Viaggio nella Pisacane, l'elementare con il 97% di iscritti stranieri. Solo le maestre sono bianche e italiane, tutte donne e anche meridionali. Qui Yuri è italiano e Francesco è immigrato. Due forme diverse di colonizzazione.

ROMA - Il bambino del Bangladesh si chiama Marco e quello italiano si chiama Nick, ma sottosopra qui non c'è solo l'onomastica, perché è Nick la minoranza etnica in questa scuola di Torpignattara dove in Prima B non c'è neppure un italiano e in Prima A ce ne sono solo due. Eppure, a guardare in superficie, Roma qui ritrova l'universo e il 'multiverso', e forse pure la sua antica storia di città e di capitale del mondo. Tuttavia, quando li vedo uscire tutti insieme, i 140 bimbi della Pisacane, capisco che in realtà qui Roma non c'è. E infatti, sull'altro marciapiedi, Fabio, che abita nella via Policastro e di mestiere fa il gommista, mi dice che lui tre anni fa ce li ha levati i figli, "col cavolo che ce li tenevo, li ho portati al Pigneto, che è un quartiere di sinistra come me, ma senza tutti questi neri che, intendiamoci, a me non mi fanno mica effetto, anche se alcuni sono, senza offesa per nessuno, un poco troppo neri... ".
Anche Marco Mehiabin, che fa la quarta elementare, parla come lui e vede i colori allo stesso modo, ma il sentimento è completamente diverso: " È la scuola più bella del mondo, ma è un peccato che non ci sono i miei amici italiani, non quelli italiani come noi che siamo neri, ma gli italiani italiani come Michele, il figlio del fioraio, che adesso va a scuola alla Deledda. Ho chiesto a papà se mi ci porta pure a me, alla Deledda dico".
Alle 4 e un quarto, quando suona la campana, sulla brutta via di Acqua Bulicante, un lunghissimo serpentone di palazzoni e di automobili che arriva sino all'Appia, si libera uno sciame spettacolare e bellissimo di bambini con gli occhi a mandorla, la pelle bruciata dei sudamericani, gli occhi verdi e gli zigomi puntuti dei polacchi, e poi le mamme con gli abiti rossi del Bangladesh, i veli islamici, il nero brillante dell'India e quello compatto dell'Africa. Solo le maestre sono bianche e italiane, e sono tutte donne, ed è questo un tema che forse dovrebbe appassionare il femminismo.
Domando ad Amin, che si esprime meglio in inglese, vive qui dietro, e cerca un lavoro - "Scrivilo sul giornale: non ho preclusioni" - cosa pensa lui delle maestre, se insomma non gli piacerebbe di più se ci fosse anche qualche insegnante maschio. "Eh sì - dice - noi siamo un popolo guerriero e fiero, voi siete un popolo melodrammatico, noi siamo sbrigativi e voi siete retorici". Sorpreso, gli chiedo cosa ha studiato e mi dice che al suo paese faceva "il custode del tempio". Prego? Sì, insomma, era uno yogi, un sapiente, "un illuminato" e mi cita libri che non conosco, il Bhagavad Gita, per esempio, che è il testo eroico e sacro, "il precursore della vostra Iliade".
Chissà cosa sanno del Bhagavad Gita le maestre, che non solo sono donne, ma anche meridionali: Antonia che è di Bari e insegna matematica nella seconda elementare, Felicita che insegna in prima, Maria Grazia che è siciliana e insegna in terza e ce n'è una che scappa, non vuole contatti con i giornalisti che "inventano tutto e hanno ingigantito i problemi di una scuola nor-ma-le!".
E invece a me pare la scuola dei miracoli, "un ghetto nero" secondo il ministero, "la scuola più bella del mondo" secondo le maestre che ci hanno fatto pure un film intitolato appunto "La scuola più bella del mondo" e girato con l'organizzazione Asinitas, "e se vuole c'è il trailer su Youtube". L'Asinitas si chiama così, mi dice Maddalena, mamma di Agnese, prima A, "perché si ispira a Goffredo Fofi", una trovata culturale insomma, una specie di contrappasso ironico visto che l'asino è impermeabile alla scuola, destinato com'è a portar pesi, mai una cavalcata come un cavallo, e non ha neppure la nobiltà del mulo. Insomma ci provo a capire, ma rinunzio e mi addentro in questa scuola che "è un modello di integrazione" secondo l'ex preside Nunzia Marciano, una di quelle presidi meridionali e di sinistra che danno sui nervi alla Gelmini, una Nostra Signora degli Immigrati per gli extracomunitari del quartiere, non tutti integrati, per la verità, e spesso disoccupati.
In Prima A ci sono appena due bimbi italiani-italiani, in seconda non ce n'è proprio, perché il solo che c'era è stato spostato alla Di Donato ma non per paure etniche, perché anzi la madre è innamorata del 'multiverso'. E di nuovo scopro che l'italiano si chiama Yuri in mezzo a extracomunitari che si chiamano Benedetto e Francesco e forse sono due parallele e opposte forme di colonizzazione, l'una parla d'amore per la patria che ti ospita e l'altra parla di amore per i telefilm.
Tutti, al bar di fronte, ammettono che la scuola, con i suoi corsi di italiano per papà e per mamme, è stata una bella alternativa al Bingo che sta proprio qui, dietro l'ospedale delle figlie di San Camillo, strade etniche che la notte diventano più dure. E infatti in queste traverse hanno casa molte prostitute e trans che vanno però a battere lontano, in via Togliatti e anche verso il centro. Poco più in là c'è, abbandonato e semidiroccato, il Cinema Impero che, con la sua presenza muta di cemento e di geometria, sembra un'astuzia della storia: l'Italia chiusa e spaventata in se stessa che pretendeva però di conquistare il mondo dinanzi alla scuola che contiene il mondo e fa paura al quartiere che vuole fuggire dal mondo non potendolo più mettere in fuga.
Più lontano, all'angolo tra la via Prenestina e via Portonaccio, ci sono due madonne che fanno miracoli. Un centinaio di lapidi di ringraziamento circondano le due statue, e il nostro dotto "custode del tempio" mi dice che solo la polifonia e la policromia ci salvano dalla superstizione: "Mi ricordano le Puije indù". Comunque sia la scuola, che con il quartiere in fondo è in lotta, ufficialmente è la Scuola Laparelli, che è il nome della strada, ma tutti la chiamano ancora Pisacane, anche quelli che lo scorso anno volevano intitolarla, nientemeno, al pedagogo giapponese Tsunesabuto Makiguchi. Ma poi scoppiò uno scandalo nazionale e ridanciano: "Purtroppo - mi dice una maestra facendomi letteralmente giurare che mai farò il suo nome - certi eccessi ideologici servono da pretesto, sembrano inventati per dare spago alla Gelmini, insomma ci facciamo male da sole".
Poi, vedo sgattaiolare la signora Sultana Mehjabin, tiene per mano una bimba bruna e indietreggia quando la raggiungo. Non mi lascia neanche finire: "Si chiama Bhuiyan, ha otto anni, fa la prima elementare e non parla". È la sola bambina autistica che c'è alla Pisacane. Bhuiyan scappa da tutti i lati, è attratta dalle pattumiere del deposito degli spazzini che sta proprio sotto la scuola, ogni tanto ne afferra una e la sbatte sul muro. Di lei si occupa un'insegnante di sostegno, Simona è il suo nome, "ancora non la conosco bene, ma mi sembra un angelo" dice Sultana. E racconta che però, fisicamente, la bimba è affidata a Sonia, un altro angelo. "Le fanno usare i colori, ascoltare la musica", poi la restituiscono alla mamma e al papà che fa il cuoco in un ristorante in piazza di Pietra. Da quando è nata Mehjabin, girano ospedali e medici, adesso ci stanno provando con le cure omeopatiche di un professore di Firenze, 15 pillole al giorno. Sultana è alla Pisacane che ha imparato l'italiano. Non riesce ad apprenderlo invece la signora polacca che è nata in campagna, al confine con la Russia, e qui per lei non c'è abbastanza vento, mai abbastanza gelo: " Attorno alla mia città ci sono 69 laghi e in primavera i bambini rompono il ghiaccio a piedi nudi".
Me ne vado con l'idea che è qui che Roma può rinascere, anche se il quartiere è feroce con la scuola. Ecco, i bimbi stranieri della Pisacane mi sembrano tanti trovatelli aggrappati al seno di una lupa. La nuova preside, Flora Longhi, è una signora molto istituzionale, elegante, non è vero che è agli ordini della Gelmini, è già anziana, ha studiato il cinese e l'arabo e quei bimbi sono ormai lì: vita che contagia. Anche se davvero la Gelmini obbligasse tutte le maestre come queste della Pisacane a incrociare le braccia, basterebbe lasciar fare alla vita.


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