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Discussione: In pensione con 40 anni, più due

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  1. #1
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    Predefinito In pensione con 40 anni, più due

    Gli insegnanti costretti ad andare in pensione per aver compiuto i 40 anni di servizio devono lavorare altri due anni se vogliono andare in pensione con gli scatti di anzianità al completo. Lo sostiene l'associazione Anief sottolineando che per il ministero resta il blocco degli scatti per il biennio 2009-2011.
    ''Chi è costretto ad andare in pensione per i 40 anni di servizio, può rimanere", spiega un comunicato dell'associazione sindacale, che cita la nota 657 del 27 gennaio con la quale il ministero chiarisce che, in merito alla risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro nei casi di raggiungimento del 40° anno di anzianità contributiva prevista dalla legge 133/2008 "per coloro che raggiungono i 40 anni di anzianità contributiva entro il 31 agosto 2011 e avrebbero maturato nel corso del successivo anno scolastico un miglioramento economico, può essere concesso, a richiesta, il differimento di un anno del collocamento a riposo a tutela della legittima aspettativa degli interessati", sempre che si realizzino le economie di spesa necessarie per finanziare l'operazione.
    Altrimenti, fa notare l'Anief, si andrebbe in pensione "con 42 anni di servizio al prezzo di 40''. Anche per questo, conclude il sindacato, è opportuno ricorrere al giudice per recuperare gli scatti ''bloccati illegittimamente contro la Costituzione''.



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  2. #2
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    Riepilogo delle novità sui trattamenti pensionistici

    Facendo seguito alla pubblicazione in G. U. della legge 15 luglio 2011, n. 111 l’Inpdap ha pubblicato la nota operativa n. 27 del 21 luglio 2011, con la quale riepiloga le innovazioni introdotte in materia previdenziale ed aventi effetto sulle prestazioni erogate dall’Istituto pensionistico, suddividendo quelle di immediata applicazione da quelle che avranno effetto a partire dal 2012 in poi.
    Tra le disposizioni di immediata applicazione, a decorrere dal 1° agosto 2011 e fino al 31 dicembre 2014, viene introdotto un contributo di perequazione da applicarsi a tutte le tipologie di trattamenti pensionistici i cui importi complessivi superino i 90.000 euro lordi annui. Su tali trattamenti sarà effettuata una trattenuta pari al 5% della parte eccedente i 90.000 euro lordi annui e fino a 150.000 euro e del 10% per la parte eccedente 150.000 euro; in ogni caso il trattamento pensionistico complessivo a seguito della predetta riduzione non può essere inferiore a 90.000 euro.
    La disposizione interesserà già la rata di agosto e sarà evidenziata in uno specifico cedolino inviato agli interessati.
    Come già detto, la legge n. 111/2011 introduce ulteriori modificazioni in materia previdenziale con effetti a partire dall’anno 2012.
    Una novità interesserà il sistema di rivalutazione automatica delle pensioni: per gli anni 2012 e 2013, è infatti modificata la perequazione delle pensioni superiori a cinque volte il trattamento minimo Inps per le quali essa è concessa solo per la fascia di importo inferiore a tre volte il predetto minimo Inps e nella misura del 70 per cento. Una misura che non interessa gran parte dei pensionati della scuola, il cui trattamento pensionistico non supera i 2.342 euro (cinque volte il trattamento pensionistico Inps), ma non salva la maggior parte dei dirigenti scolastici a riposo.
    Altra modifica importante è l’adeguamento dei requisiti prescritti per il diritto a pensione. A partire dal 1° gennaio 2013 i requisiti anagrafici prescritti per i pensionamenti di vecchiaia ovvero i requisiti di età e i valori di somma di età anagrafica e di anzianità contributiva di cui alla Tabella B allegata alla legge 23 agosto 2004 n. 243 e s.m.i. (c.d. sistema delle quote) sono incrementati di 3 mesi. Nell’anno 2013, dunque, il requisito anagrafico per la pensione di vecchiaia sarà 65 anni e 3 mesi, mentre i requisiti per la pensione di anzianità sono 61 anni e 3 mesi di età + 36 anni di contribuzione ovvero 62 anni e 3 mesi di età + 35 anni di contribuzione (quota 97 e 3).
    Infine, la disposizione prevista dall’art. 18, comma 22-ter, 22-quater, 22-quinquies relativa al diritto a pensione con il solo requisito della massima anzianità contributiva (40 anni) non interesserà il personale del comparto scuola, per il quale continua ad applicarsi le disposizioni di cui al comma 9, dell’articolo 59 della legge n. 449/1997.


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  3. #3
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    Colpo alle pensioni d´anzianità naia e università non contano più

    Almeno 80 mila coloro che saranno costretti a lavorare un anno in più Il provvedimento non si applica a chi ha svolto un´attività usurante
    Nuovo colpo alle pensioni di anzianità. Per chi ha riscattato gli anni di laurea e quello del servizio militare non basteranno più i 40 di contributi, indipendentemente dall´età anagrafica, per lasciare il lavoro. Quegli anni conteranno sì ai fini del calcolo dell´importo dell´assegno pensionistico, ma non per l´accesso alla quiescenza. Nei fatti - quello deciso ieri dal governo - è un aumento dell´età pensionabile da un anno a quattro e oltre a seconda del corso di laurea. Va aggiunto, inoltre, che già oggi chi matura i requisiti per andare in pensione raggiungendo i 40 di versamenti deve aspettare 15 mesi (sono 12 per gli altri) perché si apra la relativa "finestra" per abbandonare il lavoro. Il provvedimento non si applica a chi ha svolto un´attività usurante.
    Per la prima volta si tocca una platea di lavoratori che finora era stata largamente esclusa dai correttivi. Sono perlopiù lavoratori precoci, spesso operai residenti nelle regioni del Nord. Lavoratori che sono andati in fabbrica a 18 anni, e anche prima, e che in media lasciano il lavoro intorno ai 58 anni, molto prima dei 65 previsti (60 per le donne) per la pensione di vecchiaia. Il governo stima di poter ricavare da questa misura 500 milioni il primo anno di applicazione, cioè il 2013; un miliardo l´anno successivo, e poi tra 1,2 a 1,5 miliardi dal 2015 in poi. Di certo è una misura strutturale e che, come tutte quelle che riguardano le pensioni, permette di "fare cassa".
    Difficile quantificare il numero di lavoratori interessati. Secondo alcuni calcoli - non del governo - saranno almeno 80 mila coloro che dovranno posticipare di un anno l´accesso alla pensione dopo aver riscattato ai fini contributivi l´anno della leva militare. Di meno quelli con il riscatto laurea. Molto penalizzati potrebbero essere i medici, che oltre agli anni di laurea hanno un lungo periodo di specializzazione, secondo il sindacato di categoria della Cgil.
    L´idea di intervenire su questa platea di lavoratori è nata un po´ di tempo fa nelle stanze della Ragioneria dello Stato. Ma è stato il ministro del Lavoro, a rispolverarla nei giorni scorsi e prepararla, dopo una serie di verifiche e con Cisl e Uil. Il ministro ha deciso di muoversi senza clamore dichiarando a più riprese che non era necessaria una nuova riforma della previdenza e che, semmai, si sarebbe potuto intervenire su alcuni aspetti marginali (come quella dei lavoratori che vanno in pensione con 40 anni di contributi, appunto) oppure sull´accorciamento del periodo di transizione per il passaggio di tutto il sistema al modello contributivo.


    Eduscuola
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  4. #4
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    In pensione a 80anni ma in classe fino a max 55

    Ve la dico come vi è venuta. Prendetela come una provocazione, ma nemmeno tanto.
    Giusto per capire come la pensiamo tra noi colleghi.
    Ma anche altri che volessero dire la propria, la dicessero pure.

    Premessa:

    a. L'insegnamento è lavoro usurante, così usurante che tra gli insegnanti si rilevano patologie psichiatriche pari al triplo che in ogni altra categoria professionale, compresi gli operai. Cosa che tutti ignorano, o fanno finta di ignorare, persino gli stessi docenti, tra i quali, sull'argomento vige il silenzio più totale nonostante il testo unico 81 obblighi i dirigenti scolastici ad effettuare annualmente il monitoraggio antistress. Del resto lavoriamo con materiale da maneggiare con cura ed esplosivo: i ragazzi. Non ci credo che possiamo resistere in classe fino a 67 anni. Nemmeno per idea.Nemmeno il collega che qua sotto commenterà che lui lo farebbe anche oltre..

    b. Abbiamo la classe docente più vecchia al mondo. Spesso meno motivata e più stanca. Non va bene. Non va bene ai ragazzi. Non va bene ai genitori. Non va bene a noi. Non parlatemi di esperienza ma se penso che ad evacuare una classe di 32 quattordicenni in caso di terremoto potrebbe esserci una docente di 67 anni mi si rizzano i capelli (immagino anche a lei).

    E allora io dico una cosa:

    Su base volontaria, ripeto, su base volontaria, aggiungo: per chi lo volesse, potrebbe essere possibile allungare il tempo dell'età pensionabile di un docente della scuola statale persino oltre i 67 anni, ma a patto che rimanga in classe fino a massimo 55 anni.

    Negli anni rimanenti i docenti verrebbero impegnati in tutta una serie di attività di paradocenza cruciali e indispensabili, presenti in tutti i paesi civili, che spesso sono le azioni che fanno la differenza, ma da noi non previste o assorbite in modo poco chiaro e definito: recupero degli ultimi e potenziamento dei bravi, formazione e aggiornamento dei docenti più giovani, gestione e organizzazione, funzioni strumentali (oggi svolte sempre dal solito collega), sostituzioni, ricerca e documentazione, tutoraggio, rapporti col territorio, organizzazione laboratori, visite guidate, corsi extracurriculari, rapporti col territorio, educazione permanete degli adulti.

    Potrei proseguire.

    I costi verrebbero recuperati dai soldi guadagnati nel coprire funzioni oggi coperte con altri costi e verrebbero colmati anche dai proventi dello spostamento in avanti dell'età pensionabile e dagli anni in più prestati al servizio.

    Io rimarrei fino agli 80 a queste condizioni se il cervello mi reggesse. Conosco tantissimi colleghi in pensione che anelano nel voler mettere a frutto esperienza e conoscenza e non possono più farlo.

    Infine, cosa non trascurabile, daremmo il posto ai tanti colleghi giovani e precari.
    E li paghiamo noi questi giovani colleghi, con i nostri anni in più di lavoro.
    Se ne avvantaggerebbero i ragazzi: classe docente giovane, motivata, meno stanca.
    E i docenti non ne parliamo: si arriva oggi a 60 anni col cervello sminuzzato e l'animo maciullato (non negate, per favore, uno su due di noi vorrebbe fuggire dalla scuola), pur amando dal profondo questo mestiere e i ragazzi, succhiano il sangue. Lo sappiamo bene.

    Si lo so, prima dovremmo tentare di sanare i guasti fatti, certo, tutte le altre cose che non vanno...le scuole cadenti, le classi affollate..le cose che ripetiamo da anni...

    Secondo me, se ben predisposta, arriverebbero altri soldi, da una manovra del genere e potremmo anche pagarci qualche ridimensionamento equo e solidale di ragazzi in classe , sistemare qualche scuola più rotta delle altre, nell'attesa che un pio governante si renda conto che è giunta l'ora di tornare umani.

    Che ne pensate?

    PS Ogni commento o contributo è ben accetto tranne quelli del tipo "quando andavo io a scuola"..per favore..torniamo umani.

    Mila Spicola


    Eduscuola


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  5. #5
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    Niente pensione anticipata prima di 40 anni


    La deroga di un quinquennio prevista per gli statali dal decreto 112 non vale per la scuola
    La Consulta ha rigettato una questione di legittimità costituzionale relativa ad una norma che preclude solo al personale della scuola la possibilità di andare in pensione 5 anni prima del 40esimo anno di servizio (n.283 del 20 ottobre scorso).
    In tale periodo, gli impiegati delle altre amministrazione prendono mezzo stipendio e in cambio non vanno a lavorare.
    Ma al compimento del 40esimo anno prendono la pensione intera, come se fossero rimasti in servizio anche nel periodo di esonero.
    Ciò non di meno, la Corte costituzionale ha ritenuto legittima la preclusione prevista solo per la scuola. Perché,mentre nella altre amministrazioni statali i lavoratori a mezzo stipendio non vengono sostituiti, nella scuola bisognerebbe provvedere all'assunzione di supplenti e quindi alla fine non ci sarebbe alcun risparmio. E siccome lo scopo dell'art. 64 del decreto legge 112/2008 è proprio quello di ridurre i costi della pubblica amministrazione, il diverso trattamento previsto per la scuola è costituzionalmente legittimo.
    La norma esaminata dalla Consulta è l'art. 72, primo comma, del decreto legge 112/2008, che preclude al personale della scuola di accedere all'esonero nell'ultimo periodo del comma 1.Tale esonero consiste nella sospensione dal servizio per un periodo massimo di cinque anni. E si pone sostanzialmente come una forma di collocamento a riposo, consistente, a domanda dell'interessato, nell'esonero anticipato per i dipendenti pubblici, che abbiano una anzianità contributiva vicina ai 40 anni. Secondo la Corte, però, l'esclusione è legittima, perché risponde alla logica contenuta nell'art.64 dello stesso decreto legge, il cui fine è quello di elevare il rapporto docente:alunni di almeno un punto. In ciò determinando una forte riduzione dell'organico del personale. E tale logica si scontrerebbe con la ratio dell'ultimo comma dell'art. 72, che è quella di far diminuire i costi dell'amministrazione. Ciò spiega la diversità di trattamento tra la scuole e le restanti amministrazioni statali. La normativa del comparto scuola presenta, infatti, talune specificità legate, in particolare, all'esigenza di garantire il rispetto dell'ordinamento didattico e la continuità dell'insegnamento, tali da rendere necessaria una regolamentazione derogatoria di quella vigente per altri comparti dell'impiego alle dipendenze di pubbliche amministrazioni.
    In questo contesto si inserisce la disposizione di cui all'ultima parte del primo comma dell'art. 72 del decreto-legge n. 112 del 2008, che esclude il personale scolastico dalla facoltà di accedere alla procedura di collocamento a riposo anticipato, delineata dai commi da 1 a 6 dell'articolo stesso. Tale scelta limitativa deve ritenersi dettata dalla necessità di rispettare, anche nel caso di cessazione dal servizio, i criteri informatori della normativa in questo settore, in base ai quali, in caso di collocamenti a riposo, è necessario procedere alle sostituzioni del personale cessato dal servizio mediante il ricorso a supplenze o all'immissione in ruolo di altri docenti iscritti nelle graduatorie permanenti.
    E per questi motivi la Consulta ha ritenuto che la posizione dei dipendenti pubblici appartenenti agli altri comparti di contrattazione collettiva non fosse confrontabile con quella dei dipendenti della scuola. Anche perché gli interventi normativi che riguardano l'ingresso e la cessazione dal servizio di questi ultimi devono tenere necessariamente conto di esigenze e ragioni organizzative differenziate, che rendono giustificabile la diversità di discipline normative per quanto attiene alla previsione dell'esonero anticipato. E dunque, sempre secondo la Corte, la disposizione di esclusione del personale scolastico dall'area di operatività dell'art. 72 del decreto-legge si presenta in sintonia con il disegno del legislatore, che appare diretto a realizzare una riduzione del numero dei dipendenti pubblici altrimenti non raggiungibile se il'accesso all'esonero venisse consentito anche al personale della scuola.



    Eduscuola
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  6. #6
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    ciao beva

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    Pensioni: cosa cambia per il comparto scuola


    l’Inpdap ha emanato la circolare n. 16 del 9/11/2011, con la quale ha illustrato le innovazioni normative che interesseranno anche il personale del comparto scuola e Afam.
    Il Decreto legge 13 agosto 2011, n. 138 recante “ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo” convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148 ha introdotto numerose novità in materia previdenziale, aventi riflesso anche sulle prestazioni erogate dall’Inpdap.
    Per tale ragione, l’Istituto ha emanato la circolare n. 16 del 9/11/2011, con la quale ha illustrato le innovazioni normative che interesseranno anche il personale del comparto scuola e Afam.
    Innanzitutto, sono previste novità in merito alla decorrenza dei trattamenti pensionistici: dal 1° gennaio 2012, infatti, per il personale del comparto scuola che matura il diritto a pensione entro il 31 dicembre di ogni anno, viene prevista la c.d. finestra mobile, con la quale l’accesso al pensionamento avviene dalla data di inizio dell’anno scolastico dell’anno successivo a quello in cui si maturano i requisiti per la pensione. Di conseguenza, per coloro che maturano i requisiti per il diritto a pensione a partire dal 1° gennaio prossimo, l’accesso al trattamento pensionistico avverrà al 1° settembre dell’anno successivo alla maturazione dei requisiti.
    Nel caso delle Afam, per le quali vigono le medesime disposizioni, il riferimento sarà l’anno accademico e la data del 1° novembre.
    Nel comparto scuola – chiarisce l’Inpdap – è ricompreso anche il personale dipendente da istituzioni scolastiche pubbliche non statali (per esempio le scuole comunali) a condizione che le stesse abbiano recepito nei propri regolamenti le disposizioni relative all’ordinamento dei docenti della scuola statale.
    La disposizione in esame non si applica invece al personale delle Università per il quale vige il regime della finestra mobile con l’accesso al pensionamento dodici mesi dalla maturazione dei requisiti.
    Ma le novità non terminano qui e sono infatti previsti anche nuovi termini per il pagamento dei trattamenti di fine servizio e fine rapporto, termini differenziati a seconda della causa di cessazione del rapporto di lavoro. In estrema sintesi essi sono:

    · • Termine breve - entro 105 giorni dalla cessazione: in caso di cessazione dal servizio per inabilità o per decesso;
    · • Termine di sei mesi: in caso di raggiungimento dei limiti di età o di servizio previsti dagli ordinamenti di appartenenza (compreso il raggiungimento della massima anzianità contributiva a fini pensionistici ed il collocamento a riposo d’ufficio disposto dall’amministrazione di appartenenza); in caso di cessazioni dal servizio conseguenti all’estinzione del rapporto di lavoro a tempo determinato per raggiungimento del termine finale fissato nel contratto stesso.
    · • Termine di 24 mesi:quando la cessazione è avvenuta per cause diverse da quelle sopra richiamate, anche nell’ipotesi in cui non sia stato maturato il diritto a pensione (dimissioni volontarie; recesso da parte del datore di lavoro).
    Sono però previste delle eccezioni: non è infatti interessato dai nuovi termini il personale del comparto scuola e delle Afam che matura i requisiti per il pensionamento entro il 31 dicembre 2011; rientra nella disciplina derogatoria anche il personale docente dipendente da istituzioni scolastiche comunali a condizione che le stesse abbiano recepito nei propri regolamenti le disposizioni relative all’ordinamento dei docenti della scuola statale.
    Per tale personale i termini rimangono i seguenti:
    1. • 105 giorni per le cessazioni dal servizio per inabilità, decesso, limiti di età o di servizio previsti dagli ordinamenti di appartenenza (comprese le cessazioni per raggiungimento della massima anzianità contributiva a fini pensionistici ed il collocamento a riposo d’ufficio disposto dall’amministrazione di appartenenza) e per le cessazioni dal servizio conseguenti all’estinzione del rapporto di lavoro a tempo determinato per raggiungimento del termine finale fissato nel contratto stesso;
    2. • 6 mesi (+ 3 mesi) per tutte le altre casistiche.


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  8. #8
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    Non basta il contributivo per tutti


    In materia di pensioni la novità che circola in questi giorni che contraddistinguono l'insediamento dei ministri del governo Monti è l'estensione immediata e universale del sistema contributivo di calcolo della pensione secondo il criterio pro rata: immediata, perché decorrerà dal 1° gennaio 2012; universale, perché interesserà lavoratori dipendenti, autonomi, liberi professionisti e politici; pro rata, perché si applicherà solo ai periodi di lavoro dal 2012 in poi.
    L'estensione interesserà, quindi, il servizio del personale della scuola, anche di quei lavoratori che alla data del 31 dicembre 1995 avevano maturato un'anzianità contributiva di diciotto anni e la cui pensione, quando erogata, sarebbe stata interamente calcolata con il sistema retributivo. Questi lavoratori avranno invece una pensione in parte calcolata con un sistema (le anzianità fino al 31 dicembre 2011) e in parte con l'altro (le anzianità successive), cosiddetto sistema misto. Non si tratta di una novità per gli altri lavoratori della scuola, sia per quelli con meno di diciotto anni di anzianità contributiva al 31 dicembre 1995, ai quali il criterio pro rata si applica già dal 1° gennaio 1996, sia per quelli assunti dopo, ai quali si applica integralmente il sistema contributivo (così prevede la legge Dini n. 335 del 1995 di riforma delle pensioni). Ma l'estensione non basta a riequilibrare il sistema e a contribuire a mettere in sicurezza il debito pubblico. In un rapporto del 2001, coordinato da Elsa Fornero, nuovo ministro del Welfare, e da Onorato Castellino, si affermava chiaramente che gli effetti di tale estensione sarebbero stati minimi in termini sia di correzione delle distorsioni microeconomiche sia dei risparmi di spesa. E ciò, anche se l'estensione fosse stata applicata già dal 1° gennaio 2002, figuriamoci ora che sono passati dieci anni (La riforma del sistema previdenziale italiano, Bologna, 2001). E quindi ci sono altri interventi che l'emergenza finanziaria richiede siano adottati anche per eliminare le disparità di trattamento fra generazioni e categorie diverse di lavoratori e gli ingiustificati privilegi, denunciati lo scorso giovedì al Senato da Mario Monti, nuovo Presidente del consiglio. E si parla decisamente di abolire le (future) pensioni di anzianità, aumentando progressivamente le quote (somma di età anagrafica e contributiva) per avere la pensione (per quest'anno e il prossimo la quota è di 96 con almeno 60 anni di età) o introducendo un meccanismo di premi e penalizzazioni a seconda della finestra di uscita, finestra che verrebbe collocata tra i 62-63 anni e i 67-70. Pensioni decurtate per chi esce dal lavoro prima, che è anche la tesi sostenuta nel rapporto del 2001 citato, ad esempio prima dei 65 anni, e pensioni un po' più sostanziose per chi esce dopo. Le penalizzazioni, però, non sono una novità nel nostro sistema, le aveva previste la finanziaria del 1994 per scoraggiare il pensionamento di chi aveva meno di 35 anni di contribuzione. Non sembra nemmeno più un tabù discutere se mantenere il conseguimento della pensione al raggiungimento del solo requisito dell'anzianità contributiva di 40 anni, a prescindere dall'età, o se legarlo invece a un requisito anagrafico, ancora da definire e magari da associare a un meccanismo di incentivi e disincentivi. E così dovrà andare in soffitta la contraddittoria norma del decreto legge n. 112 del 2008 che consente all'amministrazione scolastica di pensionare d'ufficio chi ha raggiunto i 40 anni di contribuzioni. Occorre infine ricordare che il sistema contributivo di calcolo della pensione consiste nel totalizzare i contributi versati nell'arco della sua vita lavorativa dal dipendente e dal datore di lavoro, annualmente rivalutati. Per ottenere la pensione annua si deve applicare al montante ottenuto il coefficiente di trasformazione corrispondente all'età del pensionando. Con il sistema retributivo, invece, la pensione si calcola applicando a ciascuna delle due quote, A e B, di cui è composta la pensione l'aliquota di rendimento corrispondente all'anzianità maturata, rispettivamente, prima del 1° gennaio 1993 e dopo. La quota A corrisponde all'ultimo stipendio percepito; la quota B alla media degli ultimi dieci anni. Il sistema misto utilizza i due metodi di calcolo per determinare la pensione.


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    Pensioni d’anzianità, il Governo punta ad alzare la soglia dei 40 anni: i sindacati non ci stanno


    Per i segretari generali di Cgil, Cisl e Uil sarebbe un provvedimento iniquo. Nella Scuola il Sisa pronto allo sciopero di 48 ore consecutive: tenere docenti e Ata in servizio per 43 anni è un’offesa a lavoratori onesti che pagano le tasse e un danno per i precari. Fibrillazione pure tra i comitati di base.
    Anche i sindacati della scuola fanno muro contro l’ipotesi al vaglio del Governo Monti di modificare sin da subito, introducendo i 41 anni (si parla anche di 43!), la norma che permette ai lavoratori di accedere alla pensione di anzianità subito dopo aver maturato 4 decenni di servizio e prescindendo dall’età anagrafica. Alle dichiarazioni di contrarietà del segretario generale della Cgil, Susanna Camusso (“40 è un numero magico che non tocca”), del leader della Cisl, Raffaele Bonanni (“È molto grave che non ci sia alcun confronto, servirebbe a trovare soluzioni eque”), e della Cisl, sono presto seguite quelle, ancora più agguerrite, di alcuni sindacati della scuola. Per il momento si tratta di organizzazioni minori, ma l’impressione è che appena il provvedimento intrapreso dal Governo diventerà ufficiale, soprattutto se l’incremento di anni dovesse essere superiore ai 12 mesi, tutti i sindacati si troveranno d’accordo nell’entrare in mobilitazione.
    Per il momento a minacciare lo sciopero generale è stato il Sisa, che ha promesso di indire, appena la norma sullo “sfondamento dei 40 anni di lavoro per il diritto alla pensione” sarà approvata, “uno sciopero generale della scuola di due giorni, 48 ore consecutive”. Il sindacato ha anche auspicato che la mobilitazione “possa diventare sciopero generale di tutte le categorie. La scuola e qualunque altro settore, dall’edilizia alle fabbriche, non possono vedere i cittadini dare più di 40 anni di lavoro alla collettività”. Secondo l’organizzazione guidata da Davide Rossi, inoltre, “tenere a scuola docenti e Ata per 41, 42, 43 anni è una offesa a lavoratori onesti e che pagano le tasse e un modo per impedire l’accesso al lavoro per i precari”. Il Sindacato indipendente Scuola e Ambiente cita anche don Milani: “’non vi è niente di più ingiusto che fare parti eguali tra diseguali’”, ed in questo caso, applicando la norma peggiorativa “non solo c’è un trattamento diseguale tra gli abbienti (a cui non si applica la patrimoniale) e i lavoratori (che si vogliono obbligare al lavoro a vita), ma addirittura si fanno parti diseguali tra diseguali, si vogliono condannare a non andare in pensione cittadini che hanno la sola colpa di aver iniziato a lavorare tra i 18 e 27 anni, dando un contributo negli anni migliori della loro vita alla società italiana”.
    La notizia dell’innalzamento del requisito, inoltre, sta mandando in effervescenza anche i comitati di base. Venerdì 2 dicembre, alle ore 16, a Palermo, in piazza Politeama, l'Usb Palermo scenderà in piazza: tra i motivi della protesta c’è anche “l'applicazione del contributivo per tutti, allungamento degli anni necessari per la pensione di anzianità e comunque aumento generalizzato della vita lavorativa”. Il sindacato di base cercherà di “far capire agli italiani che il sogno Monti è solo un brutto ‘incubo’”.



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    Il Governo porta le pensioni d’anzianità ad almeno 41 anni, sindacati in fibrillazione


    La Cgil indice per lunedì 12 dicembre 4 ore di sciopero; Cisl e Uil 2 ore. Dal comparto Scuola forti critiche ma a docenti e Ata per ora viene chiesto solo di riunirsi in assemblea davanti le prefetture. Forti critiche pure da Snals, Gilda (proclama lo stato di agitazione), Anief (farà ricorso in Tribunale) e dagli studenti: pagano sempre gli stessi e non gli evasori e i detentori di grandi patrimoni.
    In linea con quanto annunciato nei giorni scorsi, i sindacati hanno mal digerito la decisione del Governo Monti di portare i contributi necessari per accedere alla pensione di anzianità ad oltre 41 anni per le donne e ad oltre 42 quelli degli uomini. La manovra, che il premier sta in queste ore presentando alle due Camere, che nei prossimi giorni saranno chiamati a votarla, viene considerata dalle organizzazioni sindacali particolarmente iniqua nei confronti dei dipendenti.
    La Cisl e la Uil hanno diramato un duro comunicato contro quella che reputano “una doppia penalizzazione: un allungamento dell'età pensionabile e una riduzione anche della prestazione previdenziale”. Le due confederazioni hanno quindi annunciato “uno sciopero di due ore (le ultime due) lunedì prossimo, per ‘richiedere con forza di aprire il negoziato’ sulla manovra ed in particolare su pensioni e fisco”.
    Per quanto riguarda specificatamente l’Istruzione, la Cisl Scuola per il momento non parla di sciopero, ma ha convocato assemblee in tutte le scuole per la stessa giornata, con presidi presso le Prefetture: “utilizzeremo le ore di assemblea – spiega il sindacato guidato da Scrima - per essere presenti a iniziative di cui condividiamo fino in fondo contenuti e obiettivi. La manovra finanziaria è necessaria, ma il rigore deve andare di pari passo con l’equità, e questo non avviene, anche perché il Governo, sbagliando, ha scelto di eludere un confronto vero con le parti sociali”. La Cisl ha chiesto “elementi certi e visibili di equità, che invece sono quasi del tutto assenti nelle misure annunciate da Monti. Lunedì ribadiremo, fra l’altro, anche la richiesta di fare della scuola e della formazione un terreno di investimenti per sostenere la crescita”.
    Anche la Cgil ha proclamato per lunedì 12 dicembre quattro ore di sciopero con manifestazioni in concomitanza con l'avvio del percorso in aula alla Camera. Secondo il sindacato “l`anzianità 40 anni diventa impraticabile e provoca gli effetti di sottrazione di un diritto e di destabilizzazione del mercato del lavoro”. Ma la Cgil punta l'indice sul Governo anche perché "non ha voluto un confronto con le parti sociali, in particolare sulla previdenza: chiediamo quindi al Parlamento, al quale presenteremo precise proposte di correggere la manovra sui temi indicati, proponendo anche come reperire le risorse".
    Ma ancora una volta i sindacati andranno allo sciopero separati. "Abbiamo proposto a Cisl e Uil di decidere insieme proposte ed iniziative per cambiare la manovra – scrive la Cgil -, la risposta ci è arrivata tramite conferenza stampa con relative autonome decisioni". Cade così il progetto del segretario generale, Susanna Camusso, che poche ore prima aveva detto: “è arrivato il momento di un'iniziativa comune con Cisl e Uil”.
    Anche tra gli altri sindacati la protesta non si è fatta attendere. E si svilupperà in modo autonomo. Secondo il coordinatore della Gilda-Unams, Rino Di Meglio, questa manovra “incide solo in minima parte su sprechi e privilegi, mentre colpisce i diritti acquisiti di milioni di lavoratori e pensionati. Gli insegnanti, naturalmente, rientrano tra questi e, ancora una volta, saranno vessati dalle misure lacrime e sangue del governo”. Il leader della Gilda ha quindi subito “proclamato lo stato di agitazione e, a breve, convocheremo – conclude Di Meglio - gli organismi statutari per decide le azioni di lotta da intraprendere”.
    Critiche pure dallo Snals-Confsal, secondo il cui segretario, Marco Paolo Nigi, l’equità passa “attraverso il ripristino della legalità nel lavoro e nell’economia e attraverso la detassazione di retribuzioni e pensioni. Solo così il rigore dei conti non penalizza i più deboli e il risanamento aggancia la crescita”. Pertanto anche lo Snals ha chiesto l’immediata apertura “di un tavolo di confronto su previdenza, pensioni e welfare”.
    Per l’Anief il decreto “salva-Italia” penalizzerà soprattutto i dipendenti pubblici, ma in particolare “il milione di docenti, assistenti tecnici ed amministrativi della scuola, a cui è stato bloccato il contratto per legge e a cui non sono riconosciuti professionalmente per intero gli anni di precariato dopo il quarto prestato”. Secondo il presidente Pacifico la manovra si abbatte su dei lavoratori, quelli dell’istruzione, “già vessati da uno stipendio inadeguato, a seguito sia del blocco degli stipendi sia dalla mancata valutazione di tutti i servizi pre-ruolo”. Pacifico, che annuncia ricorsi al Tribunale, bisogna ricordare che questo stato di cose “penalizza docenti e Ata due volte: sin da subito perché non dà loro il diritto a essere inseriti in un gradone stipendiale successivo; per il futuro perché lede il lodo diritto a percepire da pensionati un assegno proporzionato al lavoro svolto”.
    Opposizione verso la manovra Monti giungono pure dagli studenti: “ancora una volta – sostengono Rete degli Studenti e Udu - pagano gli stessi mentre gli evasori e i detentori di grandi patrimoni, che si sono arricchiti in questi anni alle spalle dei lavoratori e delle categorie più deboli, non sono chiamati a pagare. Mancano politiche per lo sviluppo, mancano misure efficaci per i giovani e a pagare i venti miliardi previsti continueranno ad essere le categorie più deboli del nostro paese, proprio quelle che più hanno pagato sinora”. Le due associazioni studentesche hanno anche avviato il sito internet futurochevogliamo.it attraverso cui dibattere e confrontarsi su una serie di temi, ad iniziare dalla discussa manovra.


    Tecnica della scuola
    "L'esperienza è maestra di vita"



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