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Discussione: In pensione con 40 anni, più due

  1. #151
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    Pensioni, sempre più basse sempre più lontane



    Già oggi due assegni mensili su tre stano sotto i 750 euro. Per i giovani lavoratori prospettive da brividi, per via del sistema contributivo più sfavorevole: dopo 40 anni di contributi, rischiano di andare in pensione con la metà dell’ultimo stipendio. La stima contenuta nel “simulatore” on line predisposto dall’Inps. Cesare Damiano (Pd): urge una riflessione complessiva sulla previdenza.
    Quello delle pensioni, assieme al blocco degli stipendi degli statali, continua ad essere il leit motive degli ultimi anni. Stavolta a rianimarlo, sono stati alcune notizie pervenute negli ultimi giorni: la prima è stata resa pubblica dell’Inps, che ha comunicato i dati relativi alle pensioni vigenti al primo gennaio 2015 e liquidate nel 2014: ebbene, il 64,3% delle pensioni degli italiani hanno un importo inferiore a 750 euro. Non è un dato completo, intendiamoci, perché non sono pochi i beneficiari di più pensioni. Ma i numeri emessi dall’Inps sono sufficientemente significativi per comprendere il ridimensionamento complessivo che le pensioni hanno subìto nell’ultimo periodo.
    Un’altra notizia di rilievo sul tema riguarda la sentenza della Corte Costituzionale, secondo cui per il 2012 e 2013, non sarebbe stato giustificato, anche se in presenza della “contingente situazione finanziaria”, applicare sui trattamenti pensionistici di importo superiore a tre volte il minimo Inps il blocco della perequazione: quel meccanismo è incostituzionale, ha detto la Consulta, bocciando quindi l’articolo 24 del decreto legge 201/2011. “L’interesse dei pensionati, in particolar modo i titolari di trattamenti previdenziali modesti, è teso alla conservazione del potere di acquisto delle somme percepite, da cui deriva in modo consequenziale il diritto a una prestazione previdenziale adeguata. Tale diritto, costituzionalmente fondato, risulta irragionevolmente sacrificato nel nome di esigenze finanziarie non illustrate in dettaglio”, si legge nella sentenza 70 della Consulta. Oltre che a dare ragione ai ricorrenti, la sentenza rischia ora di mettere in seria crisi le casse statali: per l’Avvocatura dello Stato, sarebbe di circa 1,8 miliardi per il 2012 e circa 3 miliardi per il 2013 il computo di soldi sottratti ai pensionati.
    Intanto, ed ecco la terza notizia, dal primo maggio, una prima fetta di lavoratori italiani ha la possibilità di ottenere gratuitamente e on line il computo del loro futuro assegno pensionistico: possono conoscere, in pratica, l‘entità della pensione maturata e gli anni di contributi ancora da versare per il raggiungimento dei requisiti minimi di accesso. Grazie al simulatore digitale interattivo messo a disposizione dall’Istituto nazionale di previdenza sociale, in questa prima fase potranno accedere al servizio, connettendosi al sito www.inps.it (link ‘La mia pensione’), solo i dipendenti con meno di 40 anni, già in possesso del pin Inps (richiesto sempre al portale dell’ente, che ne rilascia una prima parte subito e la rimanente via e-mail) e che abbiano versato almeno 5 anni di contributi.
    Da giugno, si darà accesso agli under 50. L’obiettivo dell’Inps, scrive il Corriere della Sera, è “rendere possibile la simulazione della pensione a quasi 18 milioni di lavoratori dipendenti, artigiani, commercianti e parasubordinati. Nel 2016 l’operazione verrà estesa prima ai lavoratori domestici e a quelli agricoli e infine ai dipendenti pubblici. Al termine del 2016 il simulatore andrà a regime e sarà accessibile da tutta la platea degli iscritti all’Inps, circa 23 milioni e mezzo di lavoratori”. Il sistema di calcolo permetterà al lavoratore, attraverso pochi passaggi, di individuare il proprio conto contributivo e “verificare se ci siano anomalie ed errori e segnalarli”.
    “Purtroppo – scrive l’Anief – , per moltissimi dipendenti, in particolare i più giovani e coloro che non possono vantare un altissimo numero di anni utili, il risultato del simulatore si rivelerà a dir poco traumatico: anche se le “stime vengono elaborate in moneta costante ipotizzando lo scenario base, cioè un aumento della retribuzione dell’1,5% l’anno e così del Pil”, potranno appurare che l’importo che percepiranno una volta raggiunta la pensione non sarà molto più alto dell’attuale assegno sociale. E anche per chi lascerà il servizio con 40 anni di lavoro non andrà molto meglio: nella maggioranza dei casi, andrà in pensione con la metà e anche meno dell’ultimo stipendio”.
    “Il loro assegno di quiescenza – continua il sindacato di origine siciliana – non avrà nulla a che vedere con l’ultimo stipendio, come invece accadeva con il sistema retributivo. Ecco un esempio pratico: chi è nato nel 1990 e inizia a lavorare ora, potrebbe andare in pensione, dopo i 70 anni, con appena 400-500 euro (33% dell’ultimo stipendio). La beffa è dovuta al fatto che il sistema contributivo attuale prevede un’incidenza sull’accontamento previdenziale decisamente più sfavorevole al lavoratore rispetto ai modelli pensionistici precedenti”.
    Insomma, le pensioni future sembrano davvero orientate al forte ridimensionamento. Ce ne è abbastanza perché il governo debba aprire “un tavolo di confronto sul tema della previdenza per non doverlo affrontare un pezzo alla volta”: a chiederlo Cesare Damiano (PD), presidente della Commissione Lavoro alla Camera, che ha presentato da diverso tempo un ddl per correggere i tanti limiti inclusi nella riforma Fornero.
    “Risulta ormai evidente – dice Damiano – la necessità di una riflessione complessiva sulla previdenza che porti ad una correzione della “riforma” Fornero. I capitoli sui quali intervenire – spiega – sono molteplici: l’introduzione di un criterio di flessibilità che consenta di uscire dal lavoro in modo anticipato; le ricongiunzioni pensionistiche; la “Quota 96” degli insegnanti; una nuova indicizzazione delle pensioni che tenga conto della sentenza della Corte, per citare alcuni temi. La strategia della trasparenza adottata dall’INPS dovrebbe anche prevedere di rispondere a domande rimaste finora inevase: quanti sono gli “esodati” non compresi nei 170 mila lavoratori finora salvaguardati? Quante sono le risorse destinate alla previdenza e quante all’assistenza? Quali sono i fondi in attivo e quali in passivo? Tutti questi interrogativi servono a testimoniare la complessità della situazione. Facciamo tesoro degli errori del recente passato ed evitiamo di procedere a strappi e – auspica Damiano – senza una visione d’insieme”.


    tecnica della scuola
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  2. #152
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    Pensioni. Per favorire turnover si penalizza lavoratore



    È di queste ore la notizia che il Governo sta seriamente pensando di modificare le tante norme illogiche approvate con l’ultima riforma pensionistica dell’Esecutivo del premier Monti. Il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti: stiamo predisponendo «interventi normativi finalizzati a prevedere forme di flessibilità di pensionamento che possano, così, favorire il ricambio generazionale».
    Solo che al trattamento pensionistico sarà applicata una riduzione sulla quota calcolata con il sistema retributivo pari ad una certa percentuale per ogni anno mancante all'età di vecchiaia.
    Anief-Confedir ritiene che il fine, sicuramente nobile, di mandare in pensione i lavoratori italiani, dopo una vita di lavoro, non può giustificare il mezzo: bisogna necessariamente trovare altri canali per finanziare il diritto di un dipendente a lasciare l’occupazione dopo aver versato 40 anni di contributi.
    L'introduzione di un regime di uscita dal mondo del lavoro flessibile, più ragionevole e vicino a molti paesi moderni, si baserebbe su delle penalizzazioni legate all’età anagrafica e alla copertura contributiva assicurata dal lavoratore. In poche parole, questa ipotesi, riporta sempre la stampa, “dovrebbe prevedere che al trattamento pensionistico venga applicata una riduzione sulla quota calcolata con il sistema retributivo pari ad una certa percentuale per ogni anno mancante all'età di vecchiaia”.
    Si tratta di un modello non molto lontano da quello già proposto, sempre alla Commissione Lavoro della Camera, dai ddl 857 e 2945, che hanno come primo firmatario l'ex-ministro del Lavoro, Cesare Damiano (Pd): l’ipotesi è quella di permettere l’uscita dal lavoro a 62 anni e con 35 anni di contributi (quindi di attuare una quota 97) con penalizzazioni dell’8% sull’assegno pensionistico, già ridotto all’osso.
    Ma le soluzioni di uscita dal lavoro, sempre all’esame del Governo, non finiscono qui: si sta studiando anche una sorta di assegno di quiescenza anticipata alternativo alle prestazioni di sostegno al reddito.: questo strumento – ha detto Poletti – consentirebbe “ai lavoratori dipendenti la possibilità di percepire un assegno temporaneo fino al perfezionamento del diritto alla pensione di vecchiaia, con successiva restituzione da parte del pensionato della somma complessivamente percepita”. Inoltre, “per il reperimento delle risorse necessarie a finanziare tali interventi il Ministro ha indicato che si può anche valutare di reintrodurre il divieto di cumulo fra redditi da pensione e redditi da lavoro”.
    Per il sindacato di tratterebbe sicuramente di una modifica rilevante: il problema è che, però, se si attuasse questo modello di riforma, a pagare sarebbero sempre i lavoratori. Anief-Confedir ritiene che il fine, sicuramente nobile, di mandare in pensione i lavoratori italiani, dopo una vita di lavoro, non può giustificare il mezzo: bisogna necessariamente trovare altri canali per finanziare il diritto di un dipendente a lasciare l’occupazione dopo aver versato 40 anni di contributi. Un eventuale penalizzazione, se proprio necessaria, dovrebbe essere circoscritta al raggiungimento dell’anno di maturazione “naturale” del pensionamento. Ai contributi versati, infatti, deve corrispondere il corrispondente assegno di pensione, senza alcune riduzione.
    “Riteniamo inammissibile – sostiene Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir – che si cambiare le regole ad ogni legislatura senza pensare che a subirne gli eventi ci sono lavoratori in carne ed ossa.
    Vale la pena ricordare che nell’ultimo quinquennio, le riforme sulla quiescenza hanno allungato di dieci anni l'età pensionabile: dal 2050, i neo-assunti potranno andare in pensione dopo 70 anni o 46 anni e mezzo di contributi. E dal primo gennaio 2016, avremo un peggioramento della situazione, per via del decreto interministeriale, Mef e Ministero del Lavoro, sottoscritto ad inizio anno, che posticiperà di ulteriori quattro mesi l’età e i requisiti per lasciare il lavoro. Ma altrove non ci sono queste condizioni: ancora oggi in Germania gli insegnanti hanno diritto all’assegno di quiescenza con soli 27 anni di contributi e senza decurtazioni”.
    Anche in Francia l’età minima di pensionamento pur essendo stata innalzata è comunque stata fissata a 62 anni. Mentre ci sono altri paesi – come Polonia e Cipro – dove l’età minima per lasciare il lavoro in cambio di una pensione piena al completamento del numero di anni di servizio svolti, sempre senza decurtazione, è fissata addirittura a 55 anni. E diversi altri, tra cui Belgio, Danimarca, Irlanda, Grecia, Spagna, Lussemburgo (pag. 93 dell’ultimo Rapporto Eurydice della Commissione europea ‘Cifre chiave sugli insegnanti e i capi di istituto in Europa’), dove, allo stesso modo, è possibile ottenere “una pensione piena al completamento del numero di anni di servizio richiesti”.
    Solo in Italia, nell’ultimo quinquennio, le riforme sulla quiescenza hanno allungato di dieci anni l'età pensionabile: tra 15 anni, nel 2030, si potrà accedere alla pensione di vecchiaia solo oltre i 68 anni; dal 2050, i neo-assunti potranno andare in pensione dopo 70 anni o 46 anni e mezzo di contributi. Mentre per accedere all’assegno di quiescenza anticipato bisognerà aver versato attorno ai 44 anni di contributi.
    “Tutto nasce – continua Pacifico - dal mancato rispetto del principio della parità retributiva essendo la pensione una retribuzione differita. Tutto questo avviene mentre l'Italia ha già superato il record mondiale di età dei docenti: più della metà ha più di 50 anni, solo lo 0,5% ne ha meno di 30. Prima la soglia, tra età anagrafica e contributi versati e utili, era Quota 96; fra qualche anno sarà 120, qualcuno parla addirittura di proiezioni vicine e Quota 130. Con 50 anni di contributi e 80 anni di età, considerato che si accede ormai alla professione, in media, non prima dei 30 anni. E questo perché lo Stato paga soltanto contributi figurativi, mentre trattiene una quota nelle buste paga per corrispondere le pensioni”.
    Nel comparto scuola la situazione è da allarme rosso: l’anno scorso abbiamo assistito al dimezzamento dei pensionamenti, dovuto proprio agli effetti della riforma Fornero. In attesa di avere i dati certi sui prossimi pensionati, la certezza è che da tanti anni in Italia l’unico criterio che è prevalso nel modificare le norme sull’accesso alla pensione è stato quello della salvaguardia dei conti pubblici. Proprio con la riforma Fornero si è andati a tirare fuori dal “cilindro” la speranza di vita: sostenendo, in pratica, che poiché si vive più a lungo (le donne oltre gli 85 anni) occorre andare in pensione più tardi. Ma qualora le aspettative crescenti non dovessero realizzarsi, si è anche provveduto ad introdurre una salvaguardia, sempre a tutela dello Stato e non certo dei lavoratori: dal 2022, infatti, la Legge 224/2011 prevede che comunque l’età di pensionamento, per tutti, non potrà essere inferiore ai 67 anni.
    Le prospettive sui requisiti sull’accesso al pensionamento anticipato sono da incubo: tra 15 anni, nel 2030, si potrà accedere alla pensione di vecchiaia solo oltre i 68 anni; mentre per accedere all’assegno di quiescenza anticipato bisognerà aver versato attorno ai 44 anni di contributi. E i pochi fortunati che possono lasciare prima, si vedono quasi sempre decurtare l’assegno pensionistico di cifre non indifferenti, anche del 25 per cento. E siccome “per più di quattro pensionati su dieci l'assegno non arriva neppure a mille euro al mese”, oltre la metà (il 52%) delle donne, è evidente che in questo modo si sta andando sempre più verso un Paese a rischio povertà in età avanzata. Non dimentichiamo, infatti, che il potere d’acquisto delle pensioni è in caduta libera: in 15 anni è diminuito del 33%. Per questi motivi, Anief-Confedir non starà certo a guardare.



    Orizzontescuola
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    Riforma pensioni e flessibilità: ecco il testo del ddl Sacconi


    La legge delega sulla riforma pensioni depositata la scorsa settimana dal Presidente della Commissione Lavoro al Senato presenta nuovi dettagli e nuove ipotesi sulla flessibilità in uscita dal mondo del lavoro.
    Vediamo nel dettaglio cosa prevede il ddl depositato

    Pensioni a patire da 62 ani di età e 35 anni di contributi
    Penalizzazione massima 8%
    Sconto fino a 2 anni per le lavoratrici madri
    Per coloro che hanno raggiunto l’età pensionabile o che assistono familiari con disabilità possibilità di ricorrere al part time
    Sacconi ricorda che con questa legge delega si voglio superare le problematiche e le rigidità introdotte nel 2011 dalla riforma Fornero. La proposta rispecchia quelle che sono state le varie proposte presentate al Parlamento in questi ultimi anni e che hanno riscosso la maggior condivisione.

    I punti cardine delle Riforma pensione proposta sono, dunque:
    Pensioni flessibili
    La flessibilità va attuata senza creare un ulteriore deficit nel bilancio pubblico e si tradurrà nella possibilità di accedere alla pensione con almeno 62 anni di età e 35 anni di contributi. Si tratta di una sorta di quota 97 con una decurtazione massima sull’assegno previdenziale dell’8%. Con l’avvicinarsi all’età pensionabile in vigore l’entità della penalizzazione si riduce man mano. La legge delega prevede, comunque, che per ogni anno di anticipo la riduzione non debba essere superiore al 2%, penalizzazione che sarebbe eliminata al raggiungimento dei 66 anni, quindi.
    Benefici per lavoratrici madri
    Il disegno di legge prevede la valutazione doppia dei periodi di astensione dal lavoro per maternità e puerperio (massimo due anni) e di per ogni evento di parto 6 mesi di contribuzione figurativa. Questo per riconoscere specifici benefici previdenziali alle lavoratrici madri.
    Assistenza a familiari
    Il governo deve incentivare gli impegni assunti dai lavoratori per la cura e l’assistenza di familiari con disabilità permettendo il ricorso al contratto di lavoro part time e predisponendo un piano volto al prolungamento della vita attiva che valorizzi le competenze acquisite dai lavoratori più anziani che possono fare attività di tutoraggio e di affiancamento con i neo assunti.


    orizzontescuola
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  4. #154
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    Riforma pensioni: con il contributivo penalizzati under 40, assegno dimezzato a fine carriera


    Nella scuola si guarda con grande preoccupazione alla riforma della pensione soprattutto in virtù del fatto che con un ricalcolo interamente contributivo dell’assegno i più penalizzati sarebbero gli under 40.
    Per quanto riguarda la possibilità di andare in pensione con 62 anni di età e 35 anni ci contributo le maggiori preoccupazioni vertono sull’entità delle penalizzazioni.
    Dalle ipotesi che emergono da ogni parte che vorrebbero una penalizzazione pari al 2% per ogni anno di anticipo rispetto ai 66 anni e 7 mesi di età, fino ad un massimo dell’8%, sembrerebbe che il calcolo della pensione, sia con il metodo contributivo che con quello misto non sta provocando resistenze pregiudiziali, ma nel personale della scuola sono molte le preoccupazioni, soprattutto per chi decide di non usufruire della possibilità della pensione anticipata.
    Calcolo contributivo: quali preoccupazioni
    Per il personale la cui futura pensione sarà calcolata esclusivamente con il calcolo contributivo i motivi di preoccupazione sono molti. Vediamo in base alle fasce di età quali dovrebbero essere i calcoli del futuro assegno previdenziale calcolato sul metodo contributivo.
    Personale oggi in servizio compreso tra i 30 e 40 anni di età con 10 anni di contribuzione: trattamento pensionistico con il massimo di anzianità contributiva pari al 50% della retribuzione in godimento all’atto di cessazione del servizio.
    Personale oggi in servizio compreso tra i 40 e i 55 anni di età con anzianità contributiva compresa tra i 10 e 19 anni: trattamento pensionistico con il massimo di anzianità contributiva pari al 60% della retribuzione in godimento all’atto di cessazione del servizio.
    Personale oggi in servizio compreso tra 55 e 60 anni di età con anzianità contributiva compresa tra 20 e 25 anni: trattamento pensionistico con il massimo di anzianità contributiva pari ad una cifra compresa tra il 60 e il 65% della retribuzione in godimento all’atto di cessazione del servizio.


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  5. #155
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    Pensione scuola: istruzioni per le domande a partire dal 1 settembre 2015


    Con il messaggio 4162 l’INPS ha reso note le istruzioni per trasmettere i dati per i pensionamenti a partire dal 1 settembre 2015. Le istruzioni riguardano le cessazioni di servizio a partire dal 1 settembre nel comparto scuola e i relativi trattamenti di quiescenza.
    Come presentare domanda
    La domanda può essere presentata nei seguenti modi:
    direttamente dagli interessati in maniera autonoma, attraverso i servizi telematici del portale dell’INPS a cui si può accedere attraverso il proprio PIN identificativo
    rivolgendosi ai patronati
    Attraverso Contact Center integrato che si può raggiungere chiamando il numero 803164 da rete fissa o il numero 06164164 da rete mobile
    L’interessato dovrà comunicare all’INPS i dati necessari alla liquidazione e al pagamento della trattamento pensionistico e le istruzioni riguardano sia il personale docente che quello ATA ma anche gli insegnanti tecnico-pratici provenienti da enti locali.
    Procedura
    Per tutto il personale del comparto scuola che cesserà il servizio a partire dal 1 settembre 2015 i dati saranno trasmessi, in concomitanza con i rispettivi prospetti cartacei relativi alle pratiche, attraverso i flussi informatici direttamente dagli Uffici scolastici provinciali rispettando le seguenti scadenze:

    7 maggio
    21 maggio
    4 giugno
    18 giugno
    2 luglio

    Il flusso conterrà anche i dati del personale che ha trasformato il rapporto di lavoro a tempo parziale ai sensi del Dm numero 331/1997. Per questi soggetti la lavorazione nel sistema sarà possibile solo dopo aver ricevuto il cartaceo con l’indicazione della percentuale di part-time da applicare. La competenza alla lavorazione della pratica è attribuita alla sede provinciale dove è ubicata l’ultima sede di lavoro del pensionando.
    Il MIUR per consentire di individuare agevolmente l’ultima scuola di appartenenza, ha invitato le scuole a trasmettere in modo corretto i dati richiesti. La lavorazione della pratica, infatti, è di competenza della sede provinciale in cui è ubicata l’ultima sede di lavoro del pensionando, quindi l’ultima scuola di appartenenza.



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  6. #156
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    La pensione anticipata è il trattamento previdenziale previsto dall’INPS che può essere conseguito al di là dell‘età anagrafica da tutti i lavoratori dipendenti iscritti alla previdenza pubblica.
    Quali sono i requisiti per accedere alla pensione anticipata e quali lavoratori possono accedervi?
    L’unico requisito essenziale per il conseguimento della pensione anticipata è quello contributivo. La pensione anticipata è andata a sostituire la pensione di anzianità dal 2012. E’ stato eliminato il requisito dell’età anagrafica minima prevedendo un sistema di disincentivazione che riduce l’assegno previdenziale in base al tempo che manca al raggiungimento dell’età minima (62 anni).
    Possono conseguire la pensione anticipata tutti i lavoratori con un anzianità contributiva pari a 42 anni e 6 mesi per gli uomini e 41 e 6 mesi per le donne. Va ricordato che il requisito contributivo (inizialmente fissato, nel 2012 a 42 anni e 1 mese per gli uomini e 41 anni e 1 mese per le donne, si adegua negli anni alla speranza di vita dei lavoratori e dal 2013 il requisito va adeguato con cadenza triennale).
    Requisiti 2015

    Per i pensionamenti del 2015 con la pensione anticipata i contributi richiesti sono gli stessi del 2014:

    • Per gli uomini sono richiesti 42 anni e 6 mesi di contributi versati, pari aa 2210 settimane
    • Per le donne sono richieti 41 anni e 6 mesi di contributi versati, pari a 2158 settimane.

    Requisiti 2016

    Per tutti coloro che accederanno alla pensione anticipata dal 1 gennaio 2016 al 31 dicembre 2018 (salvo diversa indicazione derivante da norme e decreti emanati dal governo per cambiare tale dato contributivo) l’aspettativa di vita dei lavoratori porta il requisito contributivo ad aumentare di 4 mesi. Sono richiesti quindi

    • Per gli uomini 42 anni e 10 mesi di contributi versati pari a 2227 settimane
    • Per le donne 41 anni e 10 mesi di contributi versati peri a 2175 settimane

    Contribuzione

    Va ricordato che per raggiungere il requisito contributivo servono almeno 35 anni di contributi versati senza considerare i periodi di contribuzione figurativa derivanti, ad esempio, da periodi di disoccupazione indennizzata.
    Chi percepisce la pensione anticipata prima del compimento dei 62 anni di età avrà una penalizzazione sull’assegno previdenziale sull’anzianità contributiva maturata fino al 2011 pari al 2% per ogni anni di anticipo rispetto ai 60 anni e dell’1% per ogni anno di anticipo rispetto ai 62 anni.
    Portando l’esempio di un lavoratore che accede alle pensione anticipata a 59 anni, la penalizzazione sulle anzianità retributive maturate fino al 2011 è del 4%.
    La penalizzazione si applica in questo modo:

    • Per coloro che al 31 dicembre 1995 avevano un’anzianità contributiva pari a 18 anni, sulla quota di pensione maturata fino al 31 dicembre 2011
    • Per coloro che al 31 dicembre 1995 avevano un’anzianità contributiva inferiore ai 18 anni, sulla quota di pensione relativa all’anzianità contributiva maturata fino al 31 dicembre 1995.

    Penalizzazioni

    Le penalizzazioni non vengono applicate per tutti i lavoratori ce accedono alla pensione anticipata dal 1 gennaio 2015 al 31 dicembre 2017 poiché con la legge 190/2014 tale penalizzazione è stata sospesa

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    Riforma pensioni: donne in pensione a 70 anni senza interventi


    Maria Luisa Gnecchi, capogruppo del Pd nella Commissione Lavoro, parlando del decreto approvato alla Camera per la riforma delle pensioni, mette in allarme sull’età pensionabile delle donne che, senza interventi, potrebbe arrivare a 70 anni.
    La Gnecchi fa notare che con il decreto legge 65/2015 si sta procedendo verso la giusta direzione per risolvere i problemi legati alla riforma Fornero che, per salvare l’Italia dalla bancarotta ha attuato una manovra che è stata fatta passare come una riforma del sistema pensionistico. Sono state previste, per riparare ai torti provocati dalla manovra, sei salvaguardie che hanno permesso il pensionamento degli esodati con la normativa previgente alla riforma Fornero.
    La Gnecchi allarmisticamente fa notare, però, che se non si interviene a correggere le attuali distorsioni del sistema previdenziali tutte le donne che sono nel contributivo rischieranno di andare in pensione soltanto a 70 anni. Questo perché la manovra prevede che è possibile accedere alla pensione soltanto se il calcolo della stessa superi di 1 volta e mezza il minimo, quindi la pensione deve superare i 600 euro mensili.
    Pensione di vecchiaia
    Gli scaloni previsti dalla riforma Fornero già alzeranno nei prossimi anni in maniera molto brusca l’età pensionabile delle donne, soprattutto nel settore privato. Vediamo come si evolverà l’età pensionabile delle donne:

    2015
    Settore privato 63 anni 9 mesi
    Autonome 64 anni e 9 mesi
    Pubblico impiego 66 anni e 3 mesi

    2016-2017
    Privato 65 anni e 7 mesi
    Autonome 66 anni e 1 mese
    Pubblico impiego 66 anni e 7 mesi

    2018
    Per tutte 66 anni e 7 mesi

    2019
    Per tutte 66 anni e 11 mesi


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    Riforma pensioni: staffetta generazionale nelle pubbliche amministrazioni

    Dopo il si del Senato alla legge delega per la riforma della pubblica amministrazione sembrano esserci novità anche per quel che riguarda la riforma pensioni visto che il sì in via definitiva riguarda anche la staffetta generazionale nella Pa.
    Non sono ancora chiari i dettagli che riguarderanno questa forma di prepensionamento facoltativo che riguarderà tutti i dipendenti pubblici anche quelli della scuola, e per conoscere ulteriori dettagli bisognerà attendere che il governo, presumibilmente entro fine anno, eserciti la relativa delega.

    Si prevede, però, che a quei dipendenti cui mancano pochi anni al pensionamento sarà permesso su base volontaria di scegliere di richiedere il part time con riduzione oraria e retributiva. Con quanto risparmiato dal passaggio del contratto a tempo piano a part time la pubblica amministrazione dovrà attivare nuovi contratti di lavoro in favore dei giovani: ricambio generazionale appunto.
    Quello che non appare chiaro è dove i dipendenti pubblici troverebbero un vantaggio in questa scelta poiché sui loro portafogli peserebbe, oltre alla riduzione retributiva, anche il pagamento della differenza dei contributi da tempo pieno a tempo parziale.


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    Pensioni dipendenti pubblici: le penalizzazioni influiscono sulla buonuscita


    Dopo l’entrata in vigore del dl numero 90 del 2014 che ha modificato il potere unilaterale di risoluzione del rapporto di lavoro da parte della pa, e della Legge di Stabilità 2015 che ha fermato le penalizzazioni per coloro che accedevano alla pensione anticipata con meno di 62 anni di età fino al 31 dicembre 2017, arrivano precisazioni dall’Inps.
    Le precisazioni, contenute nella circolare 154/2015, riguardno le buonuscite dei dipendenti pubblici il cui termine di pagamento è sempre pari a 12 mesi dalla data di cessazione dal sevizio.
    Se i trattamenti pensionistici, però, sono colpiti dalle riduzioni percentuali per l’anticipo rispetto all’età di 62 anni, il termine di pagamento slitta a 24 mesi dalla cessazione del servizio.
    Con l’entrata in vigore del dl 90/2014 e della Legge di Stabilità 2015, però, viene meno il vincolo dell’età anagrafica per le pensioni anticipate, l’INPS sospende anche le indicazioni riguardanti i termini di pagamento forniti con il messaggio 8680 del 2014 che precisava, appunto, che per le pensioni colpite dalle penalizzazioni il termine di pagamento della buonuscita (Tfr o Tfs) slittava a 24 mesi invece dei consueti 6 o 12 mesi.
    Con il congelamento dell’applicazione delle penalizzazioni fino al 31 dicembre 2017 vengono ripristinati per tutte le pensioni i termini di 6/12 mesi per il pagamento delle buonuscite anche se l’INPS precisa che per i trattamenti di fine rapporti che conseguono a dimissioni da parte del lavoratore che matura diritto alla pensione anticipata resta fermo il termine di 24 mesi.

    Orizzontescuola
    "L'esperienza è maestra di vita"



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    Pensione anticipata, il Governo in procinto dire sì. Ma in cambio vuole il 10%

    Anche dal Governo giungono segnali d’apertura verso un'uscita anticipata di tre anni rispetto ai parametri della riforma Fornero, con penalizzazioni però piuttosto alte.

    Qualche settimana fa era stato il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, a dare una nuova speranza per tanti lavoratori attorno ai 60 anni d’età, sostenendo che la riduzione dei parametri di uscita dal lavoro sarebbe un ottimo viatico “per creare occupazione”.
    Ora, da Palazzo Chigi giungono ulteriori segnali nella medesima direzione: allo studio del Governo, vi sarebbe una sorta di conferma della nota “opzione donna”. Che consisterebbe nell’uscita anticipata a 62-63 anni per le lavoratrici (probabilmente però anche per i lavoratori) con 35 anni di contributi versati.

    Il prezzo da pagare, tuttavia, non sarebbe insignificante: considerando che con la riforma Fornero questa larga platea di dipendenti potrebbe lasciare non prima dei 65-66 anni, si tratterebbe di anticipare l’entrata in pensione di ben tre anni. Con l’assegno di quiescenza però decurtato di una cifra vicina al 10% (oltre il 3% annuo). Si tratterebbe, quindi, di una soluzione peggiorativa, in termini di “penale” da pagare rispetto al disegno di legge che ha come primo firmatario l’on. Cesare Damiano.

    E qui entra in gioco il via libera del Governo: perché Palazzo Chigi ha calcolato che siccome l’aspettativa di vita media in Italia si aggira sugli 82-83 anni, quei pensionati che accetteranno di lasciare il lavoro in anticipo alla lunga faranno spendere alla previdenza molti meno soldi. In media, in cambio di tre anni di pensione anticipata ve ne sarebbero altri 15 con assegno decurtato. Alla lunga, quindi, le casse dello Stato ne troverebbero giovamento.
    Buone nuove sarebbero in arrivo anche per gli esodati (che però nella scuola non vi sono), rimasti senza lavoro e non ricollocabili a pochi anni dal pensionamento: per loro sarebbe in arrivo un prestito pensionistico, un assegno di solidarietà da ridare indietro, a rate mensili, una volta andati in pensione.



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