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Discussione: 20 e-book reimpaginati in formato ePub (free)

  1. #11
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    De Roberto, Federico



    Proveniente da una nobile famiglia catanese, Federico De Roberto (nato a Napoli nel 1861) ebbe una prima formazione scientifica alla quale affiancò presto l'interesse per gli studi classici.
    Sin dai primi anni della sua carriera fu impegnato in collaborazioni con importanti riviste e quotidiani (Il Don Chisciotte, di cui fu direttore [1881-1883]; Il Fanfulla della Domenica, su cui si firmava Hamlet [dal 1882]; La Domenica Letteraria, Il Capitan Cortese, La Nuova Antologia, Il Giornale d'Italia, Il Corriere della Sera) e con alcune case editrici.
    Ebbe modo così di conoscere alcuni tra i maggiori esponenti della scena letteraria italiana come Giovanni Verga e Luigi Capuana con i quali strinse una saldissima amicizia. Nel 1890 durante un soggiorno milanese fu introdotto da Verga nella cerchia degli Scapigliati, conoscendo Praga, Boito, Giacosa e Camerana.


    Proprio qui a Milano cominciò a raccogliere materiale per il suo romanzo più famoso, I Vicerè (1894), in cui le vicende del risorgimento meridionale sono narrate attraverso la storia di una famiglia nobile.
    Sostenitore convinto della poetica naturalista e verista, De Roberto ne applica rigorosamente i termini, portando alle estreme conseguenze quegli aspetti di impersonalità del narratore e di osservazione rigorosa dei fatti che contribuiscono a volte ad appesantire la narrazione. Autore di numerosi romanzi e raccolte di novelle e racconti, nel 1919 scrisse una tragedia lirica, La Lupa, in collaborazione con Verga.
    Morì nel 1927 a Catania.




    colore del tempo (Il)





    Il testo è tratto da una copia in formato immagine presente sul sito The Internet Archive



    Documenti umani







    Il testo è tratto da una copia in formato immagine presente sul sito Biblioteca Nazionale
    Ermanno Raeli





    Illusione (L')








    Il testo è tratto da una copia in formato immagine presente sul sito The Internet Archive
    Dall'incipit del libro:
    "- Il nonno! Il nonno!... Arriva!... È qui!...
    Lasciata a precipizio la finestra insieme con Lauretta, ella si mise a correre per le stanze, gridò dinanzi all'uscio della mamma: "È arrivato!... È qui!..." scappò a dare l'allarme alle persone di servizio, e tornò verso la sala, chiamando:
    - Nonno!... Nonno!... Eccoci, nonno!...
    Il nonno, seguìto dal portiere e dal facchino con le valigie, era a mezza scala quando la vide scendergli incontro. Abbracciandola e baciandola sulle due guancie, esclamò:
    - Teresa!... Come stai? come sta la mamma?...
    "
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  2. #12
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    Homerus (Omero)



    Tutto ciò che si sa di Omero è leggenda. Incerto è il suo luogo di nascita: probabilmente la città di Chio, in Grecia, o quella di Colofone (in Asia Minore, nella moderna Turchia), oppure Smirne (sempre nella moderna Turchia), per anni la più quotata per motivi linguistici e culturali.
    Incerta è l'origine del suo nome, forse di etimologia non greca: potrebbe derivare da ho mè horôn, ossia "il non veggente" (la leggenda ci descrive infatti Omero come un aedo cieco), ma altri avanzano l'ipotesi che il suo significato sia quello di "ostaggio" oppure di "raccoglitore".
    Per quanto riguarda l'età in cui visse (e quindi l'epoca dell'Iliade e dell'Odissea), le date oscillano tra il XII e il VI secolo a. C., anche se le tesi più accreditate propendono per il VII o VIII secolo. Per Erodoto, invece, Omero sarebbe vissuto quattro secoli prima di lui, il che collocherebbe l'aedo indietro nel IX secolo. La maggior parte delle sue tarde (e fantasiose) biografie sono zeppe di notizie senza alcuna possibile corrispondenza con la realtà, come ad esempio l'aneddoto relativo alla sua gara poetica con Esiodo.
    Ad Omero, considerato il primo poeta epico, gli antichi attribuirono molte opere: oltre all'Iliade e all'Odissea egli avrebbe composto dei poemi ciclici (Tebaide, Epigoni, Ciprie, ecc.), una raccolta di inni, alcuni epigrammi e dei poemetti di genere giocoso. A nessuno venne in mente che Omero potesse non essere mai esistito finché, nel III secolo a. C., Zenodoto non sollevò dei dubbi circa la paternità di alcuni versi dell'Iliade e dell'Odissea, presto seguito da Ellanico e Xenone i quali, insospettiti dall'apparente disomogeneità linguistica ed ambientale che correva tra i due poemi, ipotizzarono che il secondo fosse stato composto da un ignoto aedo ben cento anni dopo il primo.
    Era l'inizio dei dibattiti e delle ricerche sulla cosiddetta "questione omerica", riguardante soprattutto la vera paternità dei due poemi epici a noi pervenuti, ma allargata anche ad altri quesiti, quali: Omero è esistito davvero? I due poemi fanno parte di un tutt'uno omogeneo? E se appartengono a più autori, in che modo sono stati composti e tramandati? Già Aristarco di Samotracia tentò di dare una spiegazione: l'Iliade e l'Odissea appartengono uno alla giovinezza e l'altro alla vecchiaia dello stesso autore (Omero, naturalmente).
    Col passare del tempo, però, le soluzioni non sembrarono più così a portata di mano e le correnti "unitaria" e "antiunitaria" (che sostenevano rispettivamente la tesi dell'autore unico e quella della pluralità di autori) si arricchirono delle ipotesi più variegate. G. B. Vico pensava che Omero non fosse mai esistito, ma che fosse semplicemente assurto a simbolo della poesia greca dell'età eroica, nonostante i due principali poemi di quest'ultima si dovessero a più autori. A sua volta Wolf prospettò l'ipotesi che, in assenza della scrittura e nell'impossibilità di mandare a memoria 28.000 versi, differenti aedi fossero stati latori di diversi canti, riuniti poi in forma di poemi epici nell'epoca di Pisistrato.
    A loro si aggiunse una visione "archeologica" dell'Iliade e dell'Odissea, che vennero concepite come un insieme di stratificazioni attribuibili ad epoche differenti o come ampliamenti da nuclei originari. Con il passare del tempo lo sviluppo delle lettere comparate, della filologia, dello studio della letteratura popolare e degli scavi archeologici (che confermerebbero l'esistenza della scrittura già in epoca micenea), ha dato vita alla corrente cosiddetta "neounitaria", la quale non nega l'esistenza di originari canti primitivi, ma allo stesso tempo afferma con forza l'unità dei due poemi in quanto composti da un singolo autore, che avrebbe raccolto i nuclei originari e li avrebbe ordinati in maniera personale utilizzando il dialetto ionico ed il verso esametro, vale a dire la lingua e la metrica dell'Iliade e dell'Odissea.
    A questa corrente si aggiunge l'interpretazione dell'Iliade e dell'Odissea come "enciclopedie tecnologiche", ossia come collezione di saperi e di pratiche oralmente tramandate, indispensabili alla coesione culturale. Al di là di tutte le possibili versioni, è quasi certo che Omero non sia mai esistito e che i due poemi siano stati tramandati da più aedi erranti.
    Ma, nonostante l'autore dell'Iliade e dell'Odissea si riduca ad un fantasma, rimane il mistero di una costruzione e di una sintesi che, probabilmente nel VI secolo, ordinarono la materia informe ed eterogenea dei racconti più antichi e ci tramandarono due opere dalla fortuna e dalla forza inestinguibili tra i greci come tra i romani (il primo a tradurre l'Odissea in metro saturnio fu Livio Andronico ed Ennio sostenne addirittura di essere la reincarnazione di Omero), passando per il Medioevo (tramite l'Omero latino) e per l'Umanesimo, su su fino ai giorni nostri, offrendo a chiunque voglia leggerle due storie rimaste miticamente e straordinariamente avvincenti.


    Iliade















    Odissea









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  3. #13
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    Dickens, Charles



    Charles Dickens nacque nel 1812 a Landport, Portsea (nei pressi di Portsmouth), dove visse un'infanzia estremamente povera ed infelice.
    Lavorò in una fabbrica di lucido da scarpe quando era poco più che un bambino ed in seguito fu commesso in uno studio legale.
    Il successo gli arrise quando, a 26 anni, venne pubblicato a dispense mensili il romanzo "Quaderni postumi del Circolo Pickwick", che lo rese immediatamente celebre nel panorama della narrativa inglese.
    La caratteristica principale dell'opera di Dickens, che conquistò sempre il favore del pubblico ma non sempre quello della critica, fu la sua capacità di cogliere con arguzia ed ironia gli aspetti più profondi della società vittoriana, opulenta e perbenista. Tipici dei suoi scritti sono quei personaggi, 'vittoriani' per l'appunto, diventati popolarissimi sia nel mondo anglosassone che al di fuori di esso, costituiti da ricchi borghesi e da aristocratici come da popolani e da prostitute.


    Charles Dickens, in quanto erede della grande tradizione del romanzo satirico e sentimentale del '700, intuì la forte carica patetica del suo tempo e la sfruttò a fondo, inventando, in pratica, il romanzo sociale moderno.
    Morì a Londra nel 1870.



    avventure di Nicola Nickleby (Le)








    note: Traduzione di Silvio Spaventa Filippi. Il testo in lingua originale è presente col numero 967 in Project Gutenberg. I romanzi "Oliver Twist" (1837-38) e "Nicholas Nickleby" (1838-39) consacrarono Charles Dickens all'attenzione del grande pubblico e della critica. Le due opere si legano allo scenario del primo industrialismo e ai suoi problemi sociali, denunciando duramente gli aspetti più cupi della società vittoriana, intrisa dei pregiudizi moralistici della borghesia urbana. In particolare, "Le avventure di Nicola Nickleby" è caratterizzato da un vivo senso dello humor e da una felice mistura di tragico e comico, assurdo e quotidiano.
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  4. #14
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    Leonardo : da Vinci



    Nato a Vinci (Firenze) nel 1452, figlio naturale del notaio Piero e di una contadina, fu accolto in casa del padre che non aveva avuto figli legittimi dai primi due matrimoni. Dal 1467 al 1476 approfondì la sua formazione artistica presso la bottega del Verrocchio a Firenze, interessandosi anche di matematica, meccanica e ingegneria.
    Nel 1482 fu chiamato a Milano da Ludovico il Moro; durante il soggiorno milanese si occupò degli allestimenti scenici per gli spettacoli teatrali della corte, oltre a dipingere alcuni dei suoi capolavori (la Vergine delle rocce e l'Ultima cena). Dopo la caduta di Ludovico nel 1499, Leonardo lavorò presso varie corti italiane: Mantova, Venezia, Firenze, Roma.
    Durante questi anni dipinse capolavori come la Gioconda. Nel 1517 accettò l'invito di Francesco I a lavorare per la corte francese. Gli fu assegnato il maniero di Clos-Lucé vicino alla reggia di Amboise; trascorse gli ultimi anni immerso negli studi, tra gli onori della corte. Morì nel 1519.
    Leonardo amava definirsi "omo sanza lettere": conosceva superficialmente il latino, ignorava completamente il greco e aveva appreso la maggior parte delle sue cognizioni attraverso i volgarizzamenti delle opere più importanti e attraverso l'aiuto di amici, il matematico e filosofo Pacioli e il medico Marcantonio della Torre. Si interessò soprattutto di meccanica, fisica, anatomia, filosofia naturale e lasciò una enorme quantità di appunti (si calcolano 5000 fogli).
    Oltre agli appunti tecnici e ai progetti di trattati, Leonardo scrisse anche numerosi apologhi, aforismi e favole che testimoniano un gusto arguto e uno stile vivace. Giunto a noi grazie alla compilazione dell'allievo Francesco Melzi, che si basò sui materiali del maestro, il Trattato della pittura è la sua unica opera organica. Si tratta di un grandioso tentativo di coordinare ogni scienza, ogni filosofia, ogni riflessione sulla scienza e sulla vita all'interno dell'ottica e delle esigenze del pittore.




    Aforismi, novelle e profezie







    :

    Scritti letterari







    Trattato della Pittura











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  5. #15
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    Leopardi, Giacomo



    Giacomo Leopardi nacque a Recanati il 29 giugno 1798, primogenito della più illustre casata del piccolo centro marchigiano. Il padre, austero e politicamente reazionario, fu, insieme con i precettori ecclesiastici, il suo primo insegnante.
    Ma l'ingegno precocissimo del giovane Giacomo e la sua estrema sensibilità, frustrati dalla freddezza parentale, lo indussero ben presto a riversare tutta la sua passione sui libri della biblioteca paterna (sette anni di studio "matto e disperatissimo") e ne fecero un fenomenale autodidatta, esperto in lingue classiche, ebraico, lingue moderne, storia, filosofia e filologia (nonché scienze naturali e astronomia).
    Divenne saggista e traduttore, specialmente di classici. Del 1816 fu il suo passaggio 'dall'erudizione al bello', ossia dallo studio alla produzione poetica, e nello stesso anno è da datare la sua missiva alla 'Biblioteca Italiana', con la quale il Leopardi difendeva le posizioni dei classicisti in risposta alla de Stäel. L'anno dopo avviò una fitta corrispondenza con Pietro Giordani ed iniziò la stesura dello Zibaldone; sempre in questo periodo si innamorò di Geltrude Cassi, alla quale dedicò la poesia Il primo amore.
    Il suo corpo, ormai minato dai molti anni di studio e di semi-volontaria reclusione, aveva già cominciato a mostrare i segni di quella deformazione alla colonna vertebrale che farà così soffrire il poeta, anche se la malattia, per il Leopardi, non rimase mai un motivo di lamento individuale ma si trasformò in uno straordinario mezzo di conoscenza. Del '18 sono le canzoni All'Italia e Sopra il monumento di Dante, nonché lo scritto Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica.
    L'anno seguente, il 1819, segnò un periodo di profonda crisi per il poeta: esasperato dall'ambiente familiare e dalla chiusura, soprattutto culturale, delle Marche, governate dal retrivo Stato Pontificio, il Leopardi tentò di fuggire da casa, ma il progetto venne sventato dal padre. A questo stesso periodo appartengono la composizione degli idilli L'infinito, Alla luna ed altri e la sua conversione 'dal bello al vero', con il conseguente intensificarsi delle sue elaborazioni filosofiche, tra cui la teoria del piacere.
    Nel 1822 il padre gli concesse un soggiorno al di fuori di Recanati e fu così che il poeta poté andare a Roma, ospite di uno zio. La città si rivelò estremamente deludente e, dopo aver invano tentato di trovarvi una sistemazione, il Leopardi nel 1823 fece ritorno nelle Marche, dove iniziò a comporre le Operette morali. Proprio le Operette segnarono la piena formulazione del 'pessimismo storico', che vedeva nell'uomo e nella ragione le vere cause dell'infelicità, e del 'pessimismo cosmico', che al contrario accusava la Natura di essere la fonte delle sventure umane, in quanto instilla nelle persone un continuo desiderio di felicità destinato ad essere sistematicamente frustrato.
    Nel 1825 riuscì a lasciare Recanati grazie all'avvio di una collaborazione con l'editore Stella che gli garantì una certa indipendenza economica: fu a Milano, Bologna (dove conobbe il conte Carlo Pepoli e pubblicò un'edizione di Versi), Firenze (dove incontrò il Manzoni e scrisse altre due operette morali) e Pisa (dove compose Il Risorgimento e A Silvia). Costretto a tornare a Recanati nel 1828, proseguì nella produzione lirica che aveva iniziata a Pisa con l'approfondimento delle tematiche della 'natura matrigna' e della caduta delle illusioni.
    Nel '30 uno stipendio mensile messogli a disposizione da alcuni amici gli permise di lasciare nuovamente Recanati e di stabilirsi a Firenze. Qui s'innamorò di Fanny Targioni Tozzetti (la delusione scaturita dall'amore per lei gli ispirerà il ciclo di Aspasia) e strinse amicizia col Ranieri. In risposta a chi attribuiva alla deformità la sua concezione pessimistica della storia e della natura, il Leopardi compose il Dialogo di Tristano e di un amico. Del '36 sono La Ginestra, Il tramonto della luna e probabilmente I nuovi credenti.
    Morì a Napoli il 14 giugno del 1837.





    Appressamento della morte






    Canti






    Discorso sopra la Batracomiomachia






    Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl'Italiani







    Guerra de' topi e delle rane (1821-1822)






    guerra dei topi e delle rane (La). Poema (1815)





    .
    Guerra dei topi e delle rane (1826)






    infinito (L')









    Operette morali







    pomeni della Batracomiomachia







    filosofia e bella letteratura




    .
    Storia di un'anima





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  6. #16
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    Machiavelli, Niccolò



    Niccolò Machiavelli nacque a Firenze il 3 maggio 1469.
    Nel 1498, a 29 anni, fu eletto Segretario della Repubblica, un incarico che gli fornì l'occasione di viaggiare spesso. Nel 1500, infatti, fu inviato presso Luigi XII di Francia e, nel 1502, andò in legazione presso Cesare Borgia.
    In questo periodo si batté per dotare la Repubblica Fiorentina di armi proprie. Dopo aver preso parte ad alcune ambascerie in Tirolo, a Monaco, in Francia e presso il conclave succeduto alla morte di papa Pio III, venne condannato ad un anno di confino: un effetto degli eventi che seguirono la decisione della Lega Santa di ripristinare la dinastia medicea a Firenze (Dieta di Modena, 1512). Fu questo uno dei suoi periodi più difficili, anche a causa del carcere e delle torture che un'accusa di tentata congiura antimedicea lo portò a subire.
    Nella seconda metà dell'anno compose "Il Principe", opera che Machiavelli offrì a Lorenzo de' Medici (nipote del Magnifico) tra il settembre del 1515 e lo stesso mese del 1516. Nel 1520, il cardinale Giulio de' Medici gli diede l'incarico di scrivere le "Istorie Fiorentine" per conto dello Studio pisano. Gli otto libri delle Istorie furono consegnati un anno dopo al nuovo committente, Clemente VII.
    Nel 1526, Francesco Guicciardini, suo intimo amico, tentò di mettere in scena una replica della sua commedia "La Mandragola", che però si risolse in un nulla di fatto. In seguito all'indebolimento di papa Clemente VII dopo il sacco di Roma (1527), a Firenze venne restaurata la Repubblica, ma Machiavelli non fu chiamato a ricoprirvi incarichi.
    Morì il 21 giugno dello stesso anno.


    asino (L')





    Favola di Belfagor arcidiavolo








    La novella "Favola di Belfagor arcidiavolo", conosciuta anche col titolo "Il demonio che prese moglie", fu scritta dal Machiavelli in data non certa, ma molto probabilmente compresa - secondo gli studiosi - tra gli anni 1518 e 1527. E' l'unica novella a noi nota scritta dal Machiavelli; fu pubblicata per la prima volta col nome del suo autore nel 1549.
    E-text del 18 dicembre 1997.


    Capitoli (I)





    Clizia








    decennali (I)








    Dell'arte della guerra







    Si tratta di una serie di discorsi, elaborati tra il 1519 ed il 1520, noti anche con il titolo di De re militari. Si sostiene in essi, tra le altre cose, la superiorità della milizia nazionale rispetto ad eserciti composti da truppe mercenarie.

    Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio







    Opera scritta tra il 1513 ed il 1517 circa, nella forma di un commento alla Storia di Roma dello storico Tito Livio. In essa Machiavelli, opponendosi alle idee dominanti del Medioevo, sostiene che le vicende umane dipendono dal capriccio della Fortuna piuttosto che da un ordine divino imperscrutabile.

    Discorso o dialogo intorno alla nostra lingua









    • Anzitutto un prologo, in cui Machiavelli si rallegra di avere finalmente ricevuto una lettera da Francesco Vettori, ambasciatore fiorentino a Roma, dopo un lungo silenzio.
    • Nella seconda parte egli descrive, con molta autoironia, le sue giornate "in villa", forzatamente dedicate ad occupazioni banali - il taglio della legna del suo bosco, la caccia, il gioco a carte nell'osteria del paese.
    • Nella terza parte il tono si eleva poiché egli descrive, con accenti ora appassionati ora solenni, il modo in cui trascorre le sue serate: quando, tornato a casa, spogliatosi "della veste cotidiana" e indossati "panni reali e curiali", egli entra nel suo studio e si dedica alla lettura degli storici dell'antichità, cibandosi di "quel cibo che solum è mio", cioè il sapere, la conoscenza.
    • Nella quarta parte egli informa che da queste letture ha tratto le nozioni utili per redigere "uno opuscolo De Principatibus", che "a un principe, e massime a un principe nuovo", dovrebbe essere gradito.
    • Nella quinta parte egli esprime i suoi dubbi quanto all'opportunità per lui di rientrare a Firenze, dove teme la situazione non gli sia ancora del tutto favorevole.
    • Nella sesta parte egli spiega cosa lo spinge a desiderare di rendere pubblico questo suo scritto: in parte la necessità economica, ma soprattutto l'ardente desiderio di rientrare nella vita politica, fosse anche solo per "voltolare un sasso", e di mettere a disposizione del mondo le conoscenze acquisite attraverso l'esperienza e gli studi.
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  7. #17
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    Manzoni, Alessandro Francesco Tommaso



    Alessandro Francesco Tommaso Manzoni (spesso più brevemente Alessandro Manzoni) nacque a Milano nel 1785 da una relazione extra-matrimoniale tra Giulia Beccaria e Giovanni Verri, fratello di Alessandro e Pietro (noti esponenti dell'Illuminismo). Immediatamente riconosciuto dal marito di Giulia Beccaria (Pietro Manzoni), entrò nel 1791 nel collegio dei Somaschi a Merate, dove rimase fino al 1796, anno in cui fu ammesso presso il collegio dei Barnabiti.





    Dal 1801 abitò col padre "ufficiale", a Milano, ma nel 1805 si trasferì a Parigi, dove risiedeva la madre insieme con il suo compagno, Carlo Imbonati, che morì nello stesso anno. Proprio in onore di lui il Manzoni compose il carme In morte di Carlo Imbonati. Rientrato a Milano nel 1807, incontrò e si innamorò di Enrichetta Blondel, con la quale si sposò con rito calvinista e dalla quale ebbe ben dieci figli (otto dei quali gli morirono tra il 1811 e il 1873).
    Il 1810 fu l'anno della conversione religiosa della coppia: il 22 maggio Enrichetta abbracciò la fede cattolica e, tra l'agosto ed il settembre, il Manzoni si comunicò per la prima volta. Dal 1812 lo scrittore compose i primi quattro Inni Sacri, che verranno pubblicati nel '15; l'anno seguente iniziò la stesura de Il conte di Carmagnola.
    Fu questo, per il Manzoni, un periodo molto triste dal punto di vista familiare (dati i numerosi lutti) ma molto fecondo da quello letterario: nei 2 decenni successivi (all'incirca fino al '38-'39) furono composti, tra gli altri, la Pentecoste, le Osservazioni sulla morale cattolica, la tragedia l'Adelchi, le odi Marzo 1821 e Cinque Maggio, le Postille al vocabolario della crusca e fu avviata la stesura del romanzo Fermo e Lucia, uscito nel '27 col titolo I promessi sposi, ma la cui seconda e definitiva stesura avverrà nel 1840, con la sua pubblicazione a dispense corredata dalle illustrazioni di Francesco Gonin.
    Nel 1833 gli morì la moglie, nel '37 sposò Teresa Borri e nel '48 venne arrestato il figlio Filippo: fu proprio in questa occasione che il Manzoni scrisse l'appello dei milanesi a Carlo Alberto. Di due anni dopo è la lettera al Carena Sulla lingua italiana. Tra il 1852 e il '56 fu in Toscana. La sua fama di letterato, di grande studioso ed interprete della lingua italiana si andava sempre più consolidando: fu così che nel 1860 fu nominato Senatore del Regno, una nomina a cui, un anno dopo, seguì un'altra morte, quella della seconda moglie. Nel 1862 venne incaricato di prendere parte alla Commissione per l'unificazione della lingua e sei anni dopo presentò la relazione Dell'unità della lingua e dei mezzi per diffonderla.
    Nel 1873, morì a Milano, venerato come il letterato italiano più rappresentativo del secolo e come il padre della lingua italiana moderna




    promessi sposi (I)



    La prima edizione è del 1827, l'edizione definitiva del 1840. Assegnando agli umili il ruolo di protagonisti, lo scrittore immagina, in una trama semplice ma fitta di occasioni romanzesche, personaggi "viventi" ed esemplari al tempo stesso, e scopre nelle tragiche contraddizioni del Seicento le chiavi di un'interpretazione socio-politica del presente da proporre ai suoi contemporanei. I soprusi dei potenti, la carestie e le guerre, la peste, tutti gli accadimenti del racconto risultano integrati e risolti nella chiara e malinconica visione provvidenziale dei giusti (padre Cristoforo, il cardinale Federigo), nel buonsenso di Renzo e Lucia, nell'insondabile tristezza dell'Innominato
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    Salgari, Emilio



    Emilio Salgari nacque a Verona, il 21 agosto 1862, da una famiglia di modesti commercianti.
    Seguì inutilmente un corso per diventare capitano di marina, occasione che gli fruttò il primo ed unico imbarco, che fra l'altro lo portò solamente lungo le sponde dell'Adriatico. L'uomo che tanto scrisse di paesi esotici e lontani, dunque, in realtà non li vide mai.
    Nel 1883 iniziò a pubblicare sul "La Nuova Arena" il romanzo "La Tigre della Malesia", che gli fruttò molto successo, ma scarsissimi introiti. L'incapacità di gestirsi finanziariamente e una sua buona dose di ingenuità sarà una costante della sua vita.
    Libro parlato



    Nel 1884 pubblicherà, sempre a puntate, "La favorita del Mahdi", che diventerà poi il suo primo libro. Nel 1892 sposò l'attrice di teatro Ida Peruzzi, da cui ebbe quattro figli. Si trasferirà poi a Torino, lavorando con contratto fisso per l'editore Speirani, pubblicando circa 30 titoli tra il 1892 ed il 1898. Nel 1897 re Umberto lo nominò "Cavaliere della Corona". Nel 1898 si trasferirà ancora a Genova per lavorare con l'editore Antonio Donath.
    Malgrado i successi, a lui, incapace di gestirsi, restavano solo le briciole, mentre aumentavano i debiti, anche per via dell'assistenza che dovette dare alla moglie che nel frattempo era impazzita. Tentò un suicidio nel 1910, ma fu salvato. Si suicidò a Torino, il 25 aprile 1911, oppresso dai debiti e dalle disgrazie familiari, squarciandosi il ventre e la gola con un rasoio, imitando il suicidio rituale dei samurai giapponesi. Lascerà una lettera per i figli, e una, sprezzante, agli editori, ai quali chiese, almeno, di pagare il suo funerale.
    Fu autore di oltre duecento romanzi e racconti di avventure esotiche, autentici classici della letteratura per ragazzi. In particolare possiamo ricordare i romanzi come "I misteri della jungla nera", "Le tigri di Mompracem", "Sandokan alla riscossa", "Il Re del Mare", "I Pirati della Malesia", "Il Figlio del Corsaro Rosso", "Jolanda, la figlia del Corsaro Nero".




    Alla conquista della luna








    Alla conquista di un impero








    Attraverso l'Atlantico in pallone









    boa delle caverne (Il)







    brick maledetto (Il)










    Bramino dell'Assam (Il)









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  9. #19
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