L’efficacia dei videogame sponsorizzati sarebbe dovuta al fatto che l’attenzione è tutta rivolta al gioco e il pensiero critico attutito. Così passano anche messaggi e modelli di comportamento non sempre corretti

Sono uno dei tanti strumenti a disposizione delle aziende per far arrivare ai consumatori i propri messaggi promozionali. Solo che in questo caso si tratta di una categoria particolarmente sensibile come quella dei giovani e giovanissimi, e linea di confine fra intrattenimento e condizionamento psicologico è ancora più sottile del solito.
Gli “advergame”, ovvero i giochi “brandizzati”, finanziati dalle aziende, che inseriscono al loro interno dei messaggi a loro consoni, non sono certo una novità – i primi giravano ancora sui vecchi floppy disk.
Ma la diffusione dei computer, l’età sempre più bassa in cui i bambini prendono confidenza con strumenti come tablet e smartphone e la facilità con cui i messaggi oggi possono diventare virali attraverso i social network, dà al problema una nuova dimensione . È lecito, per un’azienda, aggirare le norme che vietano di fare pubblicità diretta ai consumatori più piccoli entrando di soppiatto nelle loro vite attraverso un gioco per cellulare? Quanto, attraverso questi stratagemmi, è possibile influenzare le menti dei più piccoli (non che gli adulti, siano immuni, anzi)? Non sono questioni teoriche.
Lo scorso anno il gioco Scarecrow della catena di cibo messicano Chipotle, è entrato fra le 15 applicazioni più scaricate dell’iOS store americano. La missione del protagonista del gioco era quella di portare cibo genuino alla gente e svelare gli inganni e i lati meno piacevoli dell’industria alimentare di massa. Con tanto di “ricompensa”: ai giocatori più abili era riservata un’offerta, paghi-uno-compri-due da spendere in uno dei tanti punti vendita Chipotle. Un messaggio propagato anche attraverso un film che su YouTube ha raggiunto i sei milioni e mezzo di visualizzazioni.
In questo caso, lo scopo – educare a un alimentazione sana – potrebbe apparire nobile (anche se sotto sotto si tratta pur sempre di pubblicizzare un prodotto), ma la questione di fondo, rimane. Anche perché gli obiettivi possono essere assai meno condivisibili e quello di Chipotle non è certo un caso isolato. Un esempio di advergame italiano sono le Gelatiadi proposte dall’azienda fiorentina Sammontana in occasione delle Olimpiadi di Londra del 2012. Nel Regno Unito, marchi come Swizzels Matlow, Chewits e Weetos, forse poco noti al consumatore italiano, ma molto popolari oltre Manica fra i produttori di dolcetti, chewing-gum, barre di cioccolato, sono finiti sotto gli strali della Local Government Association, un consorzio di 400 fra i maggiori Comuni di Inghilterra e Galles. Un altro caso emblematico, per citare un’azienda più conosciuta in Italia, è quello di M&M’s che da diversi anni propone giochi di vario tipo sia su piattaforma Web, che su mobile, attraverso iTunes.
Sul piano commerciale, la strategia sembra funzionare. Sorgono e proliferano startup che propongono soluzioni veloci e innovative per aiutare gli inserzionisti a farsi pubblicità nei giochi. Come Adventurize che propone pubblicità su Minecraft. Ma il beneficio economico per le aziende potrebbe rivelarsi un boomerang a livello di immagine, se le voci dissonanti prenderanno il sopravvento. Gli scettici citano uno studio recente dell’Università di Bath sull’effetto degli advergame sui giovanissimi: secondo i ricercatori Haiming Hang e Agnes Nairn le aziende approfitterebbero di scappatoie legali per aggirare i divieti sulla pubblicità ai minori e, inserendo réclame nei giochi, “manipolerebbero i ragazzi per far loro desiderare cibi pieni di sale, zucchero e grassi, proprio mentre l’obesità è ormai un problema globale”.
L’efficacia di questi stratagemmi sarebbe dovuta anche al fatto che mentre si gioca, l’attenzione è tutta concentrata su quello che si sta facendo, e il pensiero critico, che potrebbe portare a mettere in discussione i messaggi, ne risulta attutito. Non si tratta proprio di slogan subliminali, ma quasi. I ricercatori, sulla scia anche di studi precedenti, auspicano quindi un sistema di etichettatura (simile a quello presente sui dischi con testi scurrili) dei giochi con pubblicità che renda quantomeno visibile la minaccia, e l’apertura di una discussione pubblica per capire se questo tipo di promozione debba continuare ad essere legale o meno.


La Stampa