cui 3 nel quinquennio precedente la data di presentazione della domanda di pensione.
    Occorre come è naturale che sia, il riconoscimento da parte dalla competente Commissione, di questa inabilità che determina la permanente impossibilità per il lavoratore, a svolgere qualsiasi attività lavorativa.
    Leggermente diversa la procedura, che comunque passa sempre dalla Commissione Medica di Verifica a cui la scuola chiederà il parere circa le condizioni di totale impossibilità a qualsiasi attività lavorativa del dipendente.
    La domanda, con allegato un certificato medico, va presentata direttamente all’ente presso il quale il lavoratore interessato lavora, e quindi, nel caso della scuola, al proprio Istituto. La visita alla Commissione è successiva alla domanda presentata dall’interessato. Solo a verbale emanato dalla Commissione, l’Ufficio Scolastico Provinciale provvede alla risoluzione del rapporto di lavoro.
    La decorrenza della pensione, liquidata dall’Inps, scatta dal primo giorno del mese successivo a quello in cui viene risolto il rapporto di lavoro, se questo avviene prima della presentazione della domanda. Decorre immediatamente dopo la data di risoluzione se la domanda è presentata da un lavoratore in servizio.


    Orizzontescuola
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  6. #506
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    Pensioni 2022: cambieranno anche senza riforma, ecco come


    Anche senza una riforma pensioni nel 2022 ci aspettano dei cambiamenti in ambito previdenziale, vediamo quali.
    Con o senza riforma pensioni il sistema previdenziale italiano cambierà nel 2022. E anche se il governo sta valutando una possibile riforma che potrebbe introdurre una nuova misura di pensionamento che a partire dal 1 gennaio 2022 possa prendere il posto della quota 100 per evitare il famoso scalone che potrebbe venirsi a creare, vediamo quali potrebbero essere i cambiamenti cui assisteremo anche senza la riforma pensioni.
    Pensioni 2022
    Nonostante le ipotesi di riforma siano molteplici, al momento di concreto non c’è nulla visto che di definito sappiamo solo che dal 1 gennaio 2022 verrà meno la possibilità di potersi pensionare con la quota 100 che, appunto, dal 31 dicembre 2021 scade.
    Senza riforma cosa cambia dal 1 gennaio 2022? Ovviamente il primo rilevante cambiamento è che non si potrà più accedere alla pensione a 62 anni grazie alla quota 100. Ma il 31 dicembre 2021 scade un’altra importante misura che, se non prorogata fa venire meno un altro anticipo pensionistico: parliamo dell’Ape sociale la cui proroga, appunto, scade a fine anno e senza un ulteriore rinnovo non permetterà nel 2022 il pensionamento con 63 anni e 30 o 36 anni di contributi.
    Tornerebbe in vigore, dal prossimo 1 gennaio, la sola riforma Fornero con la pensione di vecchiaia a 67 anni e 20 anni di contributi e la pensione anticipata che richiede 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini e un anno in meno per le donne.
    Ovviamente rimarrebbe in vigore anche la quota 41 per lavoratori precoci con tutti i suoi paletti e le sue restrizioni e anche le pensioni contributive (di vecchiaia e anticipata).
    Tutto questo aggiungendo gli adeguamenti all’aspettativa di vita ISTAT che ancora faranno aumentare l’età pensionabile (per pensione anticipata e quota 41, ricordiamo, che i requisiti restano bloccati fino al 31 dicembre 2026) di 3 mesi ogni biennio fino al 2026. Dal 2027 l’aumento, per tutte le misure, sarà di 2 mesi ogni biennio.


    Orizzontescuola
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  7. #507
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    ....anche Opzione Donna scade il 31 dicembre 2021, vediamo se verrà prorogata anche quest'anno.
    Ma perchè non farla diventare sistemica??

    Ciaone
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  8. #508
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    Pensione di vecchiaia a 67 anni più vantaggiosa per chi ha figli, ecco perchè


    Per le mamme lavoratrici che ricadono nel sistema contributivo puro o pensione prima o assegno più pesante.
    Forse non tutti lo sanno ma la legge Dini del 1995 prevede delle importanti agevolazioni per le donne con figli ai fini previdenziali. Soprattutto per quelle che accedono alla pensione di vecchiaia che possono fruire di uno sconto sull’età oppure di un’incremento dell’assegno previdenziale. Scopriamo di cosa si tratta rispondendo ad una lettrice di Orizzontescuola.it che ci scrive:
    Volevo gentilmente chiedere per chi è prossimo alla pensione di vecchiaia in regime di contributo puro, quindi con contributi che partono dal 1996, in base all’art. 1 comma 40 legge 335/95 (legge Dini) se può optare per un coefficiente di trasformazione relativo ad un anno in più avendo 2 figli.
    Pensione di vecchiaia più vantaggiosa per le mamme
    Per le mamme che maturano il diritto alla pensione di vecchiaia con il sistema contributivo vi è la possibilità di accedere o con anticipo o con assegno più alto. A prevederlo l’articolo 1, comma 40 della legge 335 del 1995 (la legge Dini) che prevede un’agevolazione importante per le donne che vedono la propria pensione liquidata con il sistema contributivo puro (e quindi che hanno contributi versati a partire dal 1996 o che hanno scelto il computo nella Gestione Separata).
    In questo caso le donne possono scegliere tra due importanti benefici:

    • anticipare la pensione di vecchiaia di 4 mesi per ogni figlio avuto, nel limite massimo di 12 mesi (potendo quindi accedere alla pensione a 66 anni in caso di 3 figli)applicare al calcolo della propria pensione un coefficiente di trasformazione maggiorato di un anno in caso abbia avuto uno o due figlio, o di due anni nel caso abbia avuto 3 o più figli.


    A decidere quale opzione preferisce sarà l’assicurata.
    Nel suo caso, quindi, se la scelta è quella di accedere alla pensione a 67 anni ricadendo nel sistema contributivo puro e avendo avuto due figli potrà scegliere di vedersi applicare il coefficiente di trasformazione relativo a chi accede alla pensione a 68 anni (più vantaggioso nel calcolo dell’assegno).



    Orizzontescuola
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  9. #509
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    Pensioni: ricongiunzione o cumulo?


    La ricongiunzione dei contributi è un istituto introdotto dalla legge n° 29 del 1979. Si tratta di uno strumento che l’Inps ha messo a disposizione per i lavoratori che hanno carriere discontinue, frammentate e con versamenti in diverse gestioni previdenziali.
    Fino al 30 giugno 2010 la ricongiunzione nel Fondo pensioni lavoratori dipendenti dei periodi contributivi maturati in ordinamenti pensionistici “alternativi” avveniva senza oneri per il richiedente. Dal 01 luglio 2010 invece anche tale tipo di ricongiunzione è diventata onerosa.
    Dal 2019 è stata ulteriormente estesa la facoltà per i lavoratori con carriere lavorative discontinue di cumulare i periodi assicurativi. Ma la ricongiunzione a volte può risultare più vantaggiosa.
    Il cumulo gratuito dei contributi è una misura che si inserisce nel sistema previdenziale e che si affianca a totalizzazione e ricongiunzione onerosa, che sono le altre misure che consentono di sommare i contributi versati in diverse gestioni, con quelli del Fondo a cui si chiede la liquidazione del proprio trattamento previdenziale.
    Si tratta della valorizzazione dei periodi assicurativi temporalmente non coincidenti accreditati in tutte le gestioni previdenziali di natura obbligatoria. Nel 2021 questa facoltà può essere esercitata al fine di maturare il diritto alla pensione anticipata (con 42 anni e 10 mesi di contributi o con 41 anni e 10 mesi le donne; 41 anni di contributi i cd. precoci) oppure alla pensione di vecchiaia (67 anni e 20 di contributi); nonché per accedere alla quota 100 (62 anni e 38 di contributi). In tale ultimo caso però il periodo che forma oggetto di cumulo deve interessare solo le gestioni amministrate dall’Inps, con esclusione, quindi, dei periodi presenti nelle Casse professionali.
    Non sempre, tuttavia, ancorché, gratuito il cumulo risulta conveniente rispetto alla ricongiunzione, seppur onerosa e dunque occorre valutare caso per caso.
    La prima cosa da tenere presente è che il cumulo non sposta la contribuzione da una cassa all’altra e dunque il lavoratore otterrà una pensione unica composta da due o più quote di pensione quante sono gli ordinamenti coinvolti nel cumulo. Ciascun ente liquiderà la propria quota con le regole e le retribuzioni di riferimento di ciascuna cassa. La ricongiunzione, invece, consente di trasferire la retribuzione nella gestione accentrante come se essa fosse stata da sempre acquisita in tale gestione. Quindi le regole di calcolo applicabili saranno quelle proprie della gestione accentrante.
    Quando conviene la ricongiunzione
    In linea di massima la ricongiunzione dei contributi è conveniente quando l’assicurato abbia avuto una progressione di carriera negli ultimi anni prima del pensionamento. In tal caso il trasferimento consente al lavoratore di guadagnare una pensione superiore rispetto al cumulo poiché i periodi assicurativi più risalenti nel tempo saranno valorizzati sulla base della retribuzione degli ultimi anni maturata nella cassa accentrante. In questi casi l’assicurato potrà ottenere il massimo profitto dai primi anni di assicurazione venendo tali annualità computate nella pensione in base alle retribuzioni più vantaggiose riferite agli ultimi anni di carriera. Il calcolo, però, se effettuato al momento del pensionamento rischia di risultare costoso per via dell’alto costo della riserva matematica a meno che l’assicurato abbia parecchi contributi da portare in detrazione dell’onere. Se la domanda è stata fatta molti anni prima il costo è sicuramente più vantaggioso.
    Quando conviene il cumulo
    Per contro, quando il lavoratore ha avuto una carriera discontinua con retribuzioni decrescenti negli ultimi anni di lavoro a causa di disoccupazioni, integrazioni salariali o lavori precari il cumulo può risultare più conveniente della ricongiunzione. In tal caso, infatti, l’assicurato potrà salvaguardare il sistema di calcolo della gestione in cui ha contribuito quando aveva retribuzioni migliori. Evitando così una ricongiunzione che pur probabilmente gratuita risulterebbe peggiorativa della misura dell’assegno.
    La scelta è condizionata anche da un altro fattore: la presenza di contribuzione nella gestione separata dell’Inps. I periodi assicurativi nella gestione dei collaboratori di cui alla legge 335/1995 non possono essere mai valorizzati tramite la ricongiunzione ma solo con il cumulo. Pertanto un lavoratore che stia tentando la strada del pensionamento anticipato con 42 anni e 10 mesi (41 anni e 10 mesi le donne) e per farlo abbia bisogno della contribuzione versata nella gestione dei parasubordinati potrà farlo esclusivamente tramite il cumulo.
    Bisogna tenere presente, inoltre, che non tutte le prestazioni pensionistiche sono conseguibili con il cumulo. Ne sono escluse l’opzione donna ed il canale di pensionamento dedicato ai lavori notturni ed usuranti previsto dal Dlgs 67/2011. Per conseguire queste prestazioni l’assicurato dovrà necessariamente procedere ad una ricongiunzione se non raggiunge i requisiti contributivi (35 anni) in una sola cassa.


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    Quota 100, per Salvini non deve finire ma Brunetta lo gela: solo propaganda. A rischio pure Opzione Donna


    La fine del 2021 si porterà via “Quota 100”, la forma di anticipo previdenziale introdotta dal primo governo Conte per accompagnare verso il pensionamento i lavoratori con almeno 38 anni di contributi e 62 anni di età. Sulla scadenza naturale del provvedimento, a tre anni dal varo, non si è mai detta d’accordo la Lega, che assieme al M5s lo aveva approvato. E ora che il Carroccio è tornato al governo, torna sull’argomento.
    Salvini: confermiamo Quota 100
    “Tra le priorità della Lega nella prossima manovra finanziaria c’è quella di confermare “Quota 100”, almeno per un altro anno.
    “Faremo le barricate davanti al Parlamento per difenderla”, ha detto a Benevento il leader della Lega, Matteo Salvini.
    Nella maggioranza, però, il pensiero prevalente è un altro. A rappresentarlo è stato il ministro della Pubblica amministrazione Renato Brunetta, che in un’intervista alla Stampa ha detto che il leader della Lega fa “solo propaganda”.
    Brunetta: solo un’invenzione di Salvini
    “L’idea di Salvini di prorogare per un anno “Quota 100” è una sua invenzione, non ne abbiamo mai discusso”. Per il ministro forzista, “la posizione del segretario della Lega sul Green Pass è assolutamente irrazionale”.
    Dopo avere citato lo studio dell’Ocse sul “costo spaventoso” della misura, il numero uno della Funzione Pubblica ribadisce che “la proposta di Salvini è pura invenzione. Non ne abbiamo mai discusso a nessun livello, né in Consiglio dei ministri, né col mio collega Orlando”.
    E anche lo stesso ministro del Lavoro Andrea Orlando sembra allineato a Brunetta. Tanto da essere già orientato a capire quali misure adottare dal 1° gennaio 2022. Si parla già, ad esempio, di Quota 102.
    Il ministro Orlando: allo studio i luoghi di lavoro
    Per il dopo “Quota 100”, dice Orlando durante un evento Cna a La Spezia, “una variabile non irrilevante è la disponibilità che avremo con la legge di bilancio e quella è una verifica che va fatta col mio collega del Mef”.
    E “quando metteremo mano al superamento di “Quota 100” dovremo tener conto delle condizioni sui luoghi di lavoro”, andando a focalizzare i “lavori gravosi, che sostanzialmente diminuiscono l’aspettativa di vita dei lavoratori”.
    Sinora nella categoria dei lavori logoranti della scuola sono stati collocati solo gli operatori dei nidi e le maestre della scuola dell’Infanzia: hanno avuto accesso all’Ape Social (via da 62 anni con riduzioni sull’assegno quasi inesistenti). Ma dalla primaria in su ci si è fermati alla richiesta dei sindacati di comparto.
    Pensare a chi la pensione non l’avrà
    L’impressione è che anche stavolta non ci si discosti da quella strada. Le attenzioni sono altrove: sempre il ministro Orlando ha sottolineato anche che bisognerà iniziare a pensare anche “al fatto che si stanno preparando tempi nei quali ci sono persone che andranno in pensione ampiamente al di sotto della soglia di povertà, bisogna iniziare a rifletterci oggi, è un tema che va messo sul tavolo ora”.
    Poi c’è il problema dei giovani: il ministro del Lavoro ha sottolineato che di pensioni si parla “solo guardando a chi manca 3-4 anni, dobbiamo iniziare a far partecipare a quel tavolo anche quelli che in pensione ci andranno tra vent’anni che rischiano di non avere semplicemente una pensione”.
    Anche Opzione Donna nel mirino?
    Certo, nella scuola c’è un nucleo di docenti, Ata e presidi che non si rassegna: sarebbe ben contento di vedere confermata “Quota 100”. L’alternativa, infatti, rimane solo la dispendiosa Opzione Donna, rivolta al solo sesso femminile peraltro anch’essa a rischio estinzione, oppure lasciare dopo circa 42 anni di contributi o a 67 anni di età.
    Bisogna fare i conti con la realtà: la stessa Unione europea avrebbe non poco da ridire in caso di allentamento della riforma Monti-Fornero di una decina di anni fa.
    a spingere per cancellare non è solo quasi tutta la maggioranza. Qualche giorno fa, dalla ‘Italy Survey’ dell’Organizzazione per lo sviluppo economico, presentata in videoconferenza fra Roma e Parigi, si è ribadito che “Quota 100” va “lasciata scadere a fine anno”. E anche l’altro anticipo ‘Opzione Donna’, riservato alle lavoratrici, proprio al fine di riequilibrare la spesa pensionistica.
    Sindacati già rassegnati: pensiamo al dopo
    Pure i sindacati se ne sono fatta una ragione: secondo il segretario confederale della Cgil Roberto Ghiselli, “dopo “Quota 100” è necessario individuare delle misure che rendano più sostenibile socialmente il sistema, sulla base delle richieste contenute nella piattaforma presentata al Governo dal sindacato”.
    “Il Ministro Orlando si era impegnato a convocare il sindacato nei primi giorni di settembre ed è grave che ancora non lo abbia fatto”: un silenzio che lascia spazio alle ipotesi, comunque sempre più pallide, di riconferma del meccanismo che quest’anno nella scuola ha permesso di far lasciare il lavoro a diverse migliaia di dipendenti.



    Tecnica della scuola
    "L'esperienza è maestra di vita"



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