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Risultati da 141 a 150 di 537

Discussione: In pensione con 40 anni, più due

  1. #141
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    Citazione Originariamente Scritto da casaufficio Visualizza Messaggio
    Confermo che le penalizzazioni sono state prorogate ,inteso come termine "a partire da...", dal 1° gennaio del 2017 al 1° gennaio 2018, nuova norma introdotta con la legge di stabilita' 2015
    Io pensavo che fossero state abrogate direttamente le pensioni............

    Ho deciso di rimanere in srvizio fino a 70 anni come dice Renzi, infatti non sopporto l'idea che dopo 43 anni di servizio
    debba essere io a chiedere la pensione ANTICIPATA (che presa per il ...).
    Così fanno passare la voglia di impegnarsi anche a quei pochi che lo fanno........................
    Della serie che i diritti acquisiti valgono solo per loro.


  2. #142
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    e guai a toccarglieli...

  3. #143
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    Pensioni: per il Giudice si può rimanere fino a 70 anni per raggiungere il minimo contributivo


    "E' Illegittima la revoca del trattenimento in servizio disposta dal MIUR ai sensi del Decreto Legge 90/2014 nel caso in cui il dipendente, rimanendo in servizio sino al compimento del 70° anno di età, avrebbe raggiunto i requisiti contributivi per ottenere il minimo della pensione (20 anni di contributi)"
    E' questa la pronuncia del Giudice del Lavoro del Tribunale di Taranto emessa in data 13.03.2015 a seguito del ricorso proposto dal legale della UGL Scuola di Taranto, avvocato Simone Spinelli.
    La vicenda trae origine dalla risoluzione del rapporto di lavoro disposta dal MIUR in danno di un collaboratore scolastico che prestava servizio presso l'I.I.S.S. "M. Lentini" di Mottola (TA).
    Girardi aveva regolarmente presentato domanda di permanenza in servizio sino al compimento del 70° anno di età. La risoluzione del rapporto era stata disposta dall'Amministrazione scolastica sulla base del D.L. 90/2014 (convertito in legge 114/2014) tramite cui il governo Renzi ha sancito l'abrogazione dell'istituto del trattenimento in servizio disponendo anche la revoca di quelli in essere alla data di entrata in vigore della norma, così il malcapitato lavoratore si era vista consegnare, lo scorso 28 agosto 2014, la comunicazione di quiescenza dal servizio a partire dal 1 settembre 2014.
    In virtù di tale norma il MIUR ha risolto centinaia di rapporti di lavoro senza curarsi minimamente del diritto costituzionale di ogni dipendente pubblico di rimanere in servizio sino al compimento del 70° anno di età, al fine di
    raggiungere il minimo della pensione.
    Ma grazie al ricorso promosso dalla UGL, giustizia è stata fatta. Il Giudice del Lavoro del Tribunale di Taranto ha così disposto la reintegrazione in servizio del dipendente, condannando l'amministrazione al pagamento di tutte le retribuzioni medio tempore maturate."
    Loredana Ferrantino segr. prov. UGL Scuola Taranto: "Questa sentenza pone un inizio importante per le migliaia di lavoratori della scuola italiani i quali possono adesso sperare in una giusta risoluzione dell'incubo in cui sono stati catapultati dal MIUR"


    orizzontescuola
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  4. #144
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    @ Mark

    No,no....io invece la chiedo eccome!! Se necessario mi posso anche inginocchiare e strisciare (mettermi a 90° quello mai!!!) ma me la devono!!
    Poi continuero' a lavorare (ovviamente!) ma che intanto paghino il dovuto.

    Per la cronaca : -19 mesi all'alba
    "Non bisogna sapere tutto-tutto, ma bisogna saper leggere molto bene"
    Per i neofiti (newbies) del Forum
    Please don't flood my pm box with questions you can post on forum!! You won't hear back from me.
    Si prega di non inondare la mia casella PM con le domande che si potrebbero postare sul forum !! Non otterrete risposta.



  5. #145
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    La “Buona scuola” ignora i Quota 96




    Per l’ennesima volta non c’è soluzione al problema dei docenti fermati dalla legge Fornero sulla soglia della pensione. Anzi, ora c’è chi ipotizza di ricollocarli nell’organico funzionale
    Il grande disegno di legge, ora in viaggio tra commissioni di Camera e Senato, sembrava il mezzo ideale per affrontare e risolvere la questione dei Quota 96. Sono quei docenti che, arrivati sulla soglia della pensione, nel gennaio 2012 – governo Monti, ministro del Lavoro Fornero – si sono visti cambiare le carte sulla cattedra e hanno visto allontanarsi il loro riposo. Secondo le nuove regole, pensate per cancellare le pensioni d’anzianità, realizzate con l’accetta, gli insegnanti sessantenni prossimi alla quiescenza lavorativa avrebbero potuto salutare gli alunni solo se la somma della loro età anagrafica e contributiva non fosse stata inferiore a 96 (60 anni di età più 36 di contributi, per esempio). O se avevano quarant’anni di contributi. Risultato: almeno quattromila persone hanno visto spostare in avanti, in alcuni casi molto in avanti, il traguardo. Nel 2013, poi, le cose sono progredite in senso peggiorativo. A quella data la quota per la pensione era già salita a 97,3.
    I “quota 96″ non sono esodati della scuola, come erroneamente vengono chiamati. Non sono pensionati senza pensione. Sono aspiranti pensionati a cui si è chiesto di restare in cattedra ora un anno in più, ora due, ora tre. E loro, logorati da 35 stagioni di insegnamento a 1.300 euro il mese – insegnare a scuola, sì, logora – sono rimasti. Controvoglia. Impedendo a precari più giovani di entrare in ruolo.
    Il premier Matteo Renzi aveva promesso che avrebbe preso in mano la situazione, che avrebbe trovato i soldi per chiudere i pasticci forneriani. E due emendamenti di Sel, approvati in aula, sembrarono aver sistemato la faccenda e i cinquemila: pensionamento alla prima finestra utile, settembre 2015. Ma la Ragioneria dello Stato intervenne motu proprio e cancellò gli emendamenti: non c’era copertura finanziaria. Renzi incassò la sconfitta e non riaprì più la questione. Maestri e prof sono tornati in classe e il disegno di legge “La buona scuola” semplicemente li ha ignorati. Anche se il deputato Pd Francesco Boccia aveva detto, dopo la bocciatura degli emendamenti: “La scelta è una ferita aperta tra il governo e la Commissione Bilancio”. Anche se il viceministro dell’Economia, Enrico Morando, aveva assicurato che i soldi si sarebbero trovati proprio con il ddl “La buona scuola”.
    Dopo tre anni di rinvii a decreti successivi, i “Quota 96″ sono fisiologicamente scesi a tremila (una decina di insegnanti sono deceduti, assicurano i sindacati), Visto che il miliardo stanziato per la grande riforma serve ad altro, c’è chi ipotizza di ricollocarli – stanchi, demotivati – nell’organico funzionale della nuova scuola italiana.


    Edscuola
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  6. #146
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    In pensione con metà dell’ultimo stipendio?


    È lo scenario per i lavoratori attorno ai 50 anni di età. Per i giovani è ancora più grigio: gli ultimi studi dicono che potrebbero lasciare percependo un terzo dell’ultima busta paga. Chi è nato nel 1990 e inizia a lavorare ora, andrebbe via a 73 anni con meno dell'assegno sociale. Per difendersi, molti docenti e Ata aderiscono al Fondo Espero, poi c’è chi opta per la pensione integrativa bancaria con sgravi fiscali.
    Chi lavora nella scuola non si salva: se i parametri sulle pensioni non cambiano e se l’economia italiana rimane stagnante, anche docenti e Ata rischiano sempre più seriamente di andare in pensione con la metà e anche meno dell’ultimo stipendio. Ad avere questo “regalo” sarebbero sicuramente i giovani e pure gli italiani di mezza età.
    Il calcolo è stato realizzato dall’ufficio studi dell’Anief e confermato, anzi aggravato, da uno studio di Progetica, pubblicato in questi giorni dal Corriere della Sera: dopo le notizie, mai smentite, sui contributi figurativi versati dallo Stato al posto del gettito corrente nelle casse dell’Inps, che ne ha generato il buco di bilancio e che potrebbe mettere a rischio la stessa erogazione di pensioni e liquidazioni, giungono ora delle proiezioni davvero inquietanti.
    Qualora, infatti, l’attuale economia, ormai in deflazione, abbinata al perdurante blocco degli stipendi, non dovessero essere superati, i giovani lavoratori pagheranno un prezzo salatissimo: chi è nato nel 1990 e inizia a lavorare ora, potrebbe andare in pensione a 73 anni, dopo aver lavorato per mezzo secolo, con appena 400 euro (33% dell’ultimo stipendio), meno dell’attuale assegno sociale.
    “La fase discendente delle pensioni dei cittadini italiani – dichiara Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo della Confedir – ha avuto inizio a partire dal tradimento del patto generazionale, nel 2001, quando i neo assunti, a seguito d’uno scellerato accordo sindacale, si sono visti improvvisamente decurtare quasi il 30% delle vecchie liquidazione nel passaggio da TFA al TFR, dove però, non opera la trattenuta illegittima del 2,5%: una nuova ingiustizia di cui nessuno parla”.
    “Se a questo aggiungiamo le norme sempre più stringenti sui requisiti per lasciare il servizio lavorativo, il risultato – continua il sindacalista Anief-Confedir – è che si lavorerà una vita per avere meno dell’assegno sociale, sempre che sia ancora liquidata la stessa. Non è possibile pensare che fino al 2011 si prendeva come pensione l’80% dell’ultima retribuzione e che dopo vent’anni, grazie alla riforma Monti-Fornero e a quelle precedenti, nel 2031 si potrebbe prendere il 26% per cento in meno (54%). E che dopo altri vent’anni, si ridurrà di un ulteriore 20%, portando l’assegno pensionistico addirittura ad un terzo dell’ultimo stipendio percepito. Siamo ormai alla macelleria sociale, con il tradimento del primo articolo della Repubblica: potremmo dire che l’Italia non sarebbe più fondata sul lavoro ma sulla schiavitù”.
    L’unica soluzione, confermata anche dagli esperti di settore, che ad oggi sembra essere quella di aderire al Fondo di comparto (Espero per la scuola) e alla pensione integrativa bancaria garantita con sgravi fiscali: “per questi motivi, Anief valuta ricorsi in Europa per violazione della direttiva 88/2003 sull’organizzazione orario dell’orario di lavoro”, conclude il sindacato autonomo.
    Come se non bastasse, lo studio di Progetica ci dice che questa tendenza nei prossimi anni si aggraverà ulteriormente. E lo fa mettendo a confronto le due generazioni: i baby boomer (attuali cinquantenni) e i millenial (attuali venticinquenni), confrontando i dati del pubblico impiego con quelli del settore privato. La “forbice” si innalzerebbe rispettivamente al 58% e al 44%, ma è evidente che il presupposto di base, il salario minino di mille euro in partenza che arriva a tremila a fine carriera netti non si può applicare alla scuola, dove per un docente di scuola media al massimo, se fosse sbloccato il contratto, si arriverebbe a duemila euro netti.
    E se fossimo messi davanti ad uno scenario troppo brutto per essere vero? Forse. Però già oggi l’innalzamento degli anni di accesso alla pensione (soprattutto per le donne, oltre l’80% del personale scolastico) e il “dimagrimento” dell’assegno di quiescenza (in fase discendente, dato che in 15 anni è diminuito del 33% e che per più di quattro pensionati su dieci l'assegno non arriva neppure a mille euro al mese) sono dati di fatto. Se a questo aggiungiamo gli interrogativi sulla ripresa economica e lo stato patrimoniale tutt’altro che florido dell’Inps, ognuno può trarre le proprie considerazioni.


    tecnica della scuola
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  7. #147
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    Pensione dirigenti: l’Inps comunica le riduzioni


    La Legge di Stabilità 2015 ha previsto che le pensioni liquidate dal 1 gennaio 2012 non possono eccedere il trattamento che sarebbe stato liquidato con l’applicazione delle norme vigenti prima dell’entrata in vigore della Riforma Fornero.
    In questo modo i lavoratori con almeno 18 anni di contributi fino al 31 dicembre 1995, per effetto della Riforma Fornero avranno il trattamento pensionistico determinato fino al 31 dicembre 2011 con il calcolo retributivo e dal 1 gennaio 2012 con il calcolo contributivo.
    Il tetto va calcolato con una doppio conteggio: innanzitutto si determina l’importo che deriverebbe dalle norme attuali, poi si verifica che tale importo non superi quello ipoteticamente calcolato con l’intero calcolo retributivo (calcolando in questo modo con il retributivo anche le quote maturate dopo il 31 dicembre 2011). Dei due, l’importo minore sarà quello erogato al contribuente.
    Ad essere penalizzati da questo tetto imposto dall’Inps sono soprattutto quei lavoratori con delle carriere importanti o chi ha deciso di rimanere in servizio per migliorare la propria pensione. Si parla in particolare di Magistrati, Dirigenti Scolastici, professori Universitari.
    Perché l’impatto sarà sentito soprattutto da questi lavoratori? Il coefficiente di rendimento del calcolo retributivo si bloccava al raggiungimento del 40esimo anni di contributi, quindi tutto ciò che veniva versato oltre tale anno era ininfluente. L’incentivo che si introdusse con la Riforma Fornero per far permanere i lavoratori in servizio, permetteva ai lavoratori di valorizzare i contributi versati dopo il 2012, la quota C.
    Il doppio calcolo di cui abbiamo illustrato il funzionamento verrà applicato non solo ai nuovi pensionati ma anche alle pensioni liquidate nel periodo dal 1 gennaio 2012 al 31 dicembre 2014; quindi i pensionati che sono andati in pensione applicando le norme della riforma Fornero si vedranno con tutta probabilità ridurre l’assegno previdenziale.


    Orizzontescuola
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  8. #148
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    Nel provvedimento ci sono 26 mila nuovi posti per gli esodati ante 2011 e si risolvono anche le questioni dei quota 96 della scuola e dei ferrovieri addetti alla condotta dei treni.

    Una salvaguardia per ulteriori 26mila lavoratori che hanno cessato l'attività lavorativa entro il 2011, la soluzione della vicenda dei cd. quota 96 della scuola, una nuova armonizzazione dei requisiti previdenziali per i lavoratori ferrovieri addetti alla condotta dei treni e fine alla penalità sugli assegni liquidati ante 2015. Sono le principali novità nel disegno di legge depositato ieri in Commissione Lavoro della Camera dei Deputati dai Dem sulla cd. settima salvaguardia (ddl 2958) che pensioniooggi.it è in grado di anticipare. Ma andiamo con ordine. Per quanto riguarda i cd. esodati il provvedimento estende al 6 gennaio 2017 (dall'attuale 6 gennaio 2016) i termini di decorrenza delle prestazioni pensionistiche nei confronti di tutti i profili di tutela individuati nella sesta salvaguardia. Si tratta cioè dei lavoratori in mobilità, licenziati, autorizzati alla prosecuzione volontaria o in congedo per assistenza di familiari disabili, entro il mese di dicembre 2011.
    Con una ripartizione che vede protagonisti gli autorizzati alla prosecuzione volontaria della contribuzione (12mila nuovi posti) e i lavoratori che hanno firmato accordi individuali o collettivi con il datore o che sono stati licenziati (6.000 posti). 2mila sono invece i posti assegnati ai lavoratori in congedo al 2011 per assistere disabili e 1.000 quelli per i lavoratori cessati con contratti a tempo determinato (tra cui vengono però espressamente ricompresi gli agricoli a tempo determinato e i somministrati con contratto a tempo determinato).
    A questi si aggiungono ulteriori 3.300 posti per i lavoratori in mobilità che vedono sostanzialmente sparire il paletto della cessazione dell'attività lavorativa al 30 settembre 2012 (il paletto viene spostato al 31 dicembre 2014). Altri 1.700 posti vengono poi "prudenzialmente" assegnati ad un nuovo gruppo di lavoratori esclusi dalle precedenti salvaguardie. Si tratta dei lavoratori che non hanno potuto siglare accordi per la mobilità a causa del fallimento delle rispettive aziende e quelli provenienti dalle eccedenze occupazionali delle imprese del settore edile. Questi lavoratori non hanno trovato infatti posto nei sei provvedimenti di salvaguardia varati sino ad oggi dal Parlamento.
    Non solo. Nel provvedimento tornano alla ribalta i quota 96 della scuola con l'indicazione che il personale scolastico che ha maturato un diritto a pensione, con le vecchie regole, entro l'anno scolastico 2011/2012 viene sostanzialmente escluso dalla Riforma Fornero. Novità anche per i ferrovieri, altro tema oggetto di un ampio dibattito presso la Commissione Lavoro della Camera dei Deputati. Il disegno di legge chiede poi al Governo l'adozione di un regolamento di armonizzazione dei requisiti per l'accesso alla pensione diversi da quelli attualmente vigenti nell'AGO (a cui attualmente i ferrovieri sono ancorati) per il personale addetto alla condotta dei treni ed assimilati.

    Nel progetto c'è anche la cd. depenalizzazione degli assegni liquidati prima del 2015 nei confronti dei lavoratori che sono usciti prima del compimento del 62° anno di età con una modifica sull'articolo 1, comma 113 della legge di stabilità (legge 190/2014).
    I benefìci, per quanto riguarda le nuove 26mila salvaguardie, prevedono un costo di 1 miliardo e 326 milioni di euro dal 2015 al 2023. Non sono stati quantificati invece i costi per la soluzione della vicenda dei quota 96 della scuola nè per i ferrovieri dato che sarà il Governo a stabilire le modalità di intervento. Risibili i costi per la depenalizzazione degli assegni.

  9. #149
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    Quota 96, previsto pensionamento nel DDL 2958. Necessario nuovo censimento



    I Quota 96 potrebbero avere una nuova speranza nel maxi disegno di legge del Partito Democratico che sulla settima salvaguardia, il DDL 2958.
    I Quota si trovano all’articolo 1, comma 1, lettera b), con il quale si ripropone la modifica che pone fine all’annosa vicenda del personale della scuola rimasto in servizio a seguito di una svista nella legge Fornero.
    Tra le questioni che fino ad oggi hanno impedito la risoluzione del problema, c'è quella finanziaria. Il DDL affronta la questione, mettendo in evidenza come sia difficile "prevedere l’onere rispetto alla quantificazione di 4.000 soggetti interessati rilevata nel 2012 perché va valutato quanti siano andati in pensione a settembre 2013 o 2014 e sembra che circa 1.000 insegnanti abbiano potuto essere inseriti nella IV e nella VI salvaguardia per aver assistito familiari disabili nel 2011". Insomma, urgerebbe, secondo il testo, un nuovo censimento per determinare il numero esatto e quantificare la portata economica del provvedimento.
    Ecco il testo dell'articolo che pensionerebbe i Quota 96 del 2012. "1) all’alinea, dopo le parole: « ad applicarsi » sono inserite le seguenti: « al personale della scuola che ha maturato i requisiti entro l’anno scolastico 2011/2012, ai sensi dell’articolo 59, comma 9, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, e successive modificazioni, »;"


    orizzontescuola
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  10. #150
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    1°maggio amaro, arriva il simulatore delle pensioni





    Pensioni, arriva il simulatore Inps: tanti lavoratori scopriranno che lasceranno dopo i 70 anni e con l’assegno sociale. Il sistema di calcolo, atteso da 20 anni e che nel 2016 sarà accessibile a 23 milioni e mezzo di dipendenti, permetterà al lavoratore di individuare il proprio conto contributivo.
    Il problema è che la “stretta” su requisiti di accesso e assegno di quiescenza produrrà effetti devastanti: anche chi lascerà con 40 anni di lavoro, nella maggioranza dei casi andrà in pensione con la metà e anche meno dell’ultimo stipendio. La beffa è dovuta al fatto che il sistema contributivo attuale prevede un’incidenza sull’accontamento previdenziale decisamente più sfavorevole al lavoratore rispetto ai modelli pensionistici precedenti. Negli altri Paesi, però, si continuano a percepire pensioni dignitose.
    Marcello Pacifico (Anief-Confedir): non dimentichiamo che circa quasi tre milioni di dipendenti statali si ritrovano con gli stipendi bloccati da sei anni e così sarà fino al 2019. E che quelli della scuola, dopo un fermo di stipendio decennale, riceveranno appena 5 euro come indennità. Intanto, i ‘Quota 96’ rimangono bloccati in servizio: ora serve anche un censimento. Ci rendiamo conto che il rispetto per il lavoratore e per la sua dignità umana è ormai sceso sotto il livello di guardia?
    Da domani, primo maggio, i lavoratori avranno la possibilità di ottenere gratuitamente e on line il computo del loro futuro assegno pensionistico: potranno conoscere, in pratica, l‘entità della pensione maturata e gli anni di contributi ancora da versare per il raggiungimento dei requisiti minimi di accesso. Ad introdurre la cosiddetta “busta arancione”, attesa da almeno vent’anni, sarà un simulatore digitale interattivo messo a disposizione dall’Istituto nazionale di previdenza sociale. In questa prima fase potranno accedere al servizio, connettendosi al sito www.inps.it (link ‘La mia pensione’), solo i dipendenti con meno di 40 anni, già in possesso del pin Inps (richiesto sempre al portale dell’ente, che ne rilascia una prima parte subito e la rimanente via e-mail) e che abbiano versato almeno 5 anni di contributi.
    Da giugno, si darà accesso agli under 50. L’obiettivo dell’Inps, scrive il Corriere della Sera, è “rendere possibile la simulazione della pensione a quasi 18 milioni di lavoratori dipendenti, artigiani, commercianti e parasubordinati. Nel 2016 l’operazione verrà estesa prima ai lavoratori domestici e a quelli agricoli e infine ai dipendenti pubblici. Al termine del 2016 il simulatore andrà a regime e sarà accessibile da tutta la platea degli iscritti all’Inps, circa 23 milioni e mezzo di lavoratori”. Il sistema di calcolo permetterà al lavoratore, attraverso pochi passaggi, di individuare il proprio conto contributivo e “verificare se ci siano anomalie ed errori e segnalarli”.
    Purtroppo, per moltissimi dipendenti, in particolare i più giovani e coloro che non possono vantare un altissimo numero di anni utili, il risultato del simulatore si rivelerà a dir poco traumatico: anche se le “stime vengono elaborate in moneta costante ipotizzando lo scenario base, cioè un aumento della retribuzione dell’1,5% l’anno e così del Pil”, potranno appurare che l’importo che percepiranno una volta raggiunta la pensione non sarà molto più alto dell’attuale assegno sociale. E anche per chi lascerà il servizio con 40 anni di lavoro non andrà molto meglio: nella maggioranza dei casi, andranno in pensione con la metà e anche meno dell’ultimo stipendio.
    Anche per chi ha svolto 40 anni di lavoro, le prospettive non sono infatti migliori: il loro assegno di quiescenza non avrà nulla a che vedere con l’ultimo stipendio, come invece accadeva con il sistema retributivo. Ecco un esempio pratico: chi è nato nel 1990 e inizia a lavorare ora, potrebbe andare in pensione, dopo i 70 anni, con appena 400-500 euro (33% dell’ultimo stipendio), quindi, percependo meno dell’attuale assegno sociale. La beffa è dovuta al fatto che il sistema contributivo attuale prevede un’incidenza sull’accontamento previdenziale decisamente più sfavorevole al lavoratore rispetto ai modelli pensionistici precedenti.
    E i pochi fortunati che possono lasciare prima, si vedranno quasi sempre decurtare l’assegno pensionistico di cifre non indifferenti, anche del 25 per cento. Ma siccome il potere d’acquisto delle pensioni è in caduta libera: in 15 anni è diminuito del 33%, tanto che già oggi per più di quattro pensionati su dieci l'assegno non arriva neppure a mille euro al mese”, oltre la metà (il 52%) delle donne, è evidente che in questo modo si sta andando sempre più verso un Paese composto da pensionati ex lavoratori ad alto rischio povertà.
    La ‘stretta’ non ha risparmiato i requisiti per l’accesso. Basta dire che nell’ultimo quinquennio le riforme sulla quiescenza hanno allungato di dieci anni l'età pensionabile: tra 15 anni, nel 2030, si potrà accedere alla pensione di vecchiaia solo oltre i 68 anni; dal 2050, i neo-assunti potranno andare in pensione dopo 70 anni o 46 anni e mezzo di contributi. Mentre per accedere all’assegno di quiescenza anticipato bisognerà aver versato attorno ai 44 anni di contributi.
    “Parlare di festa del lavoro con queste prospettive – commenta Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir – lascia davvero tanta amarezza: deve essere chiaro che l’inasprimento delle norme che regolano i livelli retributivi pensionistici, sommate a quelle sui requisiti di accesso, hanno portato le nuove generazioni a dover lavorare una vita per avere, nella terza età, importi da assegno sociale. In pochi decenni, circa 40 anni, la pensione media verrà ridotta della metà rispetto ai livelli attuali”.
    La stretta sulle pensioni, tra l’altro, è un’ingiustizia tutta italiana: in Germania, dove la crisi economica è comunque presente, si continua comunque ad andare in pensione dopo 27 anni di contributi. In Francia, l’età minima di pensionamento pur essendo stata innalzata è comunque stata fissata a 62 anni. Mentre ci sono altri paesi – come Polonia e Cipro – dove l’età minima per lasciare il lavoro in cambio di una pensione piena al completamento del numero di anni di servizio svolti, senza decurtazione, è fissata a 55 anni. E diversi altri, tra cui Belgio, Danimarca, Irlanda, Grecia, Spagna, Lussemburgo (pag. 93 dell’ultimo Rapporto Eurydice della Commissione europea ‘Cifre chiave sugli insegnanti e i capi di istituto in Europa’), dove è possibile ottenere “una pensione piena al completamento del numero di anni di servizio richiesti”.
    Nel nostro Paese, invece, si sta andando verso un sistema che chiede quasi il doppio dei contributi: di recente l’accesso alle pensioni è stato ancora più ritardato, con un decreto interministeriale, Mef e Ministero del Lavoro, che dal primo gennaio 2016 posticiperà di altri quattro mesi l’età e i requisiti per accedervi per via dell’innalzamento della soglia legato alle aspettative di vita crescenti (in particolare delle donne, ormai sopra gli 85 anni).
    “Se a questa discrepanza – continua il sindacalista Anief-Confedir – si aggiunge il fatto che circa quasi tre milioni di dipendenti statali si ritrovano con gli stipendi bloccati da sei anni e così sarà fino al 2019, e che quelli della scuola, dopo tale fermo, riceveranno appena 5 euro come indennità, ci rendiamo conto che il rispetto per il lavoratore, per la sua vita professionale ma anche per la sua dignità umana, è ormai sceso sotto il livello di guardia”.
    Già oggi la situazione peggiorativa sta coinvolgendo coloro che dovevano lasciare il lavoro con le vecchie modalità e che invece rimangono “incastrati” per l’entrata in vigore immediata dalla riforma pensionistica Monti-Fornero. Vale per tutti il caso dei ‘Quota 96’ della scuola, raggiunta sommando contributi ed età anagrafica, che a distanza di quasi tre anni rimangono in larga parte ancora sul posto di lavoro malgrado tutti, anche in ambito politico, gli avessero dato piena ragione. Per risolvere la questione, nei giorni scorsi è stato depositato nei giorni scorsi in commissione Lavoro l’ennesimo disegno di legge “che include anche la nuova salvaguardia per gli esodati”.
    Secondo ‘Orizzonte Scuola’, “tra le questioni che fino ad oggi hanno impedito la risoluzione del problema, c'è quella finanziaria. Il DDL (Buona Scuola) affronta la questione, mettendo in evidenza come sia difficile ‘prevedere l’onere rispetto alla quantificazione di 4.000 soggetti interessati rilevata nel 2012 perché va valutato quanti siano andati in pensione a settembre 2013 o 2014 e sembra che circa 1.000 insegnanti abbiano potuto essere inseriti nella IV e nella VI salvaguardia per aver assistito familiari disabili nel 2011’. Insomma, urgerebbe, secondo il testo, un nuovo censimento per determinare il numero esatto e quantificare la portata economica del provvedimento”.
    Tra i vari ddl allo studio c’è anche quello dell’on Damiano, che prevede una flessibilità in uscita permettendo il pensionamento già a 62 anni con 35 anni di contributi. Ma con penalizzazioni dell’8% (una sorta di quota 97) sull’assegno pensionistico: nella stessa proposta di legge, è inoltre contenuto un sistema di premialità per chi ritarderebbe l’accesso alla pensione con un 2% in più per ogni anno successivo al 66esimo anno di età fino ai 70 anni, che permetterebbero di avere un 8% in più sull’assegno di quiescenza.
    In questi anni, per risolvere la questione di Quota 96, Anief-Confedir ha presentato diversi ricorsi: già nel 2011, appena approvata la Legge Monti-Fornero, il sindacato chiesto diverse modifiche in Parlamento. Le ultime, con emendamenti alla Legge di Stabilità approvata a fine dicembre. E anche con uno dei 91 emendamenti al disegno di legge 2994 sulla Buona Scuola, presentati alcune settimane fa in occasione dell’audizione tenuta dal giovane sindacato davanti alle commissioni Cultura e Istruzione di Camera e Senato. A quello stesso Parlamento, i cui componenti si sono detti d’accordo nello sbrogliare la situazione. Salvo poi soccombere, come accaduto nella scorsa estate, quando, trovato l’accordo delle Camere, ci ha pensato il Governo – con quattro emendamenti approvati dalla commissione Affari costituzionali del Senato al decreto di riforma - a bloccare il pensionamento ormai imminente dei ‘Quota 96’. Intanto, le conseguenze della ‘stretta’ si fanno già sentire: nella scuola l’anno scorso abbiamo assistito al dimezzamento dei pensionamenti, dovuto proprio agli effetti della riforma Fornero. Eppure, l'Italia ha già superato il record mondiale di età dei docenti: più della metà ha più di 50 anni, solo lo 0,5% ne ha meno di 30.
    “Ora, dopo un tira e molla di due anni e mezzo, ci ritroviamo daccapo. Siamo arrivati al punto – dice sempre Pacifico - che per mandare in pensione dei dipendenti dello Stato che avevano iniziato l’anno scolastico 2011/12 sapendo di andare in pensione, tocca ora realizzare un censimento. Intanto il tempo passa e alla fine andranno in pensione perché è arrivata quella di vecchiaia. Intanto, i requisiti minimi per lasciare il lavoro stanno andando verso quota 120 e forse oltre. Che primo maggio può essere questo per i lavoratori italiani?”.
    “Cosa hanno da festeggiare dei lavoratori costretti a lasciare il lavoro sfiniti, a cui viene negato il diritto della parità retributiva essendo la pensione una retribuzione differita? Il tutto, mentre lo Stato paga soltanto contributi figurativi, al posto del gettito corrente nelle casse dell’Inps, che ne ha generato il buco di bilancio e che potrebbe mettere a rischio la stessa erogazione di pensioni e liquidazioni? Noi, però, non ci stiamo: contro questa ingiustizia, che si ripercuote negativamente sull’assegno di pensione, Anief è pronta a ricorrere in tribunale”.


    Orizzontescuola
    "L'esperienza è maestra di vita"



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