L’alternanza scuola-lavoro conquista un istituto superiore su due
Cresce l’appeal per l’alternanza scuola-lavoro: lo scorso anno scolastico (il 2013-2014) quasi un istituto superiore su due (2.361 su 5.403, il 43,5%) ha attivato questa metodologia didattica che lega scuole e imprese, rivolta a studenti che hanno compiuto 15 anni. I ragazzi in “stage” sono stati 210.506, il 10,7% del totale degli alunni delle superiori (l’anno precedente, il 2012-2013, erano l’8,7%).
Calano i finanziamenti, diminuiscono i corsi
Certo, i corsi realizzati si sono un pò ridotti (da 11.600 a 10.279 del 2013-2014), anche a causa del calo dei finanziamenti (scesi, in un anno, da 20 milioni a 11 milioni). Ma, ed è una notizia, è aumentato l’interesse dei licei: hanno attivato 1.223 percorsi, con un incremento rispetto all’anno scolastico precedente, addirittura del 35,4%. A testimonianza che «si va diffondendo la cultura dell’alternanza – ha sottolineato il sottosegretario Gabriele Toccafondi -. E il muro ideologico che ha sempre frenato l’apertura delle scuole al mondo del lavoro si sta piano piano sgretolando».
Il monitoraggio dei percorsi, introdotti nel 2005 dal decreto 77, realizzato dall’Indire, sarà presentato oggi a Verona, all’apertura del «Job&Orienta», il salone nazionale dell’orientamento, la formazione e il lavoro, promosso da VeronaFiere e regione Veneto, in collaborazione con Miur e ministero del Lavoro, in programma fino a sabato.
Tecnici e professionali in testa
I corsi in alternanza continuano a essere più frequenti per gli studenti dei tecnici e professionali (rispettivamente 3.056 percorsi, il 30% circa, e 5.956, il 57,9%). Il numero di ore di attività si attesta su una durata media di 97,9 (nei percorsi annuali – di cui 72,1 ore di formazione fuori dall’aula), «ma l’impegno del Governo è raddoppiare a 200 ore e rendere l’alternanza obbligatoria negli ultimi tre anni dei tecnici. E i fondi arriveranno con la legge di stabilità», ha ricordato Toccafondi.
Aziende pronte
Del resto, le aziende sono pronte: Federmeccanica sta partendo con un progetto sperimentale di 600 ore obbligatorie negli ultimi tre anni dei tecnici: «Il prossimo anno interesserà 50 istituti e 10mila studenti – ha spiegato il vice presidente Federico Visentin -. Stiamo facendo le selezioni. Guardiamo anche a scuole che non stanno facendo alternanza per capire le difficoltà e trovare le soluzioni. L’obiettivo è arrivare a 780 istituti e 250mila alunni. Le nostre aziende, specie nel settore manifatturiero, per innovare e crescere hanno necessità di personale sempre più qualificato».
Le cifre
Dai dati Indire emerge anche che i 201.506 studenti impegnati in alternanza sono stati accolti in 126.003 strutture di cui il 43,8% (55.154) sono imprese (+21,6% rispetto al 2012-2013). I settori più interessati sono stati: attività manifatturiere (41,9%), attività di servizi di alloggio e ristorazione (20,9%) e altre attività di servizi (6,7%). Il numero medio di ragazzi per azienda è di 14,6 (la maggior parte degli studenti si concentra nelle classi terze e quarte). Di solito i percorsi hanno una durata annuale (6.151, il 59,8% del totale); e la media degli ultimi 5 anni dei percorsi annuali si attesta intorno alle 118 ore. A livello territoriale, poi, la partecipazione è più alta in Lombardia, Toscana, Veneto, Lazio, Marche, Emilia Romagna e Sicilia.
«L’alternanza è un pilastro fondamentale per innovare la didattica e favorire l’orientamento – ha detto il dg per gli Ordinamenti scolastici e la valutazione del Miur, Carmela Palumbo -. Partendo dalla Buona Scuola puntiamo a ottenere risorse certe e tempestive. Il progetto sperimentale di Federmeccanica ci aiuterà a tarare al meglio l’utilizzo dei fondi».
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Più collegamento tra scuola e lavoro, così Berlino ha ridotto gli abbandoni
Il decreto «Buona Scuola» e i provvedimenti attuativi del Jobs act dovranno collegare di più e meglio formazione e mondo delle imprese, e ridare centralità all’istruzione tecnica e professionale. Paesi come la Germania, sono ormai anni che hanno imboccato questa strada, e i numeri gli danno ragione. Berlino, a novembre, ha registrato un tasso di disoccupazione giovanile stabile al 7,4% (in Italia siamo saliti al 43,9 per cento). Tra i tedeschi, poi, gli abbandoni scolastici sono a un fisiologico 9,9%, da noi si supera il 17 % (quasi il doppio).
I ritardi con i tedeschi
E ancora: il numero di apprendisti in Germania sfiora il milione e mezzo di unità, in Italia siamo a quota 470mila, quasi tutti “contratti professionalizzanti” (senza quindi rapporti con scuole o università). E la differenza è pure retributiva: un apprendista tedesco “guadagna” circa 700 euro (una retribuzione che sale con il tempo e sconta l’impegno formativo dell’impresa), mentre nel nostro Paese il costo per l’azienda è più elevato, in media 1.200 euro (in pratica c’è pochissima differenza con una normale busta paga di un lavoratore qualificato).
La ricerca
L’occasione per tornare a discutere di “sistema Germania” è stata la presentazione ieri, all’università Luiss di Roma, davanti al ministro, Giuliano Poletti, e al segretario di Stato del ministero federale dell’educazione tedesco, Georg Schutte, della ricerca «Educare alla cittadinanza, al lavoro e all’innovazione: il modello tedesco e proposte per l’Italia», curata dall’associazione TreeLLLe e dalla Fondazione Rocca.
Le proposte
Un nuovo richiamo ai ministeri dell’Istruzione e del Lavoro italiani: da noi non c’è nessuna diversificazione dell’offerta accademica, e siamo in ritardo sull’istruzione superiore professionalizzante: in Germania ci si iscrivono un milione e 347mila studenti (altri 1,6 milioni scelgono l’università). In Italia invece gli Its (le super scuole di tecnologia post diploma alternative all’università) sono decollati da pochi anni e contano appena 7mila studenti (lo 0,4% del 1.747.000 alunni che frequentano l’istruzione terziaria). Di qui la necessità di un cambio di passo, puntando su un rafforzamento delle normative sull’alternanza scuola-lavoro e l’apprendistato, che va semplificato, reso meno oneroso per le imprese e sviluppato a livello secondario e universitario. C’è necessità poi di introdurre periodi obbligatori (almeno il 20% dell’orario) di formazione “on the job” per tutti i percorsi a carattere tecnico e professionale; gli Its vanno valorizzati, e i docenti formati.
Una caratteristica vincente del modello tedesco è anche la sua capacità di trasferire i risultati della ricerca scientifica al sistema produttivo, favorendo così l’innovazione: in Germania, per esempio, le domande di brevetti (per milioni di abitanti) sono state 272, contro le 63 dell’Italia. E Berlino investe 77,8 miliardi di euro in Ricerca e Sviluppo (contro i nostri 19,8 miliardi).
Gli impegni del Governo
E l’Italia? Il ministro Poletti ha aperto alla possibilità di ulteriori modifiche all’apprendistato: «Ci stiamo ragionando». Mentre nel decreto «Buona Scuola», atteso per fine febbraio, il Miur dovrebbe raddoppiare le ore di alternanza (portandole fino a 200) nelle ultime tre classi degli istituti tecnici e professionali. Inoltre, «puntiamo a rendere strutturale l’apprendistato a scuola previsto dal decreto Carrozza – ha spiegato il sottosegretario, Gabriele Toccafondi -. E sugli Its semplificheremo la rendicontazione, introducendo regole comuni, e le competenze acquisite dai ragazzi saranno certificate nel corso dell’esame finale per renderle subito spendibili sul mercato».
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Si rafforza l’asse scuola-lavoro: più laboratori e 600 ore di formazione on the job
Si rafforza l’asse scuola-lavoro: più laboratori e 600 ore di formazione on the job
I periodi di alternanza scuola-lavoro avranno una durata di 200 ore l’anno, e potranno svolgersi anche durante l’estate. Saranno interessati gli studenti del secondo biennio dell’ultimo anno degli istituti tecnici e professionali (si sale così a 600 ore totali – oggi invece le ore di formazione on the job sono in media 70/80 l’anno e sono svolte quasi esclusivamente dai ragazzi delle classi quarte).
Potenziamento dei laboratori
Sarà poi portata a regime la possibilità, prevista fino al 2016 dal decreto Carrozza, per gli alunni degli ultimi due anni delle superiori di poter apprendere in azienda attraverso la stipula di contratti di apprendistato di alta formazione (a oggi è in piedi la sola sperimentazione Enel che, a settembre scorso, ha assunto 150 studenti-apprendisti). Si potenzieranno i laboratori, con un bando per i laboratori consortili aperti al territorio e co-progettati da reti di scuole, università, realtà produttive, terzo settore ed enti locali; e si sgraveranno le imprese dai compiti di svolgere corsi di formazione su salute e sicurezza nei luoghi di lavoro in favore degli studenti in alternanza (ci penseranno direttamente gli istituti scolastici e le Asl).
Si va riempiendo di contenuti il decreto «Buona Scuola» che il ministro, Stefania Giannini, porterà in Consiglio dei ministri a fine febbraio. Del resto, anche ieri, il premier, Matteo Renzi, ha ribadito la «centralità» della riforma dell’Istruzione, «che dovrà entrare in vigore il prossimo 1° settembre».
Formazione obbligatoria, e più lingue
Il provvedimento non conterrà la sola stabilizzazione di circa 140mila docenti precari. Si punterà anche sul rafforzamento di alcune materie (inglese, storia dell’arte, musica, economia, diritto inteso come educazione alla cittadinanza, competenze digitali); verrà introdotta una nuova carriera per gli insegnanti (con scatti di carriera basati sulla valutazione delle performance); e sarà resa davvero obbligatoria la formazione in servizio.
Un piatto forte del Dl è il rafforzamento dell’asse scuola-lavoro, guardando al modello duale tedesco. «L’occupazione giovanile deve essere un’ossessione quotidiana del Paese e sicuramente lo è per questo governo – spiega al Sole24Ore il ministro Giannini -. Per questo vogliamo potenziare l’apprendimento attivo. Non possiamo parlare di politiche occupazionali se non facciamo prima politiche coerenti della formazione».
Il Miur pensa di realizzare un albo nazionale delle imprese, una piattaforma dinamica dove far incontrare le scuole con le aziende disponibili ad accogliere studenti in alternanza e attraverso cui accreditare le imprese che fanno formazione. Inoltre, si valorizzerà una didattica basata sul “saper fare”. Verrà finanziata la creazione di laboratori di nuova generazione. Si punterà a rendere strutturale l’apprendistato negli ultimi due anni delle superiori.
Puntare su competenze linguistiche e digitali
«Stiamo lavorando ad una policy sull’alternanza – sottolinea Giannini – che ci aiuti a curare la patologia della dispersione scolastica e anche a dare una risposta alle imprese che, in un momento storico in cui la percentuale di disoccupati fra i giovani è molto alta, non trovano personale specializzato. Fra scuola e aziende è andato in scena finora un dialogo fra sordi. Dobbiamo invertire questa situazione, creare un legame più forte fra queste due realtà. E dobbiamo farlo con l’alternanza, ma anche dando ai nostri ragazzi le competenze di cui hanno bisogno per entrare nel mondo del lavoro, sicuramente quelle linguistiche e digitali».
Il Dl prevede poi una razionalizzazione dei percorsi di istruzione tecnica e professionale (quest’anno va a regime la riforma varata nel 2010). Per ora, il Miur pensa solo a ridurre alcuni indirizzi “doppioni” dell’istruzione professionale per farli confluire nei settori dell’istruzione tecnica (perchè ritenuti più corrispondenti). Si lavora anche per aumentare le attività didattiche laboratoriali, attraverso una rimodulazione, a parità di tempo scuola, dei quadri orari degli indirizzi, con particolare riferimento al primo biennio. Si sta ragionando, infine, sulla possibilità di valorizzare il periodo trascorso in alternanza all’esame di maturità: avrà un peso reale nella prova orale, oggi essenzialmente limitata alla discussione di una tesina preparata dallo studente.
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Per il Cts ruolo centrale nell’alternanza scuola-lavoro della riforma che verrà
Uno degli interventi previsti dal disegno di legge di marzo 2015, sulla riforma del sistema di istruzione e formazione e il riordino della legislazione scolastica vigente, è l’aumento delle ore che gli studenti del secondo ciclo, a partire dall’età di 15 anni, dovrebbero svolgere in modalità di alternanza scuola-lavoro: l’articolo 4, c.1, del Ddl prevede, infatti, che «al fine di incrementare le opportunità di lavoro degli studenti, i percorsi di alternanza scuola-lavoro di cui al decreto legislativo 15 aprile 2005, n. 77 sono attuati negli istituti tecnici e professionali per una durata complessiva nel secondo biennio e nell’ultimo anno del percorso di studi per almeno 400 ore e nei percorsi liceali per una durata complessiva nel triennio di almeno 200 ore».
Questo intervento appare in linea con la Raccomandazione emanata il 2 giugno 2014 dalla Commissione europea in merito alla necessità di accrescere l’apprendimento basato sul lavoro negli istituti per l’istruzione e la formazione-professionale del ciclo secondario superiore e rafforzare l’orientamento professionale nel ciclo terziario.
Inquadramento normativo dell’alternanza scuola-lavoro
L’alternanza scuola-lavoro viene introdotta dal ministro Moratti, con la legge 53/2003, come modalità di realizzazione dei percorsi del secondo ciclo, nel sistema dei licei, dell’istruzione e della formazione professionale.
Il Dlgs 77/2005 ha definito in maniera puntuale ed esaustiva le norme generali relative all’alternanza scuola-lavoro, determinando l’ambito, le finalità e le modalità di realizzazione, l’organizzazione dei percorsi, le caratteristiche della funzione tutoriale e le condizioni per la verifica delle competenze acquisite.
Dopo che erano trascorsi alcuni anni nei quali i percorsi di alternanza faticavano a decollare, la “riforma Gelmini” con i Dpr 87-88-89/2010 ha ripreso e valorizzato tali esperienze lavorative in relazione alla loro valenza laboratoriale, formativa e orientativa nei diversi percorsi di istruzione secondaria di secondo grado. La riforma del secondo ciclo ha, peraltro, previsto l’introduzione dell’alternanza come percorso obbligatorio per gli studenti delle quarte e quinte degli istituti professionali in sostituzione dell’allora (2010) esistente terza area professionalizzante, fino alla messa a regime del riordino, oggi attuato.
Organizzazione e criticità
L’organizzazione dei percorsi di alternanza scuola-lavoro, per permettere agli studenti di raggiungere livelli di apprendimento di conoscenze e competenze in accordo con il profilo di uscita dalla scuola, dovrebbe coinvolgere gran parte dei docenti del consiglio di classe in una ri-programmazione didattica individualizzata e calibrata sulle finalità concordate con l’azienda ospitante. La realizzazione di detti percorsi si scontra non solo con le oggettive resistenze di una parte del corpo insegnante, ma anche con la difficoltà di reperimento delle aziende disposte ad ospitare gli studenti e a delineare un progetto formativo da seguire in sinergia con il tutor scolastico: l’alternanza scuola-lavoro troverebbe infatti la piena realizzazione se estesa a tutti gli studenti della classe.
Al fine di favorire il coinvolgimento dei docenti è opportuno far sì che essi possano frequentare corsi di formazione/aggiornamento mirati, stimolando altresì la loro crescita professionale e mantenendo la scuola al passo con le innovazioni metodologiche e tecnologiche, oltre che con le sempre nuove richieste in termini di competenze specifiche provenienti dal mondo del lavoro.
Il coinvolgimento dei docenti di area non professionalizzante si rende necessario perché il percorso di alternanza prevede una conoscenza complessiva dell’organizzazione del lavoro e dell’azienda e non solo il settore specifico dell’attività professionale.
In questo contesto, riveste un ruolo fondamentale il Cts (Comitato tecnico scientifico), organo consultivo costituito nelle scuole e composto, oltre che dal dirigente scolastico e dai docenti che curano il contatto con il mondo del lavoro e con la formazione post-diploma, da rappresentanti delle associazioni di categoria, delle imprese del territorio ed esponenti degli enti locali. Compito fondamentale del Cts è quello di indicare le competenze maggiormente spendibili nel mondo del lavoro, collaborando per la realizzazione di percorsi che consentano di orientare gli studenti all’uscita dalla scuola superiore, ovvero individuare e sollecitare le realtà imprenditoriali del territorio per l’accoglienza di studenti in scuola-lavoro.
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Alternanza scuola-lavoro, tutte le istruzioni per il censimento del Miur
Alternanza scuola-lavoro, tutte le istruzioni per il censimento del Miur
Progetti, risorse e tempi per inserire i ragazzi nel mondo del lavoro: il ministero chiama a raccolta gli istituti superiori per reperire i dati relativi all’alternanza scuola-lavoro. Una sorta di accurato censimento per monitorare quei progetti che, in base al testo di riforma della scuola pubblica e nel rispetto della legge di stabilità, saranno uno dei punti cardine del futuro dell’istruzione italiana.
Con la nota 1533 del 4 maggio scorso, il Miur ha lanciato un monitoraggio nelle scuole e la raccolta dei dati andrà avanti fino al 31 luglio. Fino allo scorso anno le rilevazioni erano di competenza dell’Indire che, d’ora in poi, manterrà solo la raccolta dei dati qualitativi. Spetta invece al ministero di viale Trastevere reperire informazioni su tutto quel che concerne i progetti a livello quantitativo.
Se la scuola non collabora, niente fondi
La partecipazione al monitoraggio da parte delle scuole è condizione essenziale per ricevere i finanziamenti dal ministero. Per la raccolta dati è disponibile sul portale Sidi una funzione ad hoc: “Alternanza scuola lavoro”, si trova nell’area Alunni-Gestione alunni. La nuova pagina va quindi a sostituire quella utilizzata finora su Alternanza-tirocini-stage presenti nella scheda Alunno.
Parola d’ordine: massima trasparenza
La pagina Sidi chiede alle scuole informazioni dettagliate relative ai percorsi di alternanza scuola-lavoro attivati durante l’anno scolastico. Per il monitoraggio esistono infatti due sezioni distinte e vanno compilate in ordine di presentazione. La prima riguarda i percorsi e la seconda entra nella sfera degli alunni e delle loro attività.
Nel report anche le imprese coinvolte
Trattandosi di dati prettamente quantitativi, le scuole dovranno fornire al rilevamento le informazioni relative ai percorsi inserendo una descrizione delle attività svolte. A questa prima fase segue poi l’inserimento dei dati sulla tipologia dei percorsi distinguendo tra l’Alternanza scuola lavoro o l’Impresa formativa simulata. A seguire ci sono poi i campi relativi alla durata del progetto riportandone la data di inizio, alle fonti di finanziamento utilizzate e alle strutture associate con cui collaborare.
Per gli studenti arriva il curriculum vitae
Nella seconda fase del report vengono forniti i dati relativi agli studenti. La scuola “entra” nel merito delle singole classi e fornisce i dati relativi ai precedenti percorsi effettuati dagli studenti. Creando una sorta di storico e garantendo quindi una continuità formativa durante gli anni della scuola superiore. Non solo uno sguardo al passato, il Miur a breve fornirà alle scuole nuove indicazioni per inserire le certificazioni delle competenze conseguite dagli alunni. Un passaggio che avverrà solo alla fine dell’anno scolastico.
Massima attenzione dal Miur
Il ministero dell’Istruzione seguirà con attenzione l’andamento della raccolta dati effettuando un costante monitoraggio sulle modalità e i tempi. La scadenza prevista è fissata al 31 luglio. Una volta chiusa la funzione non sarà possibile per le scuole correggere dati eventualmente errati. Per evitare possibili errori nel procedimento, quindi, è possibile consultare la Guida operativa specifica, presente nell’area procedimenti amministrativi, oppure contattare il Servizio statico o il numero verde del sistema informativo del Miur 800 903 080.
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