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La prova Invalsi di terza media? Un modello da imitare
Per quanto cerchi sensatamente di tenersene alla larga, l’Invalsi incappa sempre in nodi strutturali non risolti della scuola italiana. Nelle prove del Servizio Nazionale di Valutazione si tratta di ciò che gli studenti debbono sapere e saper fare (Standard? Osa? Traguardi?). Nella prova dell’esame di Stato (per ora della scuola media) si tratta dell’effettivo valore e comparabilità dei voti che danno gli insegnanti nei titoli di studio. Ma la colpa è dell’Invalsi o di chi questi nodi non vuole o non è capace di sciogliere? C’è chi sostiene che, nell’attesa di Godot, nessuno si deve muovere. Ma nel frattempo non esiste alcuna garanzia che ogni insegnante non vada per la sua strada e che non si consumino palesi ingiustizie con voti taroccati. Parliamo degli standard o come che li si voglia chiamare. L’Invalsi si sostituisce al Miur, o meglio ancora al Parlamento che dovrebbe legiferare in proposito! Grazie al cielo i nostri parlamentari della Commissione Cultura si dedicano generalmente ai problemi del personale e sembrano avere un certo senso della misura in relazione alle loro effettive competenze. Quando si dice Miur poi si intende o apparato o esperti. È vero che in passato ottimi laureati in legge dell’apparato hanno discettato e deciso su tutto lo scibile umano, ma ora ci troviamo palesemente di fronte ad un suo indebolimento, anche quantitativo. Gli esperti di ogni matrice poi si sono poi recentemente prodotti in ben tre edizioni di Indicazioni per la primaria e secondaria inferiore ed in un faticosissimo parto per la superiore. Non volendo dare un giudizio sui contenuti di queste elaborazioni, c’è tuttavia un dato incontrovertibile: nessuno si è voluto o potuto misurare con la indicazione di obiettivi concreti e specifici che potessero essere significativi per la concreta attività delle scuole. Qui non si tratta di discettare di conoscenze e di competenze e qui probabilmente ha ragione il professor Israel quando afferma che è più possibile e semplice misurare o verificare queste ultime. Non c’è peraltro nulla di male a misurare le conoscenze. Vogliamo parlare della condizione ortografica e grammaticale degli avvisi pubblici di ogni genere? Si tratta di creatività o degli stessi “buchi neri” che fanno disperare i prof universitari quando debbono leggere o meglio correggere le tesi? E la causa sta solo nelle maestre piombate nella più bieca ignoranza? O si tratta di uno dei frutti perversi e ritardatari di un antiautorismo d’accatto? Ed è poi così fuori luogo una bella batteria annuale di item Invalsi che ribadiscano la bellezza dell’h davanti alla a? È peraltro vero che gli item dell’Invalsi, nonostante quanto ne dicano detrattori anche famosi come Luciano Canfora, non sono affatto quiz, ma al contrario richiedono prestazioni di livello intellettuale più raffinato. Ed in quanto tali possono essere definiti test di competenze. La qual cosa è stata ben capita dagli insegnanti che – a differenza dei cattedratici – li analizzano e a volte ne lamentano non il semplicismo, ma l’eccesso di difficoltà. E sta qui la ragione profonda dell’assenza della sollevazione di massa dei docenti che alcuni sembravano attendere. È anche vero che a volte i terreni su cui si muovono – come l’analisi dei testi letterari – sono molto delicati ed opinabili e che bisogna andarci con i piedi di piombo, poiché l’ambiguità, che è caratteristica del testo letterario, mal si presta a minuziose letture univoche. Bene sta facendo Invalsi a spostarsi sul terreno dei testi funzionali, garantendo che i nostri studenti non riproducano pappagallescamente sofisticate analisi strutturaliste senza poi saper leggere le istruzioni del frigorifero. Tuttavia la tradizione della scuola italiana è sempre stata, a torto o a ragione, legata all’ analisi del testo letterario e forse sarebbe stato un eccesso di novità cominciare a piedi uniti con letture di grafici e di analisi statistiche. È poi forse il caso di dire una sgradevole verità. Che cioè l’apparato italiano di pedagogisti e cultori delle varie materie a livello universitario si è dimostrato incapace negli ultimi 20 anni di produrre un Sillabo minimamente attendibile che fosse di guida alle attività didattiche delle scuole. E che in questo vuoto, dovuto in parte alla cultura dell’inconoscibile e dell’impalpabile, ma forse più realisticamente alla incapacità culturale, si sono inserite le grandi valutazioni internazionali di Iea ed Ocse, che hanno dato delle linee e dei punti di riferimento. Che in altri paesi come la Germania hanno offerto il terreno per predisporre valutazioni nazionali ai vari livelli e con diversi obiettivi, confrontando i Framework internazionali con la tradizione culturale e pedagogica nazionale. E che qui invece faticano a trovare interlocutori validi, anche necessariamente ed auspicabilmente critici; le stesse associazioni disciplinariste si sono adeguate più o meno prontamente, ma non sono state un’avanguardia. Per il bene o per il male bisogna sempre ricordare che la battaglia per le valutazioni esterne standardizzate l’hanno condotta gli economisti dell’istruzione. Quando poi ci si sente sempre ricordare che la valutazione effettuata dagli insegnanti è “altra cosa”, si sente il desiderio di avere qualche informazione più chiara a riguardo: si tratta del fatto che si misura il percorso e non il punto di arrivo? O del fatto che solo una valutazione individuale e soggettiva può valutare competenze per esempio di espressione orale? Questo è ovvio, purché non si tratti della ben nota e famigerata interrogazione che è per lo più un modo di sprecare il tempo per verificare un mero possesso di conoscenze. Ma la valutazione “interna” e quella esterna debbono essere complementari e non sovrapposte. Tutte e due però di buon livello … Infatti, come nel caso della polemica sulla certificazione, il punto debole di certe posizioni sta nell’analisi dello stato attuale delle scuola italiana. In quel caso si sosteneva con molta decisione che è pratica comune della nostra scuola attuale collocare l’acquisizione di conoscenze in un contesto finalizzato al che farsene per la costruzione del proprio Io. Cioè alle competenze. In questo caso si ipotizza che non sia possibile introdurre alcuna forma di valutazione standardizzata, di cui infastidisce la pretesa di oggettività e di assolutezza. La valutazione dovrebbe invece essere fatta esclusivamente dai docenti di classe in continua interazione fruttuosa con i colleghi (attenzione! sulla valutazione!) ed in collegamento con le università. Sarebbe facile fare dell’ironia sul realismo di questo panorama. Purtroppo in Italia siamo ben abituati ad argomentazioni che condannano il possibile in nome dell’ideale ovviamente inesistente. Qualcuno può pensare che il difetto stia nell’estendere a tutta la scuola italiana le caratteristiche che sarebbero proprie dei licei, dove la presenza di una élite culturale ed intellettuale renderebbe possibili ed anzi comuni condizioni di apprendimento ideali, che verrebbero guastate dall’intrusione di maldestre domanducce di basso livello. Ma questo qualcuno ha messo piede nei nostri licei? È stucchevole ripetere che le eccezioni ci sono sempre, ma nella grande massa l’impressione è che sia perfino accentuata, rispetto agli altri tipi di scuola, l’abitudine ad una mera riproduzione delle conoscenze, grazie alla maggiore alfabetizzazione ed alla più formale educazione degli allievi. In definitiva l’impressione di un osservatore disinteressato è che il mondo esterno all’Invalsi che, per le più varie ragioni, ritiene di dover avere voce in capitolo si collochi a volte in posizioni di avversità pregiudiziale perché pensa di non essere sufficientemente consultato e valorizzato. Può essere che ciò sia vero, ma va tenuta in conto la difficoltà estrema in cui questa operazione si è mossa, l’arretratezza e l’ostilità della cultura della sinistra ed il solo parziale interesse e l’ambiguità di quella della destra in proposito. L’operazione Invalsi è iniziata più di 10 anni fa e solo la distrazione e l’incapacità di visione strategica dei suoi avversari, oltre che l’insostenibilità della realtà sociale italiana, ha permesso che si arrivasse, sia pur faticosamente, a questo punto. Punto che peraltro ogni anno viene con violenza rimesso in discussione da una rumorosissima minoranza. Si potrebbe anche pertanto capire una certa sindrome dell’assediato, che dovrebbe però scomparire via via che, come sta avvenendo, la situazione si afferma e si stabilizza. Tornando al nodo strutturale della presenza di una parte standardizzata negli esami, non si capisce come i sostenitori del valore legale del titolo di studio non comprendano che questa è la sola strada per mantenerlo. O forse si pensa di poter continuare con la disparità nei giudizi fra le varie parti d’Italia, notissima disparità che però 10 anni fa non si poteva neanche nominare e che solo le valutazioni esterne nazionali ed internazionali hanno messo in bella evidenza? Alcuni presidi ed insegnanti della media lamentano che ciò impedisce loro di dare la valutazione che ritengono giusta per i loro allievi. Innanzi tutto sarebbe interessante, sulla base dei dati, capire se, dalla data di introduzione della Prova Nazionale c’è davvero stato un tracollo dei voti di eccellenza, che son quelli per i quali si sarebbe verificato il problema. E poi non tutti la pensano così: c’è chi pensa che un controllo dall’esterno delle reali qualità degli allievi possa mettere in rilievo pregi e difetti che la scuola non sempre vede. Ad esempio, pare che le cosiddette intelligenze naturali, magari meno coltivate e socializzate, a volte in questo tipo di sfide tutt’altro che nozionistiche diano esiti insospettabili.
Il Sussidiario
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Al via i test Invalsi per la licenza media
Stamattina 500 mila studenti saranno impegnati nella prova che contribuirà alla valutazione finale del diploma. La novità di quest’anno è la misura volta a ridurre il fenomeno dei “copioni”. Ma ci sono forti dubbi ancora sulla validità di questi test. Al via il primo test Invalsi di licenza media “anticopioni”. Nella mattina di oggi i 500mila studenti che frequentano la terza media saranno impegnati nella prova predisposta dall’Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione. La prova - contrariamente a quelle somministrate alle elementari, in prima media e al secondo anno delle superiori - contribuirà alla valutazione finale del diploma. La novità di quest’anno è la misura volta a ridurre il cosiddetto fenomeno di cheating, che in inglese significa “barare”: cinque diverse versioni dei quizzoni con le domande disposte in modo diverso.
Sembra infatti che nelle scorse edizioni della prova Invalsi, gli esperti dell’istituto di Frascati abbiano individuato “comportamenti anomali”. Nessuno, ovviamente, beccato con le mani nella marmellata ma, attraverso elaborazioni statistiche, è emerso che in alcune realtà si copia di più e in altre di meno. Il cheating può essere dovuto all’aiutino del prof durante la prova o alla mancanza di adeguata sorveglianza durate i test di Italiano e Matematica che consente ai ragazzini di darsi una mano a vicenda. L’anno scorso, i più copioni furono gli studenti calabresi e siciliani.
I primi, secondo l’Invalsi, hanno registrato un indice di propensione al cheating pari al 17 per cento in Italiano mentre ai secondi spetta il record per la Matematica: con un indice di propensione al cheating pari addirittura al 30 per cento.
Un parametro che è in grado di dire quante risposte corrette sono state fornite dagli studenti per effetto della loro preparazione e quante sono le risposte suggerite dai prof e racimolate da bigliettini, libri e altri stratagemmi dei ragazzi per azzeccare la risposta corretta.
Ma qual è l’impatto della prova Invalsi sulle esame di terza media? Per espressa disposizione dell’Istituto nazionale di valutazione, i professori non possono attribuire al quizzone un voto in decimi inferiore a quattro. E cosa sono in grado di dirci sull’apprendimento dei nostri ragazzini i test Invalsi? A rispondere a questa domanda ci ha provato Tommaso Agasisti, docente di ingegneria gestionale al Politecnico di Milano, che attraverso un recente studio effettuato alcuni mesi fa ha analizzato i risultati del test Invalsi di una terza classe dello scorso anno.
I test sono in grado di fornire un’informazione abbastanza precisa, anche al netto del cosiddetto cheating, sulle competenze in Italiano e Matematica degli alunni italiani. Con la possibilità di confronti fra classi, scuole e studenti (italiani e stranieri o di diverse aree geografiche). Ma non possono dirci “tutto quello che - spiega Agasisti - sarebbe utile conoscere”. “Il principale limite metodologico” è che “i dati sul singolo anno riflettono variabili “esterne” che non possono essere modificate dalle scuole: background degli studenti, caratteristiche di contesto, ecc”. Ma, soprattutto, “quanta parte dei risultati degli studenti può essere attribuita all’azione della scuola”.
Eduscuola
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Invalsi, ecco tutti i segreti del “mostro” che produce i test temuti da studenti e prof
Dall’anno prossimo le prove di valutazione saranno estese al diploma di maturità e in futuro ai test d’ingresso dell’università. L’ente che le impone è commissariato da due anni, il personale è in gran parte precario. E la sede è in una faraonica villa del 600 che costa “solo” mille euro d’affitto e altri 250mila in manutenzione. Il ministero continua a puntare su questi quiz: il timore dei sindacati è che l’obiettivo siano nuovi tagli alla scuola
Per molti è un esame di Stato un po’ astruso, per altri un’inutile perdita di tempo. Qualcuno è convinto invece sia una vera e propria “mina” piazzata nelle fondamenta della scuola italiana. Nome in codice “Invalsi” che sta per Istituto nazionale di valutazione del sistema educativo, quello che - tra le altre cose – prepara i test standardizzati per valutare il livello d’apprendimento degli studenti e la qualità generale del sistema-istruzione. Innocui quiz a scopo statistico? Non proprio. Perché dietro a quel nome girano un sacco di soldi, problemi, intenti, sospetti e beghe politiche. Invalsi è ancora e soprattutto un ente pubblico commissariato da anni e nebuloso da sempre, con i suoi test detestati, i fondi che affondano, il personale precario e il tutto nella curiosa cornice di una faraonica villa del 600 a Frascati, che costa solo mille euro d’affitto ma altri 250mila in manutenzione. E tutto per 45 dipendenti, un vero affare.
Ma a quale mondo appartiene la creatura “Invalsi”? Un tempo si chiamava Centro europeo dell’Educazione ed era una struttura burocratica e asettica, di “servizio” e uso interno del ministero. Roba ignota ai più. In un trentennio, oltre a cambiare nome, ha cambiato natura, missione e dimensione. “Ente di diritto pubblico” dal 2004, a suon di decreti ministeriali l’Invalsi diventa il perno delle politiche di valutazione della scuola e ondeggia pericolosamente tra le mani dei governi che si succedono e in continuità tra loro sognano di farne un potente strumento per la valutazione degli istituti e degli studenti nell’era in cui tutti – almeno a parole – professano l’autonomia scolastica. Ed entra così a forza nella vita degli italiani: nel 2007 arrivano, in forma sperimentale, i primi test tra le 141mila classi d’Italia, dal 2009 concorrono per legge alla valutazione degli alunni nell’esame di Stato di terza media (materie italiano e matematica e ora inglese). Nelle altre classi (II primaria, V primaria, prima media, seconde superiori) non concorrono a valutazione ma servono a fornire alle scuole dati sui livelli d’apprendimento raggiunti dai propri studenti. Questo lo stato dell’arte, perché dall’anno prossimo sembra certa l’estensione della funzione d’esame al diploma di maturità e in futuro ai test d’ingresso dell’università (al momento 12 atenei hanno aderito ai test Teco voluti all’Anvur per misurare la preparazione degli studenti del triennio e dell’ultimo anno del quinquennio).
Quanto ci costano questi test. Per le prove somministrate nel 2012 a 2,9 milioni di studenti si sono spesi 7,4 milioni di euro. Buona parte serve a pagare i “somministratori” delle prove che hanno contratti temporanei ma ben pagati: “un dirigente scolastico può integrare stipendio o pensione con 450 euro lorde al giorno, un professore laureato con 5 anni di servizio è pagato 180 euro per ogni somministrazione (classe o scuola, a seconda del profilo per cui è selezionato)”, denuncia l’Unione sindacale di base della scuola. Il tutto per prove che, a detta degli stessi professori, sono l’esatto opposto della valutazione formativa realizzata tutti i giorni in classe. “Che ci stiamo a fare noi?”, si chiedono in tanti. Al di là dell’utilità c’è un altro problema, forse più urgente ancora: quello dei fondi. Il Miur era partito in quarta mettendo sul piatto dell’Invalsi un sacco di soldi. Nel 2005 il contributo statale era di 10,9 milioni. L’ambizione iniziale deve fare però i conti con la coperta corta elle risorse pubbliche che vengono via via ridotte. Oggi il contributo ministeriale non supera i 2,9 e da tempo l’Invalsi si tiene in vita grazie a fondi europei (PON) e progetti straordinari. Più volte l’ente ha rischiato di portare i libri in tribunale: ancora nel 2012, ad esempio, il bilancio di previsione registrava un disavanzo di competenza per 13,1 milioni cui si è fatto fronte con una quota di avanzo di amministrazione di 22 milioni di euro. Così la “creatura” del Miur, commissariata, si avvia verso il destino comune a tanti “carrozzoni” di Stato, inaugurati tra fuochi d’artificio e poi lasciati a bordo strada senza benzina e nell’incertezza totale. E ora tocca capire su quale strada marcia.
Una direzione è tutta interna alla scuola. Invalsi serve anche a valutare la qualità dell’insegnamento nelle istituzioni scolastiche. Su questo serpeggia da sempre il timore che le prove standardizzate e l’attività di osservazione della scuola da parte di Invalsi non siano asettiche, come viene ufficialmente dichiarato. Ma siano piuttosto finalizzate a stabilire un sempre più incisivo “benchmarking” (così è scritto nel piano triennale 2013-2015) tra le scuole che la politica potrebbe usare in modo strumentale per tagliare, accorpare, cancellare i rami secchi nel grande albero dell’istruzione, premiare o punire professori e dirigenti con progressioni di carriera o riconoscimenti economici. Il timore si è alimentato anche per il fatto che “l’operazione Invalsi” coincide di fatto con la stagione dei grandi tagli alla scuola pubblica, avviata nel 2009 che ha portato alla riduzione di 8 miliardi di spesa e cancellato 130mila posti di lavoro tra personale docente e ausiliario.
Indice di questa paura è quanto accaduto a maggio, con l’ultima tornata di test, quando i sindacati di base della scuola e centinaia di professori hanno tentato di boicottare le prove. Il tentativo di “disobbedienza” è stato un flop. A Firenze, ad esempio, su 12 istituti solo uno ha rigettato il test. Che del resto divide la scuola: molti professori difendono la cultura della valutazione e pensano di poter utilizzare gli esiti delle prove Invalsi per migliorare la propria didattica, altri invece detestano e temono l’uso improprio del “quizzone” ma anche le conseguenze di un eventuale boicottaggio. “Siamo arrivati al punto in cui i test facoltativi sono resi obbligatori dagli stessi professori imponendoli come integrazione al voto”, spiega Barbara Battista, responsabile della Usb Scuola. Altri hanno attrezzato “bigini” artigianali per aiutare gli alunni a superarlo sperando così da assicurarsi un buon punteggio come classe e istituto. Non sono mancate minacce di provvedimenti disciplinari a carico di quei professori che, invece, si sono resi indisponibili a far eseguire il test.
Ma sarà un’ossessione o davvero l’Invalsi è in potenza la “macchina” che la politica vuol mettere in moto per potare la scuola? E se sì, sulla base di quali obiettivi e quale visione della scuola? L’ex ministro Profumo nella sua audizione alla Camera aveva indicato la strada entro il 2014: un primo livello di autovalutazione della scuola nel solco dell’autonomia, un secondo livello tramite valutazione esterna (Invalsi), un protocollo finale di miglioramento cui sono subordinati gli obiettivi dei Dirigenti scolastici che, in questo modo, contrattano la parte premiale del loro stipendio. Ad alimentare il dubbio anche la scelta dei vertici dell’Invalsi. Uomini del Miur? Esperti del mondo della scuola? No, da due anni a questa parte il commissario straordinario è Paolo Sestito, direttore superiore della Banca d’Italia. Non a caso, anche dentro l’Invalsi, si lamenta la progressiva trasformazione dell’ente in un’appendice del Tesoro e di via Nazionale. Senza però i benefici, visto che oltre il 50% dei lavoratori dell’ente è composto da precari, molti in servizio da oltre 13 anni e con contratto in scadenza al 31 dicembre (col rischio che l’istituto si svuoti del tutto). Nel complesso i tempi indeterminati fra ricercatori, collaboratori tecnici e amministrativi non arrivano alle 30 unità che, per valutare le quasi 10mila istituzioni di primo e secondo ciclo, un organico a detta degli stessi “decisamente sottodimensionato”.
Certo i dipendenti Invalsi si possono consolare guardando fuori dalla finestra. Lavorano nella splendida cornice di Villa Falconieri a Frascati (foto sopra), un sontuoso palazzone di fine 600 ma decisamente inadatto a sede di un ente di ricerca, con condizioni precarie anche dal punto di vista sanitario: un intero piano ha solo un bagno per quasi 30 persone, gli uffici stessi non sono a norma, tanto che è stato fatto anche un esposto alla Procura della Repubblica per prese e fili volanti, parapetti bassi, ecc). Gli ascensori non funzionano ormai da mesi e alcune stanze sono completamente inagibili perché umide o con infiltrazioni d’acqua. Mancano spazi adeguati a consentire lo sviluppo tecnologico di un ente che gestisce una enorme mole di dati. Ecco spiegata la bizzarria di un affitto di soli 1.260 euro per un immobile che vale (almeno sulla carta dell’Agenzia del Demanio) 19,9 milioni ma richiede 259mila euro l’anno in spese per la manutenzione. Le pulizie? Il costo varia tra gli 80 e i 60 mila euro. Solo il riscaldamento ne costa 40mila, mille euro a dipendente. Per fortuna il tutto è così lontano da Roma da non essere visibile agli esterni (e logisticamente scomodo per i dipendenti). E forse anche questa è una scelta precisa: meglio non far sapere che il “mostro” che fa paura alla scuola è in realtà un altro frutto amaro della politica.
Eduscuola
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La Gilda critica sul sistema di valutazione
Il nuovo Governo agisce in continuità col vecchio. Il testo pubblicato in G.U non presenta obiettivi e finalità sanzionatorie né un sistema di premialità: FGU-Gilda rimane quindi critica rispetto alle scelte politiche in tema di valutazione In particolare, per la parte tecnica, la Gilda in un comunicato si dice preoccupata per il meccanismo che rischia di diventare un ulteriore aggravio di lavoro burocratico per chi insegna (compilare tante carte per giustificare il processo), togliendo tempo e spazio all´attività professionale principale degli insegnanti: cioè insegnare, appunto. E preoccupa alla FGU-Gilda degli Insegnanti il ruolo affidato all´Invalsi, le cui prerogative sono ampliate notevolmente. L´art. 3 del regolamento affidata infatti all´Invalsi i poteri di proporre i protocolli di valutazione e i programmi delle visite alle istituzioni scolastiche da parte dei costituendi “nuclei di valutazione”, di definire gli indicatori di efficacia e di efficienza per identificare le scuole in crisi e gli indicatori per la valutazione dei dirigenti e di redigere un rapporto periodico sul sistema scolastico e formativo. Inoltre, anche l´autovalutazione delle scuole dovrà seguire il quadro di riferimento predisposto dall´Invalsi (art. 6). In questo modo, valutazione esterna ed interna si uniformano, annullando ogni possibilità di confronto dialogico tra la situazioni e invadendo l´ambito della libertà d´insegnamento. Diversa e più articolata la funzione dell´ Indire che interviene a supporto dei piani di miglioramento, adottati autonomamente dalle singole scuole (art.4). La Gilda FGU rileva ancora con inquietudine che all´ Invalsi (Organo tecnico) sono stati affidati poteri inappellabili. Questa scelta non appare utile ad un effettivo miglioramento dell´ offerta formativa (es. mancano tutti gli indicatori di efficacia e efficienza, mancano i parametri sui quali si valutano le scuole), ma può preludere ad un irrigidimento e ad una conformistico adeguamento a criteri e modelli definiti da un organismo tecnico e non politico. Conseguenza che, nella Scuola di Stato come concepita dalla nostra Costituzione, potrebbe risultare assai grave.
Tecnica della scuola
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Presentato il Rapporto Invalsi 2013
Risultati insoddisfacenti nelle regioni del Mezzogiorno, dove le differenze sono molto marcate anche tra un istituto e l’altro o addirittura tra classi della stessa scuola. Va meglio al Nord, mentre al Centro i risultati tendono a peggiorare nel passaggio dalla scuola secondaria di primo grado a quella di secondo grado. Come già anticipato, è stato presentato oggi il Rapporto Invalsi “Rilevazioni nazionali sugli apprendimenti 2012‐13”.
Il documento riporta a livello di sistema nazionale e regionale i risultati delle rilevazioni sugli apprendimenti condotte nel maggio e nel giugno 2013. Gli ambiti coinvolti sono l’italiano e la matematica e i gradi scolastici rappresentati sono quelli coinvolti nelle rilevazioni, quindi la II e la V primaria, la I e la III secondaria di primo grado, e la II secondaria di secondo grado.
Il quadro che emerge è decisamente variegato, con evidenti differenze territoriali. Purtroppo, è confermata la situazione più svantaggiata del Mezzogiorno, dove i risultati sono meno soddisfacenti, pur con differenziazioni al suo interno, perché Abruzzo, Molise, Puglia e Basilicata vanno un po’ meglio delle altre regioni del sud. Il divario territoriale, come negli anni passati e così come evidenziato nelle maggiori indagini internazionali sugli apprendimenti, cresce lungo il corso degli studi. Le regioni meridionali denotano anche una maggiore variabilità interna dei propri risultati e, specie nei primi due segmenti (il primario e il secondario di I grado), questa maggiore variabilità interna si associa ad una maggiore quota di variabilità tra scuole e tra classi della stessa scuola. Questo vuol dire in sostanza che non solo le scuole delle regioni meridionali ottengono risultati in media più bassi ma anche che le differenze tra un istituto e l’altro sono maggiori di quanto non accada nelle altre aree dell’Italia.
Anche le regioni del Centro non vanno meglio e denotano un certo peggioramento della propria posizione relativa nel passaggio dalla scuola secondaria di primo grado a quella di secondo grado.
Meglio al nord, dove in seconda superiore gli studenti del Nord-Ovest e del Nord-Est appaiono in vantaggio di una decina di punti rispetto al Centro, di circa 20-30 punti rispetto alle due macro-aree meridionali.
Tecnica della scuola
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Alle prove Invalsi si copia? Sembra proprio di sì
E se si copia a cosa servono le prove? A usare questa pratica truffaldina sarebbero gli studenti di Calabria, Sicilia e Lazio. E inoltre: se i risultati complessivi rispecchiano quelli degli altri anni, perché non si sono colmate le lacune? Forse l’anno venturo? O l’altro ancora? Niente copioni, altrimenti che senso avrebbe una prova che deve misurare i battiti complessivi del nostro sistema di istruzione? Per intervenire nelle aritmie o nelle brachicardie infatti occorre che la prova sia il più possibile omogenea e che tutti gli elettrodi siano ben collegati e funzionanti, e invece? E invece si scopre che copiare è l’attività che meglio sanno fare i nostri alunni, spalleggiati, bisogna dirlo, con ogni probabilità da chi deve vigilare. È vero che molti docenti sono critici nei confronti del sistema nazionale di valutazione, ma la deontologia professionale dovrebbe imporsi e anche se la pena è ingiusta, Socrate insegna, e pur se iniqua, accettarla. E durante la sua relazione di oggi, il Commissario Invalsi, sulla base delle sue statistiche, ha individuato dove dorme la lepre della copiatura, e cioè nelle prove per l’esame di terza media. I quelle tane infatti, visto lo spauracchio del voto finale nell’attestato di licenza, si acquatta la povera bestia, mentre le terra della sua frequentazione pare siano quelle del sud e in modo particolare Calabria e Sicilia, un po’ meno in Campania, Puglia e Lazio. Ma dalle parti dell’Invalsi tuttavia bisogna dire che non ci sono cacciatori di lepri del tutto sprovveduti e allora ecco la minaccia: il prossimo anno provvederemo, “abbiamo in serbo altre novità ma non possiamo svelarle”. L’attesa è dunque alla riapertura delle scuole, quando si avranno i risultati, e allora nulla toglie che ci possa essere la possibilità di individuare le irregolarità e quindi di prendere i provvedimenti del caso che però rimangono, anch’essi, segreti. La conclusione generale di tanto spreco di forze e di intelligenze è comunque quella, al di là delle copiature, che i gli studenti del Nord ottengono i risultati migliori dei loro colleghi del sud che, come al solito, arrancano. E proprio questo: “come al solito” che fa male. Se infatti il responso Invalsi anno per anno è sempre lo stesso, a cosa serve questo sistema di valutazione? In altri termini, quale cura è stata intrapresa per pareggiare i conti fra sud e nord? Chi si sta prendendo la briga di bloccare le brachicardie meridionalistiche? Se si è scoperta, come avviene anno dopo anno, la tana della lepre meridionale un po’ acciaccata, ci sarà pure qualche cacciatore bene intenzionato a tirarla fuori? O è sufficiente solo l’odore della fiera per tirare avanti?
Tecnica della scuola
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Gli Invalsi confermano: l’Italia è spaccata in due. Al Nord studenti più preparati che al Centro-Sud
Presentati i risultati 2013 dei test sulla scuola italiana. Purtroppo con poche sorprese: la provincia di Trento al top, Sicilia quasi sempre ultima nelle graduatorie. Femmine meglio dei maschi, e il divario tra settentrione e meridione si allarga
IL RAPPORTO sugli apprendimenti 2013 dell’Invalsi promuove la scuola di Trento e rimanda a settembre quella meridionale. Bocciata la scuola siciliana, ultima in 8 delle dieci classifiche regionali stilate dall’istituto di Frascati. Questa mattina, a Roma, gli esperti dell’Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione hanno presentato i risultati dei test Invalsi somministrati dal 7 maggio al 17 giugno scorsi a quasi 3 milioni di alunni italiani. Rapporto pubblicato a tempo di record, 24 giorni dopo la prova nazionale di terza media. Alla presentazione era presente anche il ministro dell’Istruzione, Maria Chiara Carrozza, che ha sottolineato il valore formativo della valutazione e gettato acqua sul fuoco rispetto alle polemiche che ogni anno accompagnano i test Invalsi.
Una operazione, ha spiegato il ministro, che deve “uscire da una logica di ‘guerre di religione’ essendo ben consapevoli del fatto che non si tratta del ‘giudizio di Dio’”. E che dovrebbe essere invece considerata “come ascolto e come occasione di conoscere meglio la scuola e i suoi problemi, che sia un’utile guida per un percorso dove sono sempre le persone, con il loro impegno, a fare la differenza”.
Ma c’è chi la pensa in un altro modo. “Nessuna ‘guerra di religione’ - replica alla ministra la senatrice Alessia Petraglia, capogruppo di Sinistra, ecologia e libertà in commissione Istruzione - ma i risultati ottenuti nei test Invalsi non possono misurare gli esiti educativi complessivi di quelle scuole che riescono, spesso con risorse scarsissime, a motivare alla frequenza anche gli alunni più svantaggiati”.
“La valutazione scolastica - prosegue la parlamentare - è tema delicato che non si può affrontare in maniera parziale e senza una interlocuzione continua e approfondita con il corpo insegnante. Piuttosto è grave – prosegue Petraglia – che la ministra Carrozza non dica nulla sull’impoverimento e la marginalizzazione che la scuola ha subito nel nostro Paese a causa dei tagli e senza peraltro intervenire sulle situazioni più critiche”. I dati snocciolati poche ore fa confermano l’enorme differenza di performance esistente ancora in Italia tra le regioni settentrionali e quelle meridionali del Paese. Un gap che in alcuni casi si accentua rispetto all’anno scorso.
In cima alla classifica dei sistemi scolastici regionali c’è quello della provincia autonoma di Trento, che in quasi tutte le graduatorie di Italiano e Matematica - riguardanti gli alunni della seconda e quinta elementare, prima e terza media e seconda superiore - si piazza in testa. Ma sono le regioni del Nord-Ovest a strappare, tra le aree geografiche, i migliori risultati. In fondo alla classifica si piazzano le regioni meridionali, Calabria, Sardegna e Sicilia in particolare. Un divario, che a distanza di 12 mesi, si è addirittura incrementato. Basta fare qualche esempio. I 200 punti della media nazionale per tutte le prove diventano 215 in Piemonte e 178 in Sardegna per la prova di Matematica della scuola superiore.
Una differenza di 37 punti che l’anno scorso ammontava “soltanto” a 27 punti. In parecchi casi, quindi, il gap tra Nord e Sud si è amplificato. La peculiarità del sistema formativo italiano a due velocità è dato da due diversi trend: al Nord le performance migliorano dalla seconda elementare ella seconda superiore; al Sud e nelle regioni dell’Italia centrale l’andamento si inverte. E i risultati peggiorano procedendo verso le classi della scuola secondaria di secondo grado. Tra le regioni dell’Italia centrale spiccano i buoni risultati delle scuole delle Marche, in testa a tutte le regioni del raggruppamento centro-meridionale.
Permangono quasi inalterate le differenze di performance, evidenziate già in passato, tra alunni maschi e femmine, a vantaggio di queste ultime; tra italiani e stranieri, a vantaggio dei primi, e alunni in regola col percorso scolastico e in ritardo. Si confermano superiori le performance degli studenti liceali rispetto ai compagni che frequentano gli istituti tecnici e professionali, ma capita anche che un liceale meridionale si veda superato da uno studente che frequenta l’istituto tecnico in una scuola del Nord. Leggermente meglio, nel complesso, le competenze in Italiano rispetto a quelle in Matematica.
E a sorpresa, nel corso della presentazione dei risultati, Roberto Ricci - a capo degli esperti dell’Invalsi - svela che le enormi differenze di performance fra la scuola settentrionale e quella meridionale sono da attribuire soltanto in parte alle diverse condizioni socio-economiche e culturali. Tali differenze sarebbero dovute, in base alle elaborazioni effettuate dall’istituto, al diverso funzionamento tra i sistemi scolastici. “La notizia positiva è che - ha detto durante la presentazione - ci sono ampi margini di miglioramento”. In apertura, i precari dell’Invalsi hanno letto un comunicato al ministro sulla condizione dell’istituto, che non ha ancora i vertici dirigenziali, e dei precari che non hanno certezza del futuro.
Il ministro Carrozza si è impegnato a risolvere il primo punto entro luglio. Nel corso di quasi tre ore di presentazione, i relatori hanno sottolineato a più riprese il ruolo di supporto alle decisioni delle singole scuole che svolgono le rilevazioni condotte dall’Invalsi. Senza nessuna intenzione inquisitoria né premiale. E con un occhio rivolto al web, con una indagine - condotta via internet - sulla percezione di studenti e genitori delle prove del primo grado.
Eduscuola
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Invalsi 2013. Tra novità e conferme
Il rapporto 2013 dell’Invalsi, presentato la scorsa settimana a Roma alla presenza del ministro Carrozza, si è basato su un campione di circa novemila classi e di oltre 189mila studenti. Complessivamente, nell’anno scolastico 2012-2013, sono state coinvolte nelle prove Invalsi di italiano e matematica 13.232 scuole, 141.784 classi e 2 milioni 862mila studenti.
Tuttavia le considerazioni svolte dal commissario dell’Invalsi Paolo Sestito e dal responsabile delle prove Roberto Ricci si sono fondate sui risultati del solo campione, più affidabili per varie ragioni (dimensioni e taratura del campione, presenza durante le prove di un osservatore esterno, filtri anti-cheating).
In sintesi si può dire che il divario tra Nord e Sud del Paese risulta confermato nei risultati conseguiti dagli studenti ai vari livelli (seconda e quinta elementare, prima e terza media e per la prima volta secondo anno delle superiori). Divario che si nota già nei gradi iniziali di scuola ma che tende a crescere lungo il ciclo di studi.
Qualche miglioramento tuttavia si è registrato in alcune Regioni: Abruzzo, Molise, Puglia e Basilicata, da porre in relazione, probabilmente, con una maggiore efficacia delle azioni di formazione in servizio.
Quanto alle macrotendenze emerse dalle prove si conferma, per l’italiano, una maggiore familiarità dei ragazzi con i testi narrativi, rispetto a quelli basati su quesiti espositivi o di tipo misto, nei quali viene richiesto anche di interpretare dati e grafici funzionali all’esposizione dei contenuti del testo. Minori competenze sono state anche evidenziate nelle risposte ai quesiti di natura grammaticale rispetto a quelli di comprensione del testo.
Anche sul fronte della matematica, più conferme che novità: negli ambiti ‘spazio e figure’ e ‘relazioni e funzioni’ gli alunni incontrano maggiori difficoltà rispetto agli ambiti ‘numeri’ e ‘dati e previsioni’.
I risultati dei test Invalsi saranno restituiti alle singole scuole a settembre, e potranno essere utilizzati come indicatori per l’autovalutazione di istituto e per l’attività didattica degli insegnanti in classe. I risultati ‘macro’, come quelli illustrati nel Rapporto, potranno invece essere utilizzati dai decisori politici centrali per eventuali adeguamenti dei programmi (‘indicazioni’) nazionali e/o per iniziative di formazione iniziale e continua dei docenti, in primo luogo – ma non solo – di quelli delle materie interessate, data la trasversalità delle abilità e delle competenze testate attraverso le prove di italiano e matematica.
Tuttoscuola
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Valutazione, i presidi dicono no
L’accusa: il sistema è incoerente con quello contrattuale
Nel corso dell’incontro svoltosi la settimana scorsa al ministero con i rappresentanti delle organizzazioni sindacali sono continuate a piovere critiche sul decreto che introduce il sistema nazionale di valutazione in materia di istruzione e formazione. Pubblicato in Gazzetta ufficiale il 4 luglio scorso e fortemente voluto dal precedente ministro dell’istruzione, Francesco Profumo, che nel marzo scorso lo aveva presentato al governo per l’approvazione, il decreto, in particolare, interseca i propri contenuti con quelli contrattuali sulla valutazione dei dirigenti scolastici.
E crea incertezze interpretative e resistenze. Alle sollecitazioni della dirigente preposta agli ordinamenti scolastici, Carmela Palumbo, che segnalava come l’unica area dirigenziale non ancora sottoposta a valutazione è quella dei dirigenti scolastici, le organizzazioni sindacali hanno obiettato che, a distanza di sette anni dalla sottoscrizione del contratto che la prevedeva, non ha ancora trovato applicazione la normativa sulla verifica dei risultati e la valutazione dei dirigenti scolastici, soprattutto perché il ministero non ha provveduto alle parti di sua competenza, l’attivazione dei nuclei di valutazione e la determinazione dei criteri ai quali si dovrebbero attenere. Pensare ora di introdurre un altro sistema di valutazione, oltre tutto meno garantistico di quello contrattuale, è incoerente e irrazionale, in relazione anche a diverse altre critiche al decreto. Dei tre organismi, infatti, ai quali è affidata la valutazione, Invalsi, Indire e corpo ispettivo, Invalsi e Indire devono essere riformati e quanto agli ispettori se ne dovrebbe rivedere il profilo, per tacere del fatto che, se pur sarebbe necessario un organico ben più consistente di quello attuale di 330 unità, in ogni caso esso presenta così numerosi buchi da non poter essere colmati nemmeno con l’immissione in ruolo dei cinquantanove neovincitori di un concorso durato oltre cinque anni, che andranno ad aggiungersi alle poche decine di colleghi in servizio neppure in tutte le regioni. E se per completare l’organico sarà indetto un altro concorso, c’è il rischio che passi un altro lustro. Pensare realisticamente di avviare una valutazione del sistema scolastico con questi mezzi è come tentare di svuotare il mare con un secchiello forato. E pensare di farlo nei confronti dei dirigenti scolastici rischia di aprire anche un contenzioso giuridico – sindacale infinito. La valutazione negativa di un dirigente scolastico ha effetti sull’incarico affidato, che potrebbe essere modificato fino a far intervenire il recesso, e su una quota parte della retribuzione, quella di risultato, che potrebbe non essere attribuita. Il sistema di valutazione, introdotto con il decreto, prevede infatti che i risultati della valutazione operata nelle scuole sottoposte ad esame siano forniti ai direttori generali degli uffici scolastici regionali, ai sensi dell’art. 25 del decreto legislativo n. 165 del 2001. E quest’ultima disposizione prevede che i dirigenti scolastici rispondano della gestione delle risorse finanziarie e strumentali e dei risultati del servizio. Per rispondere dei risultati del servizio, però, occorre vi sia un nesso di causalità con la loro azione e per l’accertamento di questo nesso il contratto dell’11 aprile 2006 aveva giustamente previsto una serie di procedure e garanzia e tutela del preside sottoposto a verifica. Se queste mancano o non sono rispettate o vengono trascurate, come sembra fare il decreto, non si va da nessuna parte o, meglio, si va dal giudice del lavoro, giacché in materia di diritti retributivi e di svolgimento delle mansioni affidate il contratto di lavoro continua a prevalere sul decreto.
Eduscuola
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Ricci (Invalsi): le prove 2013 “salvano” la scuola media
“Gli studenti italiani presentano ancora difficoltà nell’affrontare testi argomentativi ed espositivi, mentre in matematica gli aspetti interpretativi che richiedono ai ragazzi risposte più approfondite risultano ancora difficili da affrontare con sicurezza”. A dirlo è Roberto Ricci, responsabile del Servizio nazionale di valutazione (Snv) dell’Invalsi, sulla base dei dati che emergono dall’ultimo Rapporto 2013, contenente i risultati delle prove standard fatte dagli studenti nella primavera scorsa, dalla quinta elementare fino alla seconda superiore.
Che cosa si può dire dei risultati delle prove di quest’anno rispetto ai posizionamenti relativi di regioni e province degli anni precedenti?
I risultati regionali delle prove Invalsi 2013 mettono in evidenza alcune tendenze già in parte emerse anche negli anni passati. In particolare, si riscontrano ottimi livelli di risultato in tutte le classi oggetto d’interesse delle scuole della Provincia Autonoma di Trento che, in quasi tutte le prove, consegue gli esiti migliori. Risultati molto buoni si riscontrano anche in Lombardia, in Veneto e in Friuli-Venezia Giulia.
Ci sono delle sorprese?
Una menzione particolare merita la regione Marche, che negli ultimi ha ottenuto ottimi risultati in tutte le rilevazioni, raggiungendo quasi sempre esiti significativamente al di sopra della media nazionale. Si riscontra poi un certo miglioramento della Provincia Autonoma di Bolzano (lingua italiana) che ha di fatto colmato lo svantaggio rispetto alla media nazionale, posizionandosi spesso al di sopra di quest’ultima.
Veniamo al Sud.
Sembra consolidarsi il buon posizionamento in diversi livelli scolastici di alcune regioni del Mezzogiorno, in particolare della Puglia, dell’Abruzzo e della Basilicata. Queste regioni negli ultimi hanno ottenuto un costante e progressivo miglioramento, colmando in quasi tutti i livelli scolastici la distanza dalla media nazionale.
Però nel Sud ci sono anche regioni che destano preoccupazione. È così?
Purtroppo le difficoltà di alcune regioni del meridione trovano conferma anche nei risultati del 2013. Ma ciò che desta maggiore preoccupazione è che il divario negativo per queste regioni tende ad aumentare considerevolmente, passando dai primi livelli scolastici a quelli successivi. Nella scuola secondaria di secondo grado tali divari divengono molto evidenti, anche tra le tipologie di scuola. Infatti, anche i licei, che tipicamente conseguono risultati più elevati, nel Sud ottengono risultati più bassi degli istituti tecnici del Nord.
C’è un segmento nel percorso scolastico che appare problematico? Quale?
I risultati delle prove Invalsi, non solo quelle di quest’anno, consentono di affermare che i problemi del sistema scolastico non si concentrano in un particolare segmento, come sovente si sostiene, ma laddove essi si presentano tendono a crescere passando da un livello a quello successivo.
Quindi non è sempre vero che la scuola media sia l’anello debole…
I dati non paiono affatto dire questo. È forse più appropriato affermare che in questa fascia scolastica le difficoltà cominciano ad assumere una consistenza maggiore, per poi aumentare in quelle successive. Del resto, questo fenomeno è facilmente comprensibile, poiché il passaggio dal ciclo primario a quello secondario coincide anche al momento evolutivo dell’allievo in cui gli eventuali problemi tendono a divenire più evidenti. Quello che, invece, è spesso trascurato è che le difficoltà diventano sempre più serie e preoccupanti tanto più gli studenti avanzano nel loro percorso di formazione.
Ci sono novità per quanto riguarda le prove alla fine dell’ultimo anno delle superiori?
Come già in parte annunciato nei mesi scorsi, l’Invalsi ha già iniziato la fase operativa (pre-test) di alcuni primi modelli di prova per l’ultimo anno del secondo ciclo d’istruzione. Anche tutto il prossimo anno scolastico sarà dedicato ad ampie sperimentazioni per mettere a punto un modello di prova adeguato a svolgere il duplice ruolo di prova standardizzata alla fine del secondo ciclo d’istruzione e di prova con valore orientativo per la prosecuzione degli studi.
Attualmente su cosa state lavorando?
All’ampliamento del numero delle domande per le prove future. Questo consentirà, nei tempi e nei modi dettati dagli esiti delle sperimentazioni in corso, di far fare la prova di fine secondo ciclo mediante computer.
Per quanto riguarda la restituzione dei dati, avete annunciato una notevole accelerazione nei tempi, previsti per fine settembre. Quali sono gli obiettivi che vi proponete?
L’anticipazione della restituzione dei dati alle scuole è molto importante. Non è solo un fatto tecnico, ma un aspetto legato strettamente alla finalità della rilevazione, ossia di mettere a disposizione delle scuole e del sistema dati oggettivi e standardizzati per promuovere il miglioramento del sistema educativo nazionale. In questo modo le scuole avranno già da settembre dei dati sui quali effettuare le loro valutazioni, anche nella prospettiva della programmazione didattica che, tipicamente, viene definita entro la fine del mese di novembre. In questo modo si rafforza concretamente il concetto che le prove Invalsi vanno intese come una misurazione per la scuola e non sulla scuola.
L’opposizione alle iniziative dell’Invalsi, che trova ampio spazio sui giornali, continua?
In alcuni casi le prove Invalsi sono ancora oggetto di accesa e ampia discussione. Il fatto di per sé è positivo poiché è molto importante che ci sia un ampio dibattito su un tema così caldo, anzi, l’Invalsi stesso si è fatto promotore, e intende farlo anche in futuro, del confronto sulle caratteristiche delle prove. Spesso però le polemiche assumono toni e forme che lasciano pensare a una scarsa informazione, indipendentemente da quale ne sia la causa.
È possibile avere informazioni sulla localizzazione geografica?
Si concentrano in alcune aree del Paese, in particolare, anche se non esclusivamente, a Roma o in Toscana.
Si stanno muovendo enti e organizzazioni per togliere la valutazione della prova Invalsi di terza media dal voto-giudizio finale. Che cosa pensate in proposito?
Sicuramente la valutazione standardizzata all’interno dell’esame di Stato a conclusione del primo ciclo assume delle caratteristiche particolari e deve portare a riflettere su tutto l’esame, ossia sul suo impianto generale e non solo sulla cosiddetta Prova nazionale. Ritengo, tuttavia, che toglierla dalla valutazione conclusiva sarebbe un grave errore, poiché cancellerebbe dall’esame l’unico elemento di standardizzazione, rendendo, di fatto, scarsamente informativo l’esito dell’esame stesso.
Si spieghi.
Se si affronta concretamente il problema della valutazione della prova nazionale ci si può facilmente rendere conto che il peso effettivo da essa esercitato sul voto finale di licenza è molto modesto; d’altra parte la prova nazionale consente di introdurre un elemento di oggettività prima sconosciuto che, invece, è concettualmente inscindibile dall’idea stessa di un esame di Stato.
In altri termini?
Non mi pare coerente volere mantenere un esame di Stato eliminandone però l’unico elemento di valutazione oggettiva che ne dovrebbe rappresentare l’elemento distintivo, anche se non esclusivo.
Il Sussidiario